Tre delle palle rubate più famose della storia della NBA appartengono ai Boston Celtics, forse le più importanti. Giocate che esprimono a pieno titolo il Celtic Pride, lo spirito agonistico e la tradizione vincente che caratterizza la franchigia biancoverde. Intuizioni fulminee determinanti per cambiare il corso degli eventi, tutte nell’infuocata atmosfera del vecchio Boston Garden. Partendo dalla più recente, la prima è il “furto” di Larry Bird in gara-5 di Finale di Conference 1987, quando a cinque secondi dalla sirena, con i Detroit Pistons in vantaggio di un punto, intuisce la traiettoria di una rimessa laterale effettuata forse con troppa leggerezza da Isiah Thomas, intercetta la palla – “Now there’s a steal by Bird”, esclama Johnny Most, lo storico e rauco radiocronista dei Celtics – danza sulle punte per evitare di pestare la linea di fondo, vede con la coda dell’occhio il taglio in area di Dennis Johnson e gli offre l’assist perfetto per il canestro della vittoria. La seconda palla rubata risale a tre anni prima, a gara-2 delle Finals 1984. Con i Los Angeles Lakers in vantaggio di due punti e quindici secondi da giocare, Magic Johnson si mette a fare un rischioso passaggio a James Worthy, ma Gerald Henderson capisce tutto, intercetta e va a segnare il lay-up del pareggio che condurrà la partita all’overtime, in cui Boston vincerà, in una delle serie finali più belle di sempre. La terza palla rubata passata alla storia, infine, accadde il 15 aprile 1965, è valsa ai Celtics il titolo della Eastern Conference e anch’essa è ricordata per una frase uscita dalla bocca di un Johnny Most in delirio:
Havlicek steals it… Over to Sam Jones… Havlicek stole the ball! It’s all over, it’s all over! Johnny Havlicek is being mobbed by the fans! It’s all over! Johnny Havlicek stole the ball!
A cinque secondi dalla conclusione, con i Celtics in vantaggio di un punto sui Philadelphia 76ers 110-109, Boston ha una rimessa laterale dalla propria linea di fondo. Per vincere basta che l’incaricato Bill Russell effettui il passaggio a un compagno e questo scappi via palleggiando per far esaurire il cronometro. Però, nello sport come nella vita, capita che nei momenti di maggior tensione succedano gli imprevisti più impensabili: Russell alza troppo la parabola e la palla colpisce uno dei tiranti di sostegno del canestro. E così gli arbitri assegnano la rimessa ai Sixers, i quali hanno bisogno di segnare per sorpassare i Celtics e vincere partita e serie. Il più temuto è Wilt Chamberlain, ma è ben marcato da Bill Russell, seppur ancora stordito per la banale palla persa. In generale la difesa dei biancoverdi funziona bene: Hal Greer, che si occupa della rimessa, non trova compagni liberi, così azzarda un passaggio piuttosto lungo a Chet Walker. Tra Walker e la palla si materializza John Havlicek. In un lampo il #17 dei Celtics intuisce che il pallone arriverà al diretto avversario, si volta e tocca la sfera girandola subito verso Sam Jones, che si invola lontano, passa ancora a Havlicek mentre il tempo scade e quest’ultimo viene prima sommerso e poi portato in trionfo dai tifosi che invadono lo storico parquet incrociato del Boston Garden. Una palla rubata dallo stesso valore di un canestro clutch nella stratosfera dei Playoff NBA: l’essenza pura del basket e dell’agonismo, roba da intenditori. Perché conoscere e apprezzare vita e imprese di John Havlicek è roba da intenditori.
È difficile che un giocatore nuovo creda subito all’orgoglio e alla magia della squadra, ma ai Celtics noi ci sostenevamo a vicenda.
