Once a Knick, always a Knick
Non vale per tutti. Non vale per Carmelo Anthony, il cui futuro in questi giorni sembra essere sempre più lontano dalla Grande Mela. Phil Jackson non lo vuole, al Garden lo fischiano e persino per l’All-Star Game è stato snobbato. Ma cosa ha portato il miglior marcatore di Team USA a diventare l’ospite indesiderato a New York?
Rimettiamo gli orologi indietro di un mese o poco più. E’ il 25 di dicembre 2016 e mentre gli occhi degli appassionati NBA sono tutti puntati sulla Quicken Loans Arena per Golden State-Cleveland, al Garden i Knicks perdono contro i Celtics di Thomas 114-119. E’ il cosiddetto point break, il punto di rottura, dopo il quale gli equilibri già vacillanti in casa New York crollano definitivamente.
Prima i Knicks gravitavano nella parte alta dell’Eastern Conference con un record vincente di 16-13, senza infamia ne lode. Da quella data in poi il vuoto. Melo e compagnia hanno inanellato ben 16 sconfitte su 22 partite disputate. La colpa è subito ricaduta sul leader dei bluarancio. Il numero 7 da Brooklyn ha così imparato a proprie spese quanto a New York sia sottile il confine che divide l’essere un’icona dall’essere un problema.
Anthony nelle suddette partite ha sfondato il muro dei 20 punti in 13 occasioni, ma di queste solo 3 sono risultate decisive per il successo dei suoi Knicks. Nelle rimanenti 10 gare invece le prestazioni offensive da superstar di Melo sono state insufficienti; fra queste spicca la sconfitta giunta dopo quattro tempi supplementari contro Atlanta, sebbene Anthony avesse segnato 45 punti tirando il 50% dal campo.
Anche in tempi di crisi, la qualità offensiva di Melo non è mai stata in discussione. Nonostante la spiccata predilezione per una pallacanestro statica, fatta di ripetute iso-ball o forzature, ed il calo di fisicità, riscontrabile nei 5.2 tiri liberi tentati a partita contro gli 8.9 dei tempi a Denver, il suo jumper rimane uno fra i più eleganti ed efficaci della NBA.
Il punto debole del talento di sangue portoricano è, come noto, la difesa. Carmelo Anthony possiede un defensive rating personale (punti concessi all’avversario calcolati su 100 possessi) di 110.5, il più alto della sua carriera. Il dato è influente per interpretare il 24esimo piazzamento dei Knicks nella classifica riguardante questa voce statistica. Mettiamoci anche un contrattone da 24 milioni di dollari annui, che diventerebbero 29 in caso di trade prematura, come conseguenza del 15% sul totale percepibile in aggiunta, ed ecco chiarito il perché Anthony sia d’un tratto diventato un pacco troppo oneroso in rapporto a quanto rende, di riflesso difficile da spostare.
Come in ogni Melo-Drama che si rispetti, nella querelle non manca poi il sensazionalismo. Quando infatti Anthony sottoscrisse il quadriennale con i Knicks nel luglio 2014, fra le postille compariva anche una no-trade clause, che ora si sta rivelando una spada di Damocle per New York intenzionata a sbarazzarsi di lui. Avvalendosene Melo tiene in scacco la dirigenza, avendo diritto all’ultima parola su qualsiasi decisione di mercato che lo riguardi. Può perciò rifiutare di essere scambiato prima della scadenza di contratto nel qual caso la meta prevista non dovesse ottemperare alle aspirazioni e ai bisogni suoi e della moglie. Perché se per Anthony, 33 anni questo maggio, la priorità è giocare in una squadra di alto livello e in corsa per il Larry O’Brien Trophy, per l’influente consorte e showgirl LaLa Vasquez altrettanto importante è abitare in una città che abbia un certo tenore di vita. Comunque andrà, possiamo stare sicuri che la famiglia avrà un peso considerevole se non decisivo sulle scelte di Anthony.
Solo dopo che le pressioni silenti di Jackson e le voci di trade sul giocatore si sono fatte troppo insistenti la vicenda è infine passata dalle parole ai fatti. Anthony s’è visto costretto a rilasciare una dichiarazione non fuorviante sulla faccenda. Ha detto quindi di non essere intenzionato ad abbandonare New York questo inverno se non per Cleveland o Los Angeles, sponda Clippers (rispettivamente alla corte degli amici James o Paul). La telefonata ai Cavs è così stata precipitosa. Phil Jackson ha proposto alla franchigia dell’Ohio uno scambio inter pares Anthony-per-Love che però è stato subito smorzato con un secco «No, grazie», lasciando presupporre che l’ipotesi Cavaliers possa rimanere perpetrabile solo in cambio di comprimari (Shumpert, Frye, Liggins e qualche scelta futura). Per il momento la prospettiva rimane fanta-NBA, ma se i Knicks si dovessero trovare alle corde, non sarebbe impossibile assistere alla nascita dei “Fantastici 4″ a Cleveland, dove con l’asset-Melo si verrebbe a comporre il quintetto offensivo più forte di sempre (?).
