Atletismo, intimidazione, tiro, playmaking: gli Spurs, con poca flessibilità salariale, dovranno muoversi con la consueta maestria per centrare almeno due di questi pilastri-mercato. La stagione 2015-2016 ha illuso e poi colpito duro: dalle stelle di una regular season da primato alle stalle della sonora sconfitta ai playoff coi Thunder. San Antonio deve ritrovare sé stessa, ripartendo dalle certezze Leonard e Aldridge e dalla forza del sistema-Spurs (ritiro sì-ritiro no che sia per Duncan e Ginobili). Il futuro è venuto a bussare alla porta della pallacanestro; i vecchi Spurs riusciranno a partecipare alla corsa?
Rewind
Il capitolo zero di una stagione bipolare come quella appena vissuta dai Texani coincide con l’acquisizione del top free-agent della classe 2015: LaMarcus Aldridge. L’adattamento dell’ex solista virtuoso dei Blazers all’interno dell’orchestra Spurs ha richiesto un paio di mesi ma, appena compiuto, ha regalato a San Antonio una seconda gemma offensiva da affiancare al gioiello homemade Kawhi Leonard. Aldridge ha portato in dote costanza dalla media ed efficacia in post, aumentando ulteriormente la varietà offensiva – già di per sé considerevole – della squadra allenata da coach Popovich. Gli Spurs di gennaio, febbraio e marzo hanno giocato per lunghi tratti ai livelli dei Warriors della regular season dei primati: detto dell’attacco, ciò che ha davvero impressionato è stata la qualità del sistema difensivo (da annoverare nell’elite di sempre, con soli 92.9 punti di media concessi e la scontata conferma di Leonard come Defensive Player of the Year).
La chiusura della regular season con il miglior record della storia della franchigia (67-15) sembrava l’adeguato preludio per l’ennesimo assalto al Titolo del trio Parker-Ginobili-Duncan, e invece… E invece con i playoff sono esplose tutte le crepe sotterranee che si erano accumulate in mesi di gioco col pilota automatico. Parker e Duncan (entrambi autori di due più che positive stagioni regolari) sono improvvisamente parsi decrepiti; quello composto da Ginobili, Mills, Diaw e West un supporting cast non (più) all’altezza; Leonard e Aldridge navigatori solitari – nella serie contro OKC – in un oceano fatto di fisicità superiore, atletismo debordante e stazza intimidatoria. Risultato: 2-4 nelle Western Conference Semifinals e vacanze decisamente anticipate rispetto alle aspettative.
Mercato
Gli Spurs, se vogliono adeguarsi al nuovo standard di gioco settato da Cavs, Warriors e Thunder, devono cambiare, su questo piove davvero pochissimo. Il primo crocevia dell’offseason sarà la decisione – probabilmente congiunta – di Duncan e Ginobili. 40 anni il caraibico, 39 l’argentino; nessuno si stupirebbe se si ritirassero, dopo due carriere che definire leggendarie è riduttivo. L’eventuale doppia dipartita smuoverebbe in positivo le casse degli Speroni, portando a 10-15 milioni di dollari il monte-spesa utilizzabile nella free-agency (monte già limato verso l’alto con l’opt out di David West). Intanto Ginobili è uscito dall’attuale contratto, a quanto pare per prendere tempo in vista della decisione definitiva (al momento è formalmente free agent; realtà: o rifirma con gli Spurs o smette).
Obiettivo primario – che Duncan rinnovi o meno – sarà un centro/ala grande dalle spiccate caratteristiche difensive: i vari Horford, Whiteside, Biyombo (in fascia di prezzo difficilmente raggiungibile, anche con tagli e rinunce pesanti) e Mahinmi, Ezeli e Noah (in un target salariale invece più affrontabile) rientrano tutti tra le opzioni perseguibili. Da non trascurare anche l’ipotesi Pau Gasol, più “romantica” e meno allineata alle esigenze di squadra.
