Per il movimento cestistico italiano il 9 Luglio 2016 è il simbolo di un fallimento a tutti i livelli. La “Nazionale più forte di sempre”, come spesso è stata definita per i valori tecnici dei singoli oramai affermati a livello internazionale, ha mancato ancora una volta l’obbiettivo prefissato, ovverosia raggiungere le Olimpiadi di Rio dopo un preolimpico organizzato in casa. Quello stesso giorno, però, rappresenta il momento in cui il grande pubblico si è accorto del talento di un giocatore fino a quel momento passato sottotraccia. Il premio di MVP del torneo se lo è aggiudicato un talento croato, come è giusto che sia per una squadra che è riuscita a centrare il bersaglio grosso pur non partendo da favorita. Il premiato non è Bojan Bogdanovic, all’epoca membro dei disastrosi Brooklyn Nets ed oggi ingranaggio importante della panchina dei Wizards, nonostante abbia tenuto la considerevole media di 24.3 punti a partita. Il miglior giocatore della competizione è stato Dario Šarić.
La grande estate del classe 1994 è poi continuata alle Olimpiadi, ma se qualcuno aveva ancora dubbi sulla capacità di incidere a livello europeo dell’ala croata, costoro si sono dovuti ricredere per via di due prestazioni sontuose avvenute nelle due partite conclusive, in cui ha ribaltato i pronostici. In semifinale con la Grecia chiude con 16 punti, 8 rimbalzi, 1 assist e +15 di valutazione; nella finale contro l’Italia (con un overtime) termina in doppia-doppia per punti e rimbalzi (rispettivamente 18 e 13), accompagnati da 2 assist, 2 palle rubate ed uno stratosferico +24 di plus/minus. Se qualche addetto ai lavori americano dovesse aver buttato l’occhio sul PalaOlimpico di Torino quella sera, si sarà sicuramente stropicciato gli occhi.
L’intelligenza messa in campo dal #9 in maglia bianca è stata quella di un giocatore pronto a sostenere il grande salto dell’oceano, un talento ben consapevole delle qualità e dei difetti posseduti e non un diamante grezzo da rifinire, che spesso non viene aspettato nella fagocitante NBA. In tal senso i due anni vissuti con la maglia della Anadolu Efes in giro tra Turchia ed Eurolega sono stati fondamentali per abituare fisico e mente ad un ritmo di gioco più veloce e ad una stagione più pressante, che richiede di giocare un numero di partite elevato.
Durante l’ultimo quarto della finale preolimpica, l’Italia ha messo la testa avanti dopo aver inseguito per tutta la partita, ma Šarić reagisce e si carica la squadra sulle spalle. Fino ad 8 minuti e 30 dal termine il croato ha giocato una partita attenta in difesa sul miglior giocatore azzurro (Gallinari) e ha solo 5 punti a referto. Da quel momento però l’attacco della Croazia diventa solo lui: in tre minuti di gioco realizza 9 punti (di cui due giochi da 3 punti) e cattura un rimbalzo offensivo fondamentale. Nel frattempo carica di falli Datome e Melli, sostituiti da coach Messina, “rubando” la giocata con una meravigliosa finta di blocco per una successiva ricezione profonda, e dimostra le sue capacità di controllo del corpo battendo nettamente Bargnani in palleggio. In 3 minuti di gioco scava un solco di 8 punti che solo grazie alla spinta del pubblico viene ricucito per l’overtime.
Quello che colpisce di più è la maturità con cui questo giocatore non forzi nemmeno una giocata, prendendosi tutto quello che gli viene concesso dai vantaggi fisici (con Datome), posizionali (con Melli) e tecnici (con Bargnani) costruiti tramite scelte intelligenti di blocchi e movimenti. Una conoscenza del gioco che mostrerà anche nell’altro continente.
Non aspettatevi un asteroide che impatta talmente forte la superficie da cambiare i connotati. Non è lo stile di Dario Šarić e forse è meglio così. La capacità di rimanere quasi inosservato, di giocare praticamente nell’ombra, nonostante il grande contributo che può dare su entrambi i lati del campo, soprattutto quello offensivo, è una dote importante per chi non nasce con la stigmate della Superstar ben visibile addosso.