(John Havlicek)
John Havlicek è una delle leggende dei Boston Celtics. Non solo è uno dei protagonisti della più lunga dinastia vincente della storia del basket NBA (11 titoli in 13 stagioni dal 1957 al 1969, di cui 8 consecutivi), ma avendo giocato da protagonista fino a 38 anni è stato il simbolo della squadra anche nel decennio successivo, in cui i Celtics sono riusciti a tornare una contender nonostante non avessero più lo stellare organico degli anni ’60. La squadra allenata con spirito battagliero dal 1950 al 1966 da Red Auerbach e poi per tre anni dallo stesso Bill Russell, infatti, ha rappresentato un’epoca e forse è stata la prima a fare davvero la storia della lega, sviluppando innovazioni nel gioco che poi si ritroveranno nei decenni successivi: un basket aggressivo e veloce, improntato al contropiede, con un lungo come Russell in grado di proteggere il ferro con estrema efficacia. Il playmaker Bob Cousy, il completo Tom Heinsohn, il sesto uomo Frank Ramsay, il difensore K.C. Jones, il tiratore Sam Jones e più tardi John Havlicek sono stati i fautori di un periodo incredibile, in cui i Celtics hanno dominato il basket con il gioco migliore e un profondo spirito di squadra. Persone molto diverse tra loro che lavoravano duro insieme per un obiettivo comune, la vittoria, salutata ogni volta dal tradizionale sigaro di Red Auerbach. Un gruppo che cercava di inserire nel migliore dei modi i giocatori più giovani e di comportarsi come se fosse una grande famiglia.
John Havlicek è stato un Celtic per sedici anni, dal 1962 al 1978. Non ha mai giocato con altre squadre NBA. Ha vissuto da protagonista la fase finale della dinastia, rivoluzionando il ruolo del sesto uomo, e poi gli interessanti anni ’70 che videro protagonisti lui, Dave Cowens, Don Nelson, JoJo White, Paul Silas, con Tom Heinsohn allenatore. Dopo i fasti degli anni ’60, Boston ebbe momenti di seria difficoltà, in mezzo ai quali riuscì tuttavia a piazzare tre stagioni vincenti: i titoli del 1974 e 1976 e la Finale raggiunta nel 1975 sono i momenti chiave del decennio. Havlicek è stato un limpido esempio della filosofia dei Boston Celtics. Innanzitutto, per la sua enorme etica del lavoro: un giocatore infaticabile che si presentava sempre in campo nella migliore condizione atletica, correndo ininterrottamente da una parte e dall’altra, tanto da essere definito da Red Holzman, coach dei New York Knicks, una “dinamo umana” per la sua incredibile energia e l’altrettanto straordinaria resistenza fisica. Era il tipo di giocatore che avrebbe fatto tutto ciò di cui la squadra aveva bisogno per vincere. Ala piccola di 1,96 per 92 chili, dotata di grande versatilità, era un rebus per gli avversari: in ala le sue dimensioni non gigantesche lo rendevano troppo rapido per i suoi pari ruolo, mentre in guardia, dove si destreggiava bene grazie all’ottima padronanza dei fondamentali, poteva contare su una maggiore altezza e forza fisica rispetto agli esterni che lo marcavano. Havlicek era un giocatore completo, tenace, abilissimo in tutte le sfaccettature del gioco, difensore di grande rapidità di pensiero e inarrestabile in contropiede. Buonissimo tiratore da molte posizioni, lo era soprattutto nei momenti decisivi, tanto che venne coniata la definizione Havlicek Time. “Il miglior giocatore all-around che abbia mai visto”, disse di lui Bill Russell.
