Passata la boa di metà stagione la lotta ai playoff si fa sempre più serrata e accattivante. Ma mentre ad est ci sono almeno otto squadre che continuano a scendere e salire rubandosi piazzamenti e speranze, ad ovest la situazione sembra già più delineata. Anche qui ci sarà una gran bagarre per assicurarsi l’ottavo (ed ultimo) posto disponibile ma la stagione sembra aver già espresso un blocco solido da affiancare alle annunciate Golden State, Spurs e Clippers.
Ci sono i Rockets di Mike D’Antoni, che con un Harden così non potrebbe essere altrimenti, ci sono i Thunder di Godzilla Westbrook, uno che sta giocando una stagione in tripla doppia, così, per ricordarlo sempre. Ci sono i vecchi-nuovi Memphis Grizzlies e soprattutto ci sono gli Utah Jazz, che nonostante continuino il loro valzer di infortuni periodici si sono finalmente rivelati ripagando le aspettative.
Dopo una stagione scorsa appunto travagliata, che molto probabilmente gli ha precluso l’accesso ai playoff con un giro d’anticipo, la squadra allenata da Quin Snyder sembra definitivamente esplosa e sta dimostrando di essere un’avversaria tosta per chiunque, soprattutto in ottica playoff. Oltre ad essere cresciuti in attacco, dove adesso segnano oltre i 106 punti su cento possessi, i Jazz si stanno confermando una della migliori difese della lega (101.4 di DefRtg, secondi solo ai Golden State Warriors), capaci di controllare bene il proprio tabellone e di sfruttare la versatilità, l’atletismo e la lunghezza dei propri giocatori.
In estate il GM Lindsey ha perfezionato il roster, aggiungendo ad un roster talentuoso ma giovane elementi esperti come Diaw, Joe Johnson e George Hill. Il risultato è quello di aver creato uno dei roster più profondi e meglio assortiti di tutta la NBA, permettendo a Snyder di potersi adattare a più situazioni di gioco. A questo proposito l’arrivo di Hill in estate in una trade che fin da subito odorava di vittoria per i Jazz sta ripagando le aspettative. Nonostante un inizio di stagione sfortunato causa infortuni di vario genere l’ex play di Indiana è un tassello fondamentale: nessuno in squadra ha valori migliori dei suoi per efficienza offensiva e difensiva (con un +13.6 di Net Rating, nono migliore dell’intera NBA per quelli che giocano almeno venti minuti a partita), così come nessuno tira così bene da tre visto il 41.7% (career high) su quasi cinque tentativi a sera.
La sua duttilità difensiva ― in un mix di struttura fisica (chili, centimetri) e mobilità ― gli permette di cambiare senza soffrire i mis-match, cosa che permette a chi gli gioca accanto di non doversi sobbarcare tutto il lavoro sui migliori giocatori avversari. In attacco invece Hill è perfettamente in grado di rendersi pericoloso sia con la palla che senza: può crearsi un tiro dal palleggio, come portare il suo avversario in post o giocare da spot-up shooter aspettando fuori dall’arco, garantendo a Utah quelle spaziature offensive assenti nella passata stagione. Non è un caso infatti che con Hill in campo i Jazz abbiano perso solo sei partite (di cui le ultime due) su 23 totali.
L’arrivo di George Hill è andato a completare un terzetto che sembra perfetto per giocare assieme con Gordon Hayward e Rudy Gobert, tant’è che nelle 17 partite giocate assieme i Jazz hanno perso soltanto tre volte. Sia Hill che Hayward sono abili sia nel condurre il pick-and-roll ― il gioco maggiormente utilizzato dall’attacco di Utah con oltre il 20% ― sia di posizionarsi sul lato debole in attesa degli scarichi, visto che anche Hayward sta tirando attorno al 40% da oltre l’arco ed ha un arsenale offensivo sempre più completo. Il prodotto di Butler sembra migliorare di stagione in stagione ed anche quest’anno è cresciuto nella produzione offensiva (21.7 punti a partita): nonostante se ne parli sempre poco è oramai appurato il suo valore di All-Star.