Abbandonando le fantasticherie in favore della realtà, il Presidente Knicks si è attivato anche sulla costa Ovest, dove nella deferenza di Doc Rivers, dettata dalla necessità di scuotere in qualche modo il proprio roster, ha trovato un papabile partner con cui imbastire uno scambio vantaggioso per entrambi. L’interesse mostrato dai Clippers per arrivare ad Anthony riporta la memoria al 22 di febbraio 2011, quando furono i Knicks ad accaparrarsi i servigi di Melo da Denver, cedendo alla smania di ottenerlo a tutti i costi prima che diventasse free agent in estate. Per quel colpo di mercato New York fu costretta a smantellare mezza formazione. Oggi, gli sforzi dei Clippers nella corsa a Carmelo rischiano fortemente di naufragare in quella direzione. Lo stesso Doc Rivers si è detto disposto a scambiare chiunque meno i propri Big 3, i quali comunque non potrebbero approdare nella Grande Mela a causa di incongruenze contrattuali con l’ingaggio di Rose. Le teste più papabili a cadere in quel di Los Angeles diventano a questo punto il figliol prodigo Austin Rivers (11 milioni annui) e Jamal Crawford (14 milioni), se non altro per liberare quello spazio salariale necessario a firmare Anthony.
La riluttanza di Jackson nell’accogliere un veterano come Crawford a quelle cifre pone però le trattative in una situazione di stallo. Alle due controparti si rende indispensabile l’inserimento di una terza franchigia per mandare in porto l’affare. Ecco quindi che subentra l’ipotesi Boston.
Ultimamente lo stesso Anthony avrebbe rivisto le proprie priorità, individuando nei Celtics una possibile buona mediazione. La cosa non ha fatto altro che stuzzicare l’interesse Bostoniano, che, da forza “ausiliaria”, ha iniziato a contemplare l’idea di concorrere per il fuoriclasse. Ma in casa biancoverde non tutti la pensano alla stessa maniera. Se infatti coach Stevens si sarebbe definito entusiasta di poter allenare una superstar del calibro di Melo, la dirigenza non è convinta ad impegnarsi in una scommessa tale, che potrebbe sì apportare quel valore aggiunto per diventare contender, ma anche scardinare gli equilibri creatisi all’interno del gruppo Celtics.
Boston rimane 20esima nella classifica totale per defensive rating e perciò, come analizzato, Anthony potenzialmente sarebbe più deleterio che altro sotto questo aspetto, abbassando gli standard difensivi di squadra. Allo stesso tempo, il suo essere secondo in NBA per punti realizzati dal gomito potrebbe invece aiutare non poco i Celtics con le difficoltà dimostrate in post alto. Boston in questa zona del campo viaggia con percentuali che oscillano dal 35.6% al 43.9% e 2.9 punti realizzati a partita di squadra (meno di quanto faccia Melo in solitaria). Anthony dalla stessa posizione martella appunto con una costanza di 1 su 2 (50%) ed è il secondo migliore in NBA anche per punti dalla media distanza. Inoltre, il suo offensive rating da 106.2 punti su 100 possessi incrementerebbe il già alto 109.3 che fa di Boston la quinta miglior squadra della Lega.
Complessivamente, a livello di organico i Clippers sembrerebbero la formazione favorita ad assorbire l’innesto di Anthony, soprattutto a livello difensivo grazie al buon DEFRTG da 104.8 (decimi in NBA). Dall’altra parte Boston, accantonate le frazioni interne, potrebbe invece fare di Anthony quell’elemento offensivo da affiancare a Thomas per “far quadrare i conti”. Imprescindibile per entrambe le franchigie in causa, per non fare dell’affare Anthony un’arma a doppio taglio, sarà l’abilità nel sacrificare in suo favore pedine non troppo influenti sulla chimica di squadra e saper quindi integrare in fretta Carmelo all’interno del proprio sistema.
Presumibilmente il Melo-Drama si protrarrà sino a ridosso della trade deadline (23 febbraio), mettendo giorno dopo giorno a dura prova la concentrazione del nove volte All-Star, che ha definito questa storia «mentalmente snervante». Ma poiché il futuro è un mistero e noi non siamo né indovini né chiromanti, l’analisi finisce qui e non ci resta che assistere alla storia nel suo compiersi.