Ancora ubriachi del vino più inebriante – il successo – i Cleveland Cavaliers sono costretti sin da subito a guardare al futuro, per trasformare quella che è stata un’impresa, un trionfo sorprendente e al cardiopalma, in una bellissima abitudine. E il passaggio chiave si pone tra pochissimi giorni, con l’offseason che incombe minacciosa come una nuvola nera sulla pura gioia degli uomini in bordeaux-oro, e moltissimi nodi intricati da affrontare e sciogliere durante l’estate, per trasformare il sogno che è stato un singolo titolo, in una dinastia: roba che in Ohio non ci si azzardava ad immaginare nemmeno nelle fantasie più sfrenate.
La stagione
Trionfalistica. Unico aggettivo possibile per descrivere la stagione di chi si porta a casa il Larry O’Brien Trophy alla resa dei conti, risalendo da quella che sembrava essere una tomba già scavata, togliendosi pure la soddisfazione di diventare la prima squadra nella storia NBA a ribaltare un 3-1 nelle Finals. Eppure la stagione dei Cavaliers non era partita proprio sotto fausti auspici. Qualche vittoria eccessivamente sofferta all’inizio dell’anno e la facilità con la quale i rivali degli Warriors, parallelamente, ammassavano successi, avevano portato qualche preoccupazione anche nell’animo dei tifosi più incalliti. Il “lunedì nero” del 18 gennaio aveva materializzato quelle preoccupazioni nel più brutale dei modi, con una sconfitta mostruosa 132-98 rimediata in casa proprio dagli Warriors. Una debacle che ha fatto cadere una sola testa in casa Cavs, quella del coach David Blatt, che nemmeno il record di 30-11 assommato fino a quel punto e il primo posto nella Eastern Conference ha salvato dal licenziamento (datato 23 gennaio). Al suo posto è arrivato Tyronn Lue, già membro del coaching staff, ma con lui in panchina i Cavaliers non hanno vissuto significativi miglioramenti. È stato mantenuto il range di risultati già visto con Blatt, anzi, la squadra è peggiorata leggermente (con Lue il record è stato di 27-14 e i Cavs hanno chiuso a 57-25). Ma con l’approdo ai Playoffs le cose sono radicalmente cambiate: demolita Detroit 4-0 al primo turno, asflatata Atlanta con lo stesso risultato nelle Semifinals, Cleveland ha faticato solo in un paio di gare in casa di Toronto per guadagnarsi l’accesso alle Finals, alla rivincita contro gli Warriors dei miracoli, quelli del 73-9. Due sconfitte a Oakland avevano fatto presagire il peggio, e quando Golden State aveva espugnato la Q-Arena in gara-4 portandosi sul 3-1 nessuno sembrava disposto a crederci più. Nessuno tranne i Cavs stessi. Con una rimonta che ha un retrogusto tra l’eroico e il leggendario, LeBron James e compagni sono riusciti ad afferrare qualcosa che in Ohio non era mai stata visto; quel titolo NBA che in 20 partecipazioni ai Playoffs e 3 alle Finals non era ancora arrivato. La Storia è stata scritta.