Anche Gobert sta giocando una stagione da stella assoluta. Oltre a tenere medie superiori a quelle avute in carriera (compreso un clamoroso 66.8% dal campo) si sta confermando come uno dei rim-protector più efficaci della lega. Anzi, togliamoci la maschera: ad oggi Gobert è il migliore rim-protector in circolazione (complice anche il minutaggio ristretto di Embiid).
La sua capacità di proteggere il ferro sconsiglia gli avversari ad avventurarsi a centro area e permette a Snyder di orientare la sua difesa sul serrare la zona più pregiata del campo ― la restricted area ― lasciando tiri a più basse percentuali come long-twos o jumper contestati. Grazie al lunghissimo centro francese inoltre i Jazz possono permettersi una maggiore aggressività sul perimetro o sulla palla consapevoli del fatto che qualcuno a coprirgli le spalle ci sarà sempre.
L’area dei Jazz è comunque una delle meno accessibili della lega grazie anche ad altri due fattori: la presenza di tanti esterni in grado di reggere fisicamente i mis-match come Hood, piuttosto che Lyles o Joe Johnson, e per la presenza di Derrick Favours. Quest’ultimo, nonostante giochi da ala forte può essere considerato a tutti gli effetti un centro aggiuntivo e questo aiuta ulteriormente ad intasare l’area in difesa. Al tempo stesso però Favours complica le spaziature offensive ed è proprio per questo che, nonostante sia lui lo starter al fianco di Gobert, nel quarto periodo il suo minutaggio si riduca drasticamente.
I Jazz sono la penultima squadra per PACE della lega con appena 93.50 possessi (solo Dallas va ad un ritmo ancora minore) e giocano un attacco sistematico a metà campo basato su tantissimo pick-and-roll, dal quale segnano quasi un punto per possesso col 51.3% di percentuale reale dal campo, tra le primissime nella lega. Inoltre la poca transizione (solo il 9% del loro attacco) costringe Snyder a dover avere delle spaziature offensive che permettano di sfruttare al massimo ogni possesso.
Quindi nei minuti decisivi delle partite i Jazz, nel ruolo di Power Forward, spesso preferisco a Favours un giocatore più mobile ed in grado di spaziare meglio il campo (o se preferite pericoloso da oltre l’arco) come Johnson o Lyles, o come Boris Diaw che dopo un avvio in sordina adesso garantisce più soluzioni in entrambe le metà campo. Nei sessanta minuti giocati insieme dal quintetto Hill-Hood-Hayward-Diaw-Gobert il NetRtg sale fino ad un irreale +39. Un mini Death Lineup.
Con la crescita dell’ex giocatore dei San Antonio Spurs e il ritorno dal doppio infortunio di Alec Burks i Jazz possono adesso contare anche su rotazioni più profonde e soprattutto un maggiore contributo dalla propria panchina. Così come sono importanti ― o potrebbero diventarlo nel proseguimento della stagione ― giocatori come Ingles o Dante Exum, piuttosto che la varietà offensiva di Lyles o la capacità di rendersi pericoloso in isolamento di Joe Johnson, al quale i Jazz potrebbero affidarsi nei momenti cruciali della partite quando la palla scotta di più. Questo per dire quanto realmente profondo sia il roster dei Jazz e quante scelte possa avere a disposizione Snyder ogni sera. Cosa che comunque porterà a delle decisioni non proprio semplicissime date le condizioni salariali di molti e la quasi certa impossibilità di tenerli tutti.
Ma questi sono argomenti che verranno trattati in estate. Per adesso Utah è concentrata nell’ottenere il miglior piazzamento possibile in vista dei playoff, con la consapevolezza di potersela giocare con tutti e di avere uno dei campi più caldi ed ostici dell’intera lega. Senza infortuni da qui alla fine della regular season non è così irreale pensare ad una quota 50 vittorie, cosa che porrebbe con molta probabilità i Jazz nelle prime quattro della conference (che tradotto vuol dire vantaggio del campo al primo turno). Se si considera anche l’infortunio che terrà Chris Paul lontano dai campi per due mesi ― forse fino all’inizio dei playoff ― sembra più di un’idea. I Jazz ci sperano, e sembrano avere tutte le carte in regola per potersi divertire fino alla fine.