Šarić arriva a Philadelphia due anni dopo essere stato selezionato con la pick #12, originariamente degli Orlando Magic. Curiosamente il suo debutto arriva in contemporanea a quello dell’altra scelta dell’ex General Manager Sam Hinkie: quel Joel Embiid che viene da un lungo periodo di inattività forzata dai ripetuti infortuni. E’ ovviamente il camerunese a rubare la scena nelle prime partite, nonostante i medici ne limitino il minutaggio. Con una certezza quasi assoluta si può affermare che se non fossero sopraggiunti altri problemi fisici, il premio di Rookie Of the Year sarebbe andato per suffragio universale al centro africano. Non è quindi un caso che la crescita costante del croato passi sottotraccia in coabitazione con la straripante presenza del compagno, così come non è un caso che con l’uscita di scena di Embiid, Šarić si sia preso la leadership di Philly, condendo gli ultimi mesi di regular season con prestazioni da urlo.
Questa scalata ininterrotta è testimoniata dai numeri. Tra novembre e gennaio gioca sempre 22/23 minuti a partita, facendo quindi stabilmente parte della rotazione ma partendo in quintetto solo nelle prime 10 partite della stagione per poi finire nella second-unit. Non per questo non riesce a farsi notare da tifosi e addetti ai lavori. Alla terza partita con Orlando firma subito 21 punti tirando 9/14 dal campo, di cui 3/3 dall’arco. Impressiona la capacità di inserirsi nelle pieghe della partita, sfruttando tutto ciò che la difesa gli concede non essendo ancora entrato nei report dei vari allenatori e sfruttando l’oscurità creata dai riflettori sul più quotato compagno di squadra. La partita contro Orlando è il primo manifesto delle sue capacità.
Come detto, però, l’impatto all’interno del sistema 76ers non è da subito costante e fondamentale. Cresce in maniera rapida per un giocatore alla prima stagione sui campi americani e, in tal senso, la presenza di un giocatore su cui si possono concentrare le attenzioni dei media e dei tifosi può essere stato un toccasana. Il fatto di giocare per una squadra che non ha veri obbiettivi, che sa già di vivere un’annata di transizione, lo sgravano di aspettative e pressioni che ricoprono i giocatori di franchigie che hanno dei veri obbiettivi stagionali da raggiungere. Questo è un grande vantaggio per la corsa al ROY stagionale. Molti dei rookie più interessanti hanno subito infortuni che non gli hanno permesso di esprimersi al massimo (Simmons, Embiid), qualcuno ha avuto uno spazio minore nelle rispettive franchigie, impegnate a raggiungere posizioni di riguardo (Brown), mentre altri hanno semplicemente bisogno di maggior tempo per maturare, cosa che Šarić ha già fatto in Europa (Ingram, Chriss, Murray).
Nei primi tre mesi ha mantenuto un Defensive Rating (punti concessi all’avversario calcolati su 100 possessi) stabilmente sopra i 106 punti, un dato decisamente negativo, e anche nel suo miglior mese (febbraio) scende a malapena sui 103.7 punti. Segnale di come difensivamente non sia ancora un ingranaggio ben oliato per la squadra e di quanto margine di crescita abbia ancora davanti a sè. Embiid, per esempio, ha mantenuto la propria efficienza difensiva sotto i 100 punti per tre dei quattro mesi in cui è potuto scendere in campo. I miglioramenti su questo lato del campo saranno fondamentali per costruirsi una carriera di primo piano in NBA. Offensivamente parlando, invece, sempre in febbraio è stato eccellente, con un Offensive Rating (punti realizzati su 100 possessi) che ha raggiunto i 103.6 punti, nonostante un Net Rating praticamente nullo.
Non sembra avere ancora la capacità di trascinare solo con la sua presenza a numerose vittorie, ma che tutta l’organizzazione 76ers creda in lui è testimoniata dalla crescita costante dell’Usage%, la percentuale che calcola il numero di possessi che un giocatore utilizza per rendersi produttivo. Dal 20% scarso di ottobre siamo arrivati al 28.3% di marzo, con un aumento sensibile di partita in partita che ormai lo rende il leader designato per il tempo trascorso sul parquet.