John Joseph Havlicek, che ci ha lasciati a 79 anni, fin da ragazzo si è sempre contraddistinto per il suo carattere calmo, la grande autodisciplina e l’approccio metodico all’allenamento. Una persona molto equilibrata. Fisicamente non imponente, ma robusto e con spalle larghe. E, quel che è certo, un atleta nato. Nasce il 18 aprile 1940 in un minuscolo centro dell’Ohio orientale, Martins Ferry, popolato soprattutto da minatori del carbone e operai dell’acciaio. Figlio di un immigrato ceco (all’epoca cecoslovacco) che aveva un negozio e che aveva sposato una donna di origine croata (all’epoca jugoslava), John per andare a scuola nella vicina Bridgeport, altro piccolo paese, è solito correre per alcune miglia, dal momento che i genitori non lo lasciano andare in bicicletta. Al liceo, periodo a cui risale il curioso soprannome Hondo affibbiatogli da un compagno ispirato dall’omonimo film western con John Wayne, eccelle nei classici tre sport americani: basket, baseball e football, praticando quest’ultimo nel ruolo di quarterback. Si ripete all’università, Ohio State, dove però le sue attenzioni maggiori sono dedicate al basket: i Buckeyes, che hanno la loro star in Jerry Lucas e tra le riserve c’è pure il futuro “sergente di ferro” Bobby Knight, vincono il titolo NCAA nel 1960 e arrivano in finale nei due anni successivi: tra i protagonisti c’è anche Havlicek. Come poteva avvenire in quel periodo, viene scelto sia al Draft NFL dai Cleveland Browns come wide receiver sia in quello NBA con la settima scelta assoluta dai Boston Celtics. La cosa sorprendente è che lui, all’inizio, vuole giocare a football con i Browns, che però lo tagliano dopo la preseason e allora passa definitivamente alla pallacanestro. I primi tempi non sono facili per Havlicek: i Celtics sono comprensibilmente un gruppo affiatatissimo, reduce da sei finali consecutive di cui cinque vinte e in striscia aperta da quattro, ma l’età di molti elementi comincia a farsi sentire. Il nuovo arrivato deve conquistarsi la fiducia di tutti. Bob Cousy, alla sua ultima stagione, lo definisce pubblicamente “un non-tiratore che farà poca strada”. Dopo aver concluso l’anno da rookie con una media 14,3 punti, un insoddisfatto Havlicek trascorre tutta l’estate allenandosi con l’obiettivo di far cambiare idea a Cousy e compagni. Così, quando si ripresenta in campo per la stagione 1963-64, la musica cambia: la media punti sale 19,9 e soffia il posto di sesto uomo a Frank Ramsay, avviando di fatto il processo di ringiovanimento del team.
Questo è un momento essenziale, perché John Havlicek diventerà il miglior sesto uomo di tutti i tempi, la quintessenza del giocatore che entra in campo e determina andamento ed esito della partita. Per il resto del decennio non partirà mai in quintetto, ma ciò non lo preoccupa più di tanto, perché aveva fatto suo un concetto caro ad Auerbach: non è importante chi inizia la partita, ma chi la finisce. E il più delle volte Havlicek, una volta entrato, non usciva più. Nelle sue prime quattro stagioni a Boston, si mette al dito altrettanti anelli, e saranno sei dopo i primi sette anni. Sono tante le partite memorabili da lui giocate. Una delle più celebri è gara-7 della Finale di Conference 1968, in cui i Boston Celtics cercano la rivincita sui Sixers, che l’anno precedente avevano interrotto la loro striscia di otto titoli al grido di “Boston is dead”. Dopo essere stati sotto nella serie per 3-1, i verdi rimontano e nella sfida decisiva Havlicek segna 40 punti. Nelle Finals battono ancora una volta gli eterni rivali Los Angeles Lakers, ripetendosi nel 1969 nella famosa “partita dei palloncini” così nota perché il proprietario gialloviola Jack Kent Cooke, data per certa la vittoria di gara-7 al Forum di Inglewood, aveva fatto appendere al soffitto migliaia di palloncini, che avrebbero dovuto scendere sul campo a partita finita e titolo vinto… Mai però dare qualcosa per scontato di fronte a quei Celtics, che sbancano l’arena dei Lakers vincendo il titolo forse più difficile della loro dinastia. In quella serie, Jerry West viene nominato MVP anche se fa parte della squadra perdente, caso rimasto unico. Anni dopo dirà di Havlicek: “È l’ambasciatore del nostro sport. John ha dato il suo meglio ogni notte e aveva tempo per tutti: compagni, fan, stampa”.
