Q: Stefano Salerno, redattore di NbaReligion
Westbrook, Davis, Harden, Lillard: l’NBA sta diventando sempre più la Lega dei giocatori e sempre meno quella delle squadre. Perché?
A: Per diverse ragioni. Siccome ai nomi che hai giustamente citato aggiungerei anche quelli di Cousins e Wall analizziamo subito le specifiche situazioni: sei fenomeni con squadre non all’altezza. Che da diversi casi isolati si riesca ad ottenere una tendenza?
Caso Westbrook: 2 Russ 2 care. Il prodotto di UCLA ha iniziato la stagione esattamente come si pensava: incazzato come un drago e pronto a fare incetta di premi personali. Allori che gli interessano molto siccome ha firmato un’estensione con OKC: non significa che il più agguerrito competitor della NBA voglia più il titolo MVP del Larry O’Brien Trophy, ma non è neanche in quello stadio della carriera in cui l’anello significa tutto. Ricordiamo tutti cosa quale fosse la fissa di LeBron qualche anno fa, no? It’s all about the Larry O’Brien. E ricordiamo tutti cosa fece pur di vincerlo quel dannato titolo, eh tifosi di Cleveland? Westbrook, come tutti gli altri cinque ragazzotti, a quel livello di fissazione. Perché è troppo Russell Westbrook per esserlo.
Caso Davis: #FreeBrow. Sul povero monociglio da Kentucky c’è poco da dire. La sfortuna continua a decimare i Pelicans, ancora senza Holiday, Tyreke Evans e il buon Quincy Pondexter. Tutto ciò è un bene per noi fan di Tim Frazier, ma il buon Capo Pellicano ne avrebbe anche piene le scatole di Asik, Cunningham ed Ajinca. Ma ha firmato un rinnovo milionario, quindi va bene così.
Caso Harden: uomo solo al comando. Evidentemente Houston vuole apparire nell’immaginario collettivo come la squadra del Barba + altre comparse. Il secondo giocatore più pagato dalla franchigia texana è il 28enne Ryan Anderson: dalla free agency sono arrivati solo giocatori di contorno. Un supporting cast che dovrebbe mettere sotto i riflettori la stella barbuta della squadra: Coach D’Antoni ha detto che vorrebbe veder raddoppiata la cifra di assist della sua nuova PG fresca di elezione. Vedere Harden sollevare il titolo di MVP a fine stagione dopo 43 minuti con 33 punti e 12 assist di media è un’utopia? In una squadra da 38 vittorie, sia chiaro.
Caso Lillard: D.O.L.L.A. E’ da poco uscito, se non ve ne siete accorti, il primo album di Damian Lamonte Ollie Lillard e non è neanche male. I suoi Portland Trail Blazers, dopo la scorsa stagione da sorpresa assoluta, non si possono più nascondere: i contrattoni firmati da Evan Turner, Allen Crabbe e CJ McCallum indicano che il core, in Oregon, già l’hanno scelto. E’ quello giusto per vincere? Lillard vince sì partite allo scadere, ma in Finale di Conference non arriva neanche quest’anno.
Caso Cousins: semplicemente DMC. I Sacramento Kings sono, da tempi non sospetti, una delle più schernite squadre della Lega. Il problema non è vincere o perdere, è fare in modo che tutto ciò che li coinvolge non risulti bizzarro. Per calmare un po’ le acque (e per evitare una relocation…) è stata costruita una nuova arena. Per cercare di mettere la testa a post a Boogie è stato chiamato un altro Coach. Lui, di cambiare aria, non ne vuole sapere: è il miglior big man del Gioco, ma evidentemente si diverte nel suo personalissimo parco giochi.
Vivek ho perso l’aereo.
Caso Wall: impotenza. Il povero John Wall più che fare un 20+10 malcontato di media a stagione non sa proprio cosa fare. Il suo compagno di merende Bradley Beal è stato più in infermeria che sul parquet, la panchina è corta corta e anche il frontcourt – cioè Marcin Gortat – invecchia. Le sue uniche speranze per raggiungere i Playoffs sono un Beal sano come non mai e una breakout season di Otto Porter. Oppure una stagione da most improved player da Ian Mahinmi, Markieff Morris o Andrew Nicholson. A Washington, campagna elettorale o meno, di questi giorni si attendono risposte.
Cosa ci dicono tutte queste belle storie? Sarà possibile che due/tre questi giocatori si ritroveranno tra qualche anno ad unire le forze per arrivare a quel titolo che non hanno mai vinto? Un esempio, un po’ più in là con gli anni, di qualcuno che non si è dannato l’anima per arrivare all’anello è Carmelo Anthony. My city my heart e ok, ma Melo, vattene da Chris Paul o da chi vuoi e cerca di vincere per piacere.
Magari in futuro Damian Lillard chiamerà un giorno sì e l’altro pure DeMarcus Cousins per convincerlo a venire nell’Oregon per tentare di vincere. O John Wall chiederà una mano ad Anthony Davis. Magari Westbrook sentirà la mancanza di Harden e i due formeranno la più grande coppia di guardia in maglia Lakers, chi lo sa. Di certo, vedere giocatori costretti nella mediocrità dai contesti in cui giocano e sul divano da metà Aprile è triste, molto triste.
Scritto da Michele Pelacci