Significativo anche il PIE, una statistica avanzata che combina tutte le stats “basilari” in modo da ricavarne un coefficiente che indica l’impatto di un giocatore nelle partite disputate. Indicativamente un giocatore inizia a distinguersi dalla media ed inizia a diventare decisivo quando la Player Impact Estimate supera quota 10/11. Fa ben sperare i tifosi di Philly la costante crescita della stima di Šarić, passato da 8.6 di novembre ai 12.8 di marzo. Non siamo nemmeno vicini al 22.6 di Westbrook, uno dei giocatori più fondamentali per la propria franchigia dell’NBA, ma il miglioramento è visibile.
Gli ultimi 60 giorni hanno visto Dario Šarić produrre prestazioni che hanno rubato l’occhio: partiamo con i 26 punti conditi da 8 rimbalzi (ed un eccellente +25) rifilati ad Orlando il 9 febbraio, passiamo dalle quattro doppie-doppie consecutive firmate a cavallo della pausa per l’All-Star Game e dal temporaneo career high contro Portland del 9 marzo (28 punti) per arrivare all’attuale miglior prestazione in carriera fatta registrare contro i Bulls lo scorso 24 marzo, scollinando per la prima volta il tetto dei 30 punti (32). Se la terza partita stagionale con Orlando era la bozza di quanto può incidere il ragazzo nella Lega, quella con i Lakers è il documento con cui presentarsi per fare richiesta del premio come Rookie dell’Anno. Allo Staples Center di Los Angeles chiude con 29 a referto ma è il contorno che mostra la profondità delle qualità tecniche del ragazzo: sette rimbalzi, cinque assist, due rubate e una stoppata fanno ampiamente perdonare le cinque palle perse.
In marzo sta viaggiando a oltre 19 punti di media a partita trascorrendo all’incirca 31 minuti sul parquet ed essendo una pedina insostituibile dell’attuale quintetto di base di Philadelphia. La sua percentuale reale dal campo è salita dal 46.9 di novembre al 52.4 di marzo. Da quanto sta mostrando la crescita di attenzioni e responsabilità sembrano non essere un peso eccessivo per le sue spalle. I numeri e le prestazioni sono lì a dimostrarlo. Per tutti questi motivi è il principale candidato al premio di Rookie Of the Year. Non è semplicissimo riscontrare una crescita del genere in un giocatore alla prima esperienza in un campionato dai ritmi totalmente diversi a quelli a cui era abituato in Europa. Anzi, tantissimi giocatori europei di grande talento si sono sciolti come neve al sole passando nel nuovo continente.
La cifra assoluta di Dario Šarić, probabilmente, è inferiore a molti giocatori della rookie class 2016/2017 e il contesto di squadra, mixato con gli infortuni sparsi, lo ha agevolato nella corsa al premio. Cosa potrà diventare il croato all’interno dell’organizzazione? Un All Star? Magari si, anche se la concorrenza è molto agguerrita. Una Superstar? Difficile da dire. I limiti atletici e fisici sono evidenti, e in una Lega di super-uomini come la NBA questo potrebbe essere un problema non da poco. Sicuramente, in una squadra giovane come quella di Philadelphia, in cui sembra essere pienamente apprezzato all’interno dello spogliatoio e con qualità tecniche uniche all’interno del parco lunghi, Šarić potrebbe diventare una risorsa fondamentale per i 76ers di domani. Con giocatori come Embiid e Simmons in grado di attirare numerosi raddoppi anche solo con la presenza sul parquet la sua grande qualità di farsi trovare pronto sugli scarichi allargando il campo e le buone doti di passatore lo rendono un elemento imprescindibile in qualunque squadra punti in alto.
Dario Šarić ha compiuto il grande salto dell’oceano ed è deciso a ritagliarsi uno spazio importante nella Lega più bella dell mondo. Magari come miglior rookie dell’anno, magari tornando a giocare uscendo dalle ombre, magari conquistandosi definitivamente le luci della ribalta.
Statistiche risalenti al 25 marzo.
Alberto Mapelli