Olimpiade di Barcellona 1992. Questo fotogramma di assoluto culto affresca oggi la parete della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield, Massachusetts, la Gerusalemme di chi professa il credo cestistico.
Non serve enunciare nome e cognome di questi dodici apostoli della NBA per ricordare che assieme composero la squadra di basket più forte di tutti i tempi. Un volto però sfugge ai più. E’ quello del ragazzo bianco stretto fra Jordan e Magic, il solo atleta non professionista di quella formazione ed il solo atleta il cui cognome non compaia nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, salvo che nella didascalia di questa foto.
Il giovane serioso si chiama Christian Laettner, ben più noto con il poco lusinghiero epiteto di “brocco del Dream Team”. Il membro spurio di quella mitica squadra di leggende all’epoca però non sembrava rubare il posto proprio a nessuno; men che meno a Shaq, altro brillante prospetto collegiale del primo lustro anni ’90, ma assai meno emblema dell’All America Boy che invece Laettner poteva rappresentare dinanzi al mondo.
Christian nasce ad Angola, nello Stato di New York, in una famiglia cattolica dalle radici polacche. Figlio di mamma Bonnie, una maestra che l’ha seguito passo passo negli studi, e di papà George, tipografo del Buffalo News, i due gli impongono il nome Christian in ricordo del personaggio che Marlon Brando, l’attore prediletto dai genitori, impersonava nel lungometraggio di Milestone: Gli ammutinati del Bounty.
Con diligente rispetto della confessione di casa, Laettner al liceo opta per la cattolicissima Nichols High School, dove sui banchi di scuola colleziona le A e fuori ha la fila di ragazze in gonna coi volant ad aspettarlo, come più si addiceva ai front-men delle rock bands. Già alto 2,11 metri, Laettner però non si fa distrarre dai piaceri carnali e sin da subito mostra una fame di competizione senza eguali. Suole arrivare alla palestra sempre sul presto, indossando la giacca di pelle ed un’attillata t-shirt bianca, con occhiali da sole modello Aviator in rigoroso seguito della moda di Top Gun, che in quegli anni impazzava per le sale di tutto il mondo come assoluto compendio del cool. Poi si cambia, infila le scarpe da gioco e bizantineggia segnando anche 67 punti già durante il suo anno da matricola (record ogni epoca alla Nichols), in un circuito cestistico dove nessuno è tanto alto o abbastanza veloce anche solo per intimidirlo.
La famiglia Laettner però naviga in una profonda crisi finanziaria e la scuola, per tenerselo stretto, è costretta a sovvenzionare la sua permanenza sui banchi e sul parquet, mentre per conto suo Christian racimola qualche Presidente morto svolgendo i lavori più disparati. Il sacrificio comunque dà i suoi frutti e Laettner porta la Nichols a due titoli statali ed altrettante comparse in semifinale durante i suoi quattro anni di presenza. Già dai primordi, Chris non emerge quale giocatore spettacolare, ma la sua incisività ed eleganza sono naturali come lo sbocciare dei fiori di ciliegio durante l’Hanami nell’Honshu.
Con fondamentali che ancora profumano di Giorno del Ringraziamento, Laettner va a Duke, estuario naturale per una personificazione del sogno americano del suo stampo. I Blue Devils dopo il suo arrivo inanellano tredici vittorie consecutive e Chris segna 24 punti in faccia ad Alonzo Mourning nella Finale di East Regionals del suo primo anno. La squadra di Coach K però è ancora acerba e viene eliminata in semifinale da Seaton.
Nell’anno successivo, Christian raddoppia le proprie medie stagionali ed anziché in semifinale, protrae l’avanzata di Duke sino alla finale NCAA, in seguito anche ad un meraviglioso buzzer beater messo a segno contro UConn nelle final 8. I Blue Devils però sono spazzati via questa volta dalla corazzata UNLV di Coach Tarkanian e il tempo dei festeggiamenti è posticipato di un’orbita.
Gli astri ormai sono allineati, è giunto il momento propizio per vincere. E infatti vince, l’anno dopo, battendo in semifinale i predetti Running Rebels di UNLV. Piccolo particolare: nel frattempo a Duke è arrivato anche Grant Hill, sì quel Grant Hill, che nonostante sia un freshman guadagna in fretta il ruolo di braccio destro di Laettner. La convivenza tra i due non è immediatamente delle migliori, anche perché Christian ha la nomea di essere una diabolica faccia d’angelo: livoroso con i compagni, attaccabrighe con gli avversari, ma anche magneticamente irresistibile sul campo da pallacanestro. Tuttavia Krzyzewski riesce a mantenere l’amalgama quanto basta ed è taglio della retina, dopo avere sconfitto i Kansas Jayhawks.