I superintoccabili della rotazione Spurs rimangono tre: a parte le star Leonard e Aldridge, la mente-Popovich sa di poter contare sul proprio braccio in campo Danny Green (in netta ripresa nel finale di stagione, dopo un inizio titubante); Tony Parker, invece, non è più tra gli inviolabili. Il folletto francese, ormai 34enne, è stato letteralmente dominato da Russell Westbrook nelle Semifinali di Conference. Gli Spurs hanno Mike Conley (unrestricted free agent) nel mirino, anche se la pista che porta alla point guard originaria di Indianapolis è molto complessa dal punto di vista salariale (Conley – che è in fascia max-contract – dovrebbe lasciare diversi milioni sul tavolo per unirsi ai Neroargento). L’unica altra opzione perseguibile, per il ruolo di play titolare, sembra essere il restricted free agent Jordan Clarkson, combo guard che ha fatto vedere flash di talento purissimo nei disastrati Lakers delle ultime due stagioni (da qualche giorno, in realtà, si parla anche di Rajon Rondo). Pare improbabile, invece, un’inversione Parker-Mills per gli spot di backup e starter. L’arrivo del prospetto da top-15 del draft (possibile steal) Dejounte Murray, preso con la scelta numero 29, è una più che buona polizza assicurativa in caso di mancati movimenti sul mercato dei playmaker.
Esigenza conclusiva – ma non meno importante – sarà aggiungere profondità al roster. Una guardia di riserva se Ginobili si dovesse ritirare, una guardia-ala con range di tiro e attitudine offensiva (Kevin Durant e Harrison Barnes, però, quasi sicuramente rimarranno sogni irrealizzabili) e pure un lungo dinamico in grado di segnare dall’arco (soprattutto se Duncan non tornasse, se Marjanovic non dovesse essere rifirmato e se Diaw – cosa non impossibile – dovesse essere tagliato). RC Buford, che viene giusto dalla vittoria del premio di Executive of the Year, avrà le mani pienissime.
Draft
Dejounte Murray, unica scelta al Draft 2016 degli Spurs, ha tantissimo potenziale. Il play da Washington, con una sola stagione di college alle spalle, ha mostrato di avere le stimmate della point guard di razza. Non in molti si aspettavano che Murray scendesse fino al termine del primo giro (ESPN lo dava addirittura in top-10 tra i migliori prospetti, Bleacher Report in top-15). A San Antonio serviva proprio un giocatore del genere: lungo per la posizione, atletico ed esplosivo. Murray, a soli 19 anni, è ancora da sgrezzare; ma gli Speroni hanno una tradizione quasi infinita di giocatori draftati e migliorati nel corso di un paio di stagioni (vedi Kawhi Leonard). L’acquisizione di Murray non significa che gli Spurs non proveranno ugualmente a prendere Mike Conley, ma garantisce una flessibilità tecnica e di mercato decisamente maggiore alla dirigenza texana.
Futuro
Dovessero riuscire nell’impresa di firmare Mike Conley più, ipotizziamo, l’Ezeli del caso, gli Spurs colmerebbero all’istante il gap atletico che li separa da Cavs, Warriors e Thunder. Altrettanto importante sarebbe puntellare il roster con 1-2 giovani di prospettiva (Mills potrebbe essere scambiato per un giocatore sotto rookie contract in caso di arrivo di Conley). È possibile, in realtà, che l’offseason 2016 diventi per gli Spurs una finestra di transizione: i veri bersagli grossi nel ruolo di playmaker – nonchè potenziali eredi di Tony Parker – saranno free agent nel 2017 (Curry, Westbrook, Paul e Lowry, tra gli altri). Gli Spurs, per il momento, potrebbero accontentarsi di liberare il poco spazio salariale in disavanzo, in vista di un 2017 in cui il cap s’impennerà ulteriormente e in cui avranno una flessibilità molto superiore. Resta fondamentale l’acquisizione di giocatori dal buon rapporto qualità-prezzo, in grado di implementare la varietà tecnico-tattica mancata nelle fasi calde dei playoff appena conclusi. Altro punto cardine è lo sviluppo dei pochi giovani presenti a roster (Leonard ormai è un quasi-MVP anche in attacco, Simmons ha fatto vedere buone cose prima di scomparire nella postseason, Anderson è in netto miglioramento, Murray un boost inaspettato).
Con un paio di obiettivi di mercato centrati, qualche aggiustamento interno al rodatissimo sistema di coach Pop e una generale “riverniciata” al roster, gli Spurs hanno le carte in regola per vivere la prossima stagione da assoluti protagonisti. Da evitare, invece, quel certo grado di supponenza che a volte colpisce chi ha vinto tanto ed è stato esempio per un intero movimento. Il basket sta cambiando, i nuovi trend cestistici – che piacciano o no – sono lampanti; crogiolarsi nell’autocompiacimento è un pericolo tangibile, ma non è da Spurs. Tutto è più grande in Texas, anche la consapevolezza.
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