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Stats per game – 26.9 pts, 4.0 reb, 5.9 ast, 49.6 fg%, 42.4 3p%
Partiamo da Steph per una serie innumerevole di motivi: è l’attuale detentore del premio, gioca nella squadra che l’anno scorso ha stabilito il nuovo best record in regular season, salvo poi perdere l’anello in gara-7 contro Cleveland, a cui è stata aggiunta anche una delle superstar della Lega ed è il miglior tiratore da 3 in circolazione, forse della storia. L’MVP, però, è un premio personale anche se, ovviamente, legato ai risultati di squadra. E se l’anno scorso fu il dominatore assoluto per tutta la stagione quest’anno le cose si sono fatte più complicate per realizzare il three peat. Aggiungere ad una squadra con numerose stelle un giocatore del calibro di Kevin Durant porta, obbligatoriamente, ad una redistribuzione delle responsabilità offensive e delle luci della ribalta che fino all’anno scorso doveva dividere “solo” con Thompson e Green. Se quello che sta subendo di più l’ingresso in squadra di Durante è Klay, spodestato dal ruolo di secondo violino, non si può dire con assoluta certezza che Curry sia ancora la stella più luminosa della squadra. Certo, si è preso ancora il palcoscenico con prestazioni da urlo, ma non sta rendendo al livello delle ultie due annate, forse consapevole di come sia necessario risparmiarsi in vista dei playoff per non arrivare spremuti in fondo. I numeri sono lì a testimoniarlo, è calato rispetto all’anno scorso in tutte le statistiche: punti, assist, tiri presi e percentuale dal campo, soprattutto da 3. L’altro lato della medaglia di giocare in una squadra così forte è che, con ogni probabilità, i Dubs avranno il miglior record della Western Conference. I risultati di squadra non sono l’elemento principale della valutazione ma sicuramente incidono. Una cosa è certa, quest’anno non sarà una corsa solitaria.