Negli sport di squadra il concetto di gregario non è più estendibile alla maggior parte degli atleti che non catturano il titolo in grassetto sui quotidiani. Ciclismo a parte, dove il termine gregario nobilita l’operato della maggioranza dei corridori intenti nel semplificare la vita di chi alla fine dovrebbe tagliare il traguardo per primo, negli altri sport i cosiddetti gregari non sono esclusivamente giocatori di seconda fascia.
Patrick Sammy Mills ne è la prova. Figlio di un signore del Queensland e di una Nunga (un’aborigena dell’Australia del Sud) passa da giocatore di football mancato a point guard per Saint Mary’s College dove viaggia a 18,4 punti di media nel suo anno da sophmore. Scelto nel 2009 alla 55 dai Portland Trail Blazers, dopo i primi due anni di assestamento, e un paio di visite stipendiate in Australia e Cina durante il lockout, sbarca nel paese delle meraviglie passanti aka San Antonio.
In nero argento ci mette un mese prima di stampare il suo career high con 34 punti e 12 assist ai danni dei Golden State Warriors lontani parenti di quelli odierni.
Bene ma non benissimo per gli standard di coach Pop, il quale lo utilizza con il contagocce nella stagione successiva, poiché lo ritiene un po’ sovrappeso. Dichiarazione curiosa per chi in spogliatoio si ritrova ad allenare tale Boris Diaw, francese che di certo vede pallacanestro come altri tre o quattro giocatori al mondo, ma che in quanto a peso forma farebbe apparire Mills come una modella di Victoria Secret al suo fianco.
La verità è racchiusa altrove. Popovich sa benissimo di avere tra le mani un giocatore di livello, con un range di tiro molto ampio e un trattamento di palla più che discreto, tuttavia vuole insegnare al nostro che tipo di filosofia pervade lo spogliatoio dei texani. I professionisti del settore la chiamano followership e prima o poi Patty Mills (insieme al suo connazionale Dellavedova magari) dovrà tenere un seminario su questo particolare elemento della ratio umana.
Il follower è responsabile insieme al leader del conseguimento della finalità comune e la followership è efficace quando è basata sulla capacità del follower di proporre un pensiero indipendente e critico.
Non mi sorprenderei se nella locker room dell’AT&T Center comparisse questa frase (o una cosa simile). Gli stessi Popovich, Duncan, Ginobili, Parker e più recentemente Kawhi Leonard non sono delle fiere spaventose in grado di catalizzare l’attenzione grazie ad un particolare body language o una delle tante facce viste fare ad altri capibranco nella lega. All’ombra del Alamo la forza risiede nel collettivo, nel senso che i giocatori più rappresentativi giocano 30 minuti massimo, costretti al riposo un po’ dalla carta d’identità sempre più ingiallita, ma anche dalla speranza che in panchina ci sia un giocatore più giovane che possa ereditare la Spurs culture.
L’idea di Pop è quella di assistere la crescita di Mills senza forzare i tempi, magari concedendogli qualche scampolo di partita in meno ma mettendogli più spesso la palla in mano. Le Finals del 2014 danno, come al solito, ragione all’ex agente della Cia.
Quando cresci in un sistema così, dove sei solo (perché non parliamo di una squadra di chiacchieroni) ma allo stesso tempo sei protetto dal gruppo, è naturale che a livello emotivo ti porti dietro un bagaglio di esperienza che in un altro contesto, ad esempio in nazionale, può fare la differenza.
Il rapporto di Mills con la nazione è viscerale, sincero, patriottico. Durante le Olimpiadi di Sidney correva (e vinceva) i 400 metri un’aborigena di nome Cathy Freeman che diventerà il simbolo dell’Australia unita e ovviamente l’idolo di Mills. I pieni diritti vennero concessi agli aborigeni d’Australia soltanto nel 1967 e inoltre la madre di Patty fu vittima di un episodio di razzismo che cambiò la sua vita.