Dopo il 1969 i Celtics devono ricostruire, e non sarà facile. Molti veterani, compreso Russell che negli ultimi tre anni aveva fatto pure l’allenatore, si ritirano e la pietra angolare su cui ripartire è proprio il ventinovenne John Havlicek. “Passai all’essere il Celtic più giovane al Celtic più vecchio nel giro di un anno. Fu una rivoluzione”, ricorda. Ma dopo due stagioni senza approdo ai Playoff (nella 1970-71 Havlicek registra comunque la sua media punti migliore, 28,9), l’arrivo del grintoso centro Dave Cowens dà nuova linfa a Boston, che in breve tempo si cementa di nuovo intorno a lui e a Havlicek, tornando a essere una squadra competitiva. Le Finals 1974, vinte dai Celtics a gara-7 contro i Milwaukee Bucks, passano alla storia per la grande battaglia sotto canestro tra Dave Cowens e Kareem Abdul-Jabbar, ma anche per i 36 punti di John Havlicek in gara-6, vinta 102-101 con suoi 9 punti nell’overtime. Nel 1975 i Celtics escono in Finale di Conference di fronte ai Washington Bullets. L’ultimo grande acuto di John Havlicek è nelle Finali 1976 con i Phoenix Suns, in particolare in gara-5, una delle più straordinarie partite di sempre in NBA. Sul 109-110 per i Suns, allo scadere del secondo tempo supplementare, Havlicek riceve una rimessa e con una sorta di terzo tempo da lontano segna un canestro di tabella. Il Garden esplode in un’invasione di campo, ma c’è ancora un secondo da giocare: tifosi tutti fuori, quintetti dentro. C’è un tiro libero realizzato da JoJo White, perché gli arbitri avevano sanzionato un fallo tecnico ai Suns perché avevano chiamato un timeout pur non avendone più a disposizione: 112-110 per Boston. Sul cronometro campeggia sempre quel fatidico secondo. Cosa potrà mai succedere in un secondo? Beh, chi conosce bene il basket sa che tutto può accadere. Anche che Gar Heard segni il buzzer beater che porta il match al terzo overtime. La partita finirà 128-126 per i Celtics grazie agli otto punti del meno noto Glenn McDonald. I Celtics vinceranno il titolo a gara-6 e sarà l’ultimo prima dell’era Bird. Havlicek giocherà altre due stagioni prima di ritirarsi.
John Havlicek ha vinto 8 titoli NBA tra il 1963 e il 1976, di cui i primi quattro consecutivi. Non solo: ogni volta che i suoi Celtics sono arrivati alle Finals, hanno sempre vinto, e lui è stato MVP di quelle del 1974. Inserito nella Hall of Fame dal 1984 e tra i 50 migliori giocatori di sempre nel 1997, è stato convocato ben 13 volte all’All Star Game, per 4 volte annoverato nel primo quintetto NBA e 5 nel primo quintetto difensivo. Ha totalizzato 26.395 punti, 8007 rimbalzi e 6114 assist in 1270 partite, con medie di 20,8, 6,3 e 4,8. Ma al di là delle cifre e dei trofei, ciò che conta è la legacy che John Havlicek ha lasciato al basket: un patrimonio fatto di impegno, dedizione, lavoro duro, spirito competitivo e voglia di vivere questo sport in ogni sua goccia. A riprova di tutto questo è il fatto che Havlicek non sia ricordato per un canestro decisivo ma per una palla rubata. Per un gesto difensivo. Come LeBron James lo sarà per la sua stoppata su Iguodala. Perché la difesa è volontà, è tenacia, è carattere, e solo i più grandi passano alla storia per quelle azioni così diverse dal fare canestro, ma che costituiscono l’essenza più profonda del basket, apprezzate e comprese da chi vive pienamente questo gioco. Le giocate dei vincenti.
Una volta che sei diventato membro della squadra, hai successo, ti ritiri, alla fine dici: io ho fatto parte di qualcosa di speciale (John Havlicek)
Francesco Mecucci