Non riveliamo di certo il terzo segreto di Fatima se vi diciamo/ripetiamo che quello del 2016 è un Draft che vede due protagonisti issarsi sopra tutti gli altri, due giovani talenti che verranno pressoché al 100% scelti con le prime due scelte: stiamo parlando di Ben Simmons -che secondo le ultime voci è ora certo della pick n. 1 da parte dei Sixers- e di Brandon Ingram, giocatore sul quale vogliamo soffermarci proprio in questo articolo e che pare decisamente destinato a non andare oltre la seconda chiamata. L’ex stella di Duke ha trascorso una sola stagione tra le fila dei Blue Devils, ma questa è bastata per mettere in mostra le qualità di quello che in futuro potrebbe essere un franchise player: dopo un inizio altalenante Ingram è esploso in seguito all’uscita di scena di Amile Jefferson, che se di certo non ha fatto bene ai Blue Devils ha però permesso al ragazzo da Kinston, North Carolina, di caricarsi la squadra sulle spalle mettendo in mostra tutte le qualità della sua estrema tridimensionalità cestistica che gli permette di esprimere il gioco di una guardia con i centimetri un’ ala grande. I nomi ai quali lo si paragona e le aspettative createsi intorno a lui sono di certo pesanti, ma le sue doti non permettono di fare illazioni più moderate; andiamo a vedere allora le caratteristiche di uno dei pochi giocatori che sembrano davvero poter spostare in questo Draft.
Punti di forza
A 2.07 m di altezza e con un’apertura di braccia a dir poco impressionante che supera i 2.20 Brandon Ingram sulle sterili carte sembrerebbe essere un interessante centro moderno, peccato che sul campo ci si trovi di fatto davanti ad un’ala piccola con le doti di palleggio di una buona guardia e la capacità di colpire da oltre l’arco con oltre il 40% su oltre cinque tentativi a partita. A livello offensivo non possiamo certo parlare di un giocatore completo trovandoci davanti ad un ragazzo che non ha ancora compiuto 19 anni, tuttavia proprio considerando anche l’età (ma non solo) ci rendiamo conto di come ci ritroviamo di fronte ad un giocatore che nella metà campo offensiva ha doti evidentemente non comuni: capace di segnare con i piedi a terra, sfruttando i p’n’r’, con braccia infinite che gli permettono di tirare sopra gli avversari e di essere già discretamente efficace nei pressi del ferro, fluido, intelligente; potremmo davvero perdere decine di minuti ad elencare le qualità di questo giovane talento. Particolarmente efficace in situazioni di catch and shoot, l’ex Duke possiede però diversi movimenti e doti al palleggio che in prospettiva lo proiettano nell’eccellenza anche nel crearsi da solo i propri tiri. Meglio di quanto non mostrino i numeri anche le doti di playmaking, con il giocatore che mostra buona generosità, discrete letture e date le doti fisiche può permettersi spesso e volentieri di osservare le situazioni di gioco sopra le teste degli avversari.
A rimbalzo non è efficace come lo fu ad esempio Durant nel suo unico anno a Texas, tuttavia la combinazione di centimetri ed energia lo rendono un discreto rimbalzista offensivo e complessivamente un giocatore in grado di apportare il suo contributo anche in questo ambito.