La signorina Yvonne voleva fare la parrucchiera così come la sorella e un giorno entrambe fecero domanda per un posto da assistente presso uno studio. Vennero rifiutate per le loro origini. Yvonne modificò le sue ambizioni e dopo il college andò a lavorare a Canberra, dove si occupa tutt’ora di affari aborigeni per il governo federale. Se non fosse andata così non avrebbe conosciuto un suo collega di nome Benny Mills con cui misero su famiglia e fondarono una squadra di basket per ragazzi aborigeni, ancora visti con un occhio sospetto negli anni ’80.
Durante i festeggiamenti dopo la vittoria delle Finals 2014 la fidanzata storica di Patty, Alyssa Levesque, gli passò due bandiere. Quella australiana da dare ad Aaron Baynes e quella di Torres Strait Island, dove il padre nacque e dove le lotte per la parità dei diritti furono più aspre, per coprire le sue spalle. L’Australia unita.
A Londra 2012 Mills è il miglior marcatore del torneo con 21,2 punti di media. Ad allenare la squadra c’è Brett Brown (attuale head coach dei Sixers) il quale però deve rinunciare a Bogut per una caviglia rotta e subisce una sconfitta che si rivelerà decisiva nell’opening match contro il Brasile. Il quarto posto nel girone e il conseguente quarto di finale impossibile contro Team USA pone fine all’avventura di Brown sulla panchina dei Boomers.
Lo sostituisce Andrej Lemanis che affida a Patty Mills la guida tecnica ed emotiva della squadra. Le vicende di Rio sono abbastanza recenti: l’Australia diverte sull’asse Mills-Dellavedova- Bogut, gli Stati Uniti rischiano (anche solo per qualche minuto) di deragliare contro l’arrembante pallacanestro di chi ormai un posto fisso nella élite del basket mondiale lo ha. Infatti il quarto posto beffardo dell’Olimpiade brasiliana non fa altro che gettare benzina nel fuoco che arde tra gli oceanici, bramosi di opporsi al dominio europeo nella gara tra i normali.
Attualmente in NBA giocano i vari Bogut, Dellavedova, Ingles, Bairstow, Exum, e recentemente è sbarcato un progetto di fenomeno che risponde al nome di Ben Simmons. A guidarli ci sarà Mills, che intanto continua il suo processo di crescita agli Spurs dove Popovich ad oggi lo considera un elemento imprescindibile.
“È ovvio che la sua pallacanestro ci piace ma la sua gentilezza, il suo entusiasmo, la sua serietà lo rendono un giocatore fondamentale”.
Anche un episodio come la premiazione per l’MVP delle Finals (in cui spetta all’australiano introdurre Leonard) emerge quanto il carisma di Mills sia cresciuto in questi anni, e quanto giocare con gli Spurs abbia influito.
A Rio non si è fermato un attimo per motivare i suoi compagni, rendendoli parte di una storia e dimostrando che si può essere decisivi anche senza avere statistiche appariscenti o personalità mastodontiche.
A 28 anni e con un ultimo anno di contratto da onorare in terra texana, Patty Mills dovrà prendere una grande decisione. Probabilmente Popovich rimarrà ancora diversi anni sulla panchina degli Spurs (vedi a far promesse…) e di conseguenza la stima che c’è tra i due potrebbe convincere l’australiano a rimanere, e dividere minuti con Parker e Green (visto che Ginobili appenderà gli scarpini al chiodo dopo questa stagione).
D’altro canto se la stagione 2016/2017 facesse eco all’ottima Olimpiade disputata, qualche franchigia potrebbe anche farsi ingolosire dagli intangibles della guardia australiana e farne un elemento da quintetto (magari non in una contender). Se Mills vorrà arricchire il suo palmarès dovrà accettare che i titoli in grassetto li prendano altri, ma per lui questo non è mai stato un problema e la fiducia che lo circonda negli ambienti NBA è la riprova che anche senza essere superstar si può contribuire alla narrativa di questo sport.
Quella di Patty è ancora una storia in divenire e tra quattro anni, a Tokyo, sarebbe bello se si arricchisse di una medaglia olimpica.