Ma il vero momento in cui Laettner stacca il biglietto aereo per andare a Barcellona è durante la stagione successiva, quando vince ancora giocando nella East Regionals Final una delle partite più belle della storia del college basketball. Nella gara in questione contro Kentucky Christian non gioca, tracima tirando 10 su 10 dal campo ed altrettanto dal tiro libero. E poi, bhé poi succede quello che ti aspetti succeda nel lieto fine delle favole. A 2 secondi e spiccioli dalla fine Hill concretizza un touchdown dalla rimessa direttamente nelle mani di Leattner, il quale dopo un palleggio di assestamento pittura un giro e tiro da esposizione. La palla gira e gira e gira e sono due sulla sirena. La cavalcata dei Blue Devils si realizzerà poi contro Michigan State, letteralmente cancellata in una finale senza quartiere, durante cui Laettner viene consacrato con la nomina a migliore giocatore del torneo.
Mentre però Christian è indaffarato a miniare la storia di Duke, al piano superiore si discute circa quali siano gli ultimi due nomi da chiamare per prendere parte ai Giochi Olimpici di Barcellona dell’estate 1992. Al ballottaggio ci sono: Wilkins, Thomas, Drexler e proprio Chris. All’esplosiva ala di Atlanta subentra Clyde e circa le vicissitudini correlate all’esclusione di Isiah ci sarebbe da scrivere una storia a parte. Per asciugarvi il tutto mi avvalgo delle parole di un membro di quella squadra, Charles Barkley, il quale dice sempre la verità, anche se con toni spesso al limite del politicamente corretto:
Michael e Scottie non lo vogliono. Anche a Larry non sta simpatico e Malone dice ma non dice. Alla fine, dovesse venire, toccherà sicuramente a me dividere la stanza con Thomas
Come ci insegna la storia, Isiah con la Nazionale in Spagna non andrà mai e viene dunque convocato il promettente Christian Laettner da Duke University, come monito di quanto la rappresentativa Statunitense negli impegni internazionali era sempre stata sino a quel momento.
Alle esibizioni del Dream Team Laettner prenderà parte in qualità di comparsa e sempre a partite già decise, ma quando ci sarà da tornare in patria, anche lui al collo avrà il cerchio d’oro con sopra scritto “XXV° Olimpìada–Barcelona ‘92”.
A questo punto mi viene in mente una vecchia frase, sentita qualche anno fa durante una partita delle giovanili, in una palestra dal clima artico in cui ai ragazzi era stato permesso di giocare con le maniche lunghe sotto la divisa, causa rischio assideramento. Ecco, mentre le nuvolette di vapore fuoriuscivano dalle bocche dei giocatori, fra il pubblico mi capitò di udire:
Ai vòl anc î brùc par fèr vàddar che chî ètar i én bòn
Parafrasando per i meno abili con le traduzioni dal dialetto bolognese all’italiano: “sono necessari anche i brocchi per far vedere che gli altri siano buoni”. Ora, con tutte le dovute precauzioni del caso, forse il non essere all’altezza di Laettner fu proprio uno dei motivi che misero in risalto ancora di più, qualora ce ne fosse stato bisogno, l’ammorbante talento degli altri undici.
Nonostante sia già stato coniato il soprannome di brocco del Dream Team, Christian comunque nella NBA ci accede dalla porta principale, con la terza scelta assoluta dei Minnesota Timberwolves e dietro solo ad O’Neal e Mourning.
A dispetto di quanto ci si aspettava da uno con il suo palmarès, le tredici stagioni che Laettner disputa in NBA sono anni di poco, in cui passa dall’essere un eccellente prospetto, a discreto sesto uomo e poi ultimo della panchina. La deludente carriera di Christian si conclude con l’infamia per anticamera, in seguito ad una squalifica di 5 gare, lucrata per essere risultato positivo al test antidoping.
Ad essere onesti però, gli anni da professionista per Laettner non furono poi così male, se non fosse stato che il suo approdo nella Lega fosse avvenuto in così grande pompa magna, frastagliato fra chi lo ricopriva di elogi e chi d’insulti. Ad azzardare, forse il principale motivo per cui Chris non brillò mai fu proprio la poca preparazione psicologia che aveva a pressioni di quel tipo. Per fuorviare i dubbi però, sarebbe necessario prendere un aereo, sbarcare in Indiana e citofonare Fort Wayne Mad Ants in D-League, dove, ironia della sorte, oggi Christian allena quei giocatori che non sono abbastanza per stare coi più forti.
Laettner ora è benestante e felice, dopo essere risalito dal baratro dei debiti finanziari; sì perché il ragazzone mezzo polacco ha rischiato persino qualche annetto di gattabuia, per essersi fatto imprestare soldi da Scottie Pippen e non averglieli mai restituiti, se non dopo varie pressioni legali.
Il momento più lirico della vita di Laettner tuttavia s’incastra proprio fra il post-crack finanziario e l’arrivo a Fort Wayne in qualità di vice. Quando, vent’anni dopo Barcellona, ai microfoni di Fox Sports parla una voce poco conosciuta, la quale, richiesta di un parere personale sui Giochi Olimpici da lui disputati confronto quelli in corso a Londra 2012, fa marcia indietro e dichiara:
Basta parlare di me. Ora voglio solo parlare degli altri
E’ proprio Laettner, che dopo anni da protagonista nel bene e nel male, è sazio di sé stesso e vuole solamente dedicarsi alle storie altrui.