Viste età e peculiarità fisiche uno dei grandi pregi di Ingram -e quindi dei motivi che lo vedranno seconda scelta assoluta – risiede nelle sue potenzialità, non infinite, ma quasi: i paragoni con Durant sono certo pesanti, e al momento ovviamente eccessivi, ma hanno motivazioni tecniche e fisiche effettivamente non così peregrine. Sebbene il corpo del ragazzo sia ancora pressoché privo di muscolatura lo stesso Durantula ci mostra che non bisogna per forza di cose essere dei Ronnie Coleman per dominare in NBA, anzi, in compenso cose che non si possono costruire al pari di una struttura più “solida”, ma che sono date da Madre Natura, come le braccia infinite e i centimetri di un ala grande nelle doti tecniche di una guardia, fanno parte del bagaglio di Ingram e lo proiettano come un giocatore che potenzialmente potrebbe davvero colmare anche quelle lacune che ovviamente sono presenti e divenire un giocatore in grado di spostare gli equilibri anche trai pro. I difetti difensivi di cui parleremo a breve sono già ora, sebbene l’ex Duke sia naturalmente all’ABC del basket, parzialmente colmati dalla sua lunghezza, vantaggio naturale sugli avversari; nei pressi del ferro una maggiore forza (che non vuol dire per forza tonnellaggio) nella parte bassa del corpo potrà certo giovargli, ma la fluidità dei suoi movimenti e gli arti kilometrici gli permettono di essere già pericoloso. Parliamo insomma di un giocatore che, come è naturale che sia a 18 anni, ha ancora moltissimo da imparare e costruire, ma nonostante ciò è già ad alti livelli in molti aspetti del gioco e in quasi tutti i rimanenti sembra solamente doversi applicare un po’, avendo però già tutti gli strumenti necessari per sopperire alle proprie manchevolezze. Questo è quello che possiamo definire “potenziale” e Ingram ne ha abbastanza da far venire il mal di testa a tutti gli scout NBA. Lascia molto ben sperare anche la crescita del giocatore nel corso delle 36 partite che hanno costituito tutta la sua esperienza NCAA: inizialmente non esaltante e particolarmente penalizzante in difesa, Ingram è andato via via sempre più ponendosi la squadra sulle spalle divenendo il giocatore chiave di Duke, nonché uno dei giocatori in grado di spostare di più in tutta la NCAA, di fatto, almeno al college, anche più di Ben Simmons.
Punti deboli
Potremmo trovarci insomma davanti ad un futuro campione, ma se è vero che Ingram possiede tutti gli strumenti necessari per divenirlo ad oggi tuttavia non lo è ancora, come è scontato per un giocatore di nemmeno 19 anni. I difetti ci sono e possiamo trovarli partendo dalla fase difensiva: dopo qualche partita in questo senso deprimente il talento di Duke ha mostrato una crescente intensità in questa metà del campo, aiutato anche dalle sue peculiarità fisiche; tuttavia rimangono problemi di letture, di possessi difensivi di completa passività e di un corpo per certi versi straordinario come più volte ribadito, ma che al contempo risulta ancora acerbo e mal sopporta i contatti con giocatori più formati da quel punto di vista. Certo le responsabilità offensive che aveva a Duke forse gli impedivano di dare il 100% in difesa e lo costringevano a stare attento ai falli, i miglioramenti ci sono stati, ma al momento è un giocatore che in un contesto difensivo serio risulta un pesce fuor d’acqua, niente di drammatico o irrisolvibile, ma ci ritroviamo davanti ad un ragazzo che in questa fase di gioco dovrà lavorare molto, come sempre non mancando assolutamente dei mezzi per farlo.
Il pitturato tende ad essere un altro luogo non troppo felice per Ingram: il 48% nelle conclusioni al ferro non è certo d’elite e quando, cosa che fa con una certa frequenza, riesce ad ottenere un fallo per andare in lunetta anche la realizzazione dei liberi risulta non del tutto soddisfacente, con un 68% dalla linea della carità che stona nel quadro di quello che si presenta come uno dei migliori giocatori offensivi di questo Draft e potenzialmente uno dei migliori anche nella Lega. Da lavorare ci sarà anche sulla creazione di tiri dal palleggio, situazione nella quale Ingram ha tirato col 30% in stagione su 80 tentativ, come detto in apertura però c’è di che essere fiduciosi date le capacità di palleggio, le qualità del suo tiro in altre situazioni e le solite, infinite, braccia.
Conclusione
Nessun giocatore proveniente dal college in questo Draft è più giovane di Ingram, eppure la sua posizione nella top 2 non è mai stata messa in dubbio: già questo ci dovrebbe dire un po’ del talento davanti a cui ci troviamo. Aggiungendo un po’ di forza ed esplosività ed allenandosi ai liberi, aspetti a cui si può sopperire in un’estate di lavoro che avrà milioni di motivazioni (e diciamo milioni non a caso), Ingram potrebbe già il prossimo novembre presentarsi come una delle macchine offensive più intriganti del panorama NBA e la collocazione in dei Lakers da ricostruire, giovani e senza più un leader indiscusso come Bryant (e magari senza un accentratore deleterio come Nick Young) potrebbe essere la situazione perfetta per mettersi in mostra, ma al contempo crescere rapidamente in un contesto che di certo non vuole aspettare a lungo prima di tornare a vincere.