Il mercato
Nonostante la felicità per la vittoria del titolo e i bagordi che ne seguiranno, i tifosi dei Cleveland Cavaliers sono attesi da un’estate con il fiato sospeso. La ricchissima free agency 2016 è alle porte, e LeBron James ha la possibilità di uscire dal suo contratto con la squadra e di rimettersi sul mercato. Nonostante il titolo finalmente portata in patria e le dichiarazioni d’amore di due anni fa, il Re ha ribadito proprio prima di gara-7 che la vittoria (o la sconfitta) non avrebbero influito sulla sua scelta di continuare o meno la sua avventura in maglia bordeaux-oro. Visti i nuovi limiti del Salary Cap, che consentono a tutte le trenta franchigie NBA margini di lavoro amplissimi, nel momento in cui LeBron deciderà di uscire dal suo contratto si creerà una lunga fila alla sua porta. Cleveland ha la possibilità di offrirgli più soldi, ma non si può sapere a priori quale sarà la decisione del fresco MVP delle Finals. Tutti stanno monitorando la situazione con attenzione, in particolare i Los Angeles Lakers, che sarebbero più che felici di portare il Re in giallo-viola. Molto potrebbe dipendere anche (come l’anno scorso) dall’operato di Cleveland sul mercato, con James interessato a capire che tipo di team gli verrebbe fornito dalla dirigenza per il nuovo attacco al titolo. In questo senso bisognerà pensare a come sistemare la panchina: Richard Jefferson si è ritirato, mentre i contratti di Timofey Mozgov, Matthew Dellavedova e James Jones scadranno a fine giugno. Mo Williams e J.R. Smith hanno la possibilità di uscire dai propri contratti per cercarne di più remunerativi, ed è probabile che entrambi faranno questa scelta. E a tutte queste problematiche si somma il nodo fondamentale del destino di Kevin Love. L’ex Timberwolves è apparso nettamente in difficoltà e quasi avulso dal gioco di Cleveland nelle Finals. Inoltre, nonostante le smentite, il feeling tra lui e LeBron non è mai sbocciato: difficile quindi pensare che il Re vedrebbe di cattivo occhio una trade che portasse Love lontano dall’Ohio. L’ingaggio del prodotto di UCLA è pesante e a lungo termine, e questo è un fattore che potrebbe scoraggiare gli eventuali interessati: eppure si è parlato con insistenza dei Boston Celtics, che potrebbero mettere sul piatto anche la terza scelta al Draft, ma è più probabile che Cleveland voglia cautelarsi portando in casa un giocatore già pronto, piuttosto che un rookie, per quanto promettente. Tutte le strade sono aperte. Le uniche certezze sono quindi Kyrie Irving e Tristan Thompson che hanno contratti lunghi (fino al 2020) e che saranno il cuore di questi Cavs che si apprestano a scrivere una nuova pagina della loro (S)toria.
Il Draft
I neo-campioni NBA non parteciperanno al Draft se non da spettatori interessati: la loro scelta #28 infatti è passata di mano fino a giungere ai Phoenix Suns. I Cavs, privi di scelte anche al secondo giro, potrebbero non dover fare chiamate, anche se, come accennato poco sopra, hanno la possibilità di ricevere una scelta altissima in un eventuale scambio con i Boston Celtics che coinvolgesse Kevin Love. Nel qual caso sarebbe molto difficile capire quale possa essere la strategia dell’establishment dei Cavs, e su quale giocatore possano puntare: Buddy Hield sembrerebbe il più pronto, e potrebbe riempire un eventuale vuoto lasciato da J.R. Smith, ma altri profili interessanti rimangono quello di Dragan Bender o di Jaylen Brown. Si tratta però, per ora, di ipotesi molto più che fantasiose.
Il futuro
I Cavs sono nella situazione paradossale di rischiare di cadere dal picco più alto nel baratro più profondo. Il trionfo nelle Finals è ancora troppo fresco per lasciar spazio alla preoccupazione, ma un qualsiasi errore – anche piccolissimo – in questa offseason, rischia di diventare rovinoso per il futuro della franchigia. Sarà fondamentale convincere James a rimanere, ovviamente, e ripartire da lì, affiancando al Re (e a Kyrie Irving) un gruppo di giocatori funzionali al progetto. Con i giusti movimenti, Cleveland potrebbe facilmente consolidare la propria realtà, arrivando a dominare facilmente la Eastern Conference e a creare una vera e propria dinastia. Al contrario, il minimo passo falso può inquinare tutto il buon lavoro fatto finora, e questo titolo costato tanto sudore e tanta fatica, inseguito con una determinazione a tratti isterica a tratti commovente, rischia di rimanere una mosca bianca nella bacheca di una squadra già poco titolata. Non ci si può quindi permettere di cullarsi sugli allori, accarezzando troppo a lungo quel Larry O’Brien Throphy, se si vuole portare a casa il prossimo. Perché, anche se ha già scritto la Storia, questa Cleveland deve proseguire, e continuare a fare la sua storia.
A cura di Elisa Pasini
Cleveland Cavaliers