Erick O’Brien Green, chi era costui? Se siete appassionati di basket europeo avrete certamente sentito il suo nome da qualche parte. Ah, per voi “basket” fa rima solo con “NBA”? Non preoccupatevi, non vi siete persi nulla. Non mi credete? Provate a chiedere a Tim Connelly, General Manager dei Denver Nuggets: sicuramente saprà dirvi qualcosa in più, sempre che ne abbia voglia. A dire il vero, non credo che ne abbia molta.
Certo, sostituire il fresco vincitore dell’NBA Executive of the Year Award a dieci giorni dal Draft 2013 non dev’essere stato semplicissimo, per di più con la sola scelta numero ventisette in mano. La presenza di Anthony Bennett ad aprire le danze al Barclays Center non deve trarre in inganno: tra le prime file si nascondono (non benissimo a dirla tutta) anche il fisico bionico di Giannis Antetokounmpo, la mano calda di C.J. McCollum e i rassicuranti baffi di Steven Ad… cosa?!
Andre Roberson ha appena saputo di doversi trasferire a Oklahoma City quando Connelly tira fuori dal cilindro una steal of the Draft degna di questo nome: David Stern annuncia che i Denver Nuggets hanno (ben) speso la loro ventisettesima chiamata per assicurarsi le prestazioni Rudy Gobert, lungo francese di cui non si sa molto dall’altra parte dell’oceano ma i cui arti superiori fanno decisamente ben sperare.
Che la gloria sia transitoria è cosa nota, ma quella di Tim Connelly dura poco più di un’ora. Con il senno di poi è fin troppo facile intavolare discorsi del genere: il Rudy Gobert del 2013 è ancora lontano dal diventare the Stifle Tower che oggi conosciamo e Green… beh, sulle sue doti da scorer puro nulla da dire, ma il resto lasciava decisamente a desiderare già all’epoca.
Ad ogni modo, Gobert viene spedito a Salt Lake City senza troppi complimenti in cambio di Green e qualche bigliettone in quello che a fatica definiremmo come l’esordio che ogni GM sogna di fare. La stessa scelta di Rudy di indossare la canotta numero 27 sembra volerlo sottolineare impietosamente, ogni volta che scende in campo. Connelly comunque avrà modo di rifarsi, coprendo d’oro le aspettative future dei Nuggets.
In quel di Salt Lake City non c’è ancora spazio per lui. Nonostante l’altezza considerevole, la sua massa muscolare non è sufficiente per giocarsela ad armi pari con i ben più atletici lunghi statunitensi e il front office dei Jazz ritiene che il suo personalissimo tour delle principali catene montuose americane debba proseguire in D-League, tra i monti dell’Arizona. Rudy Gobert non ci mette molto a dimostrare agli addetti ai lavori che lui e gli altri ragazzi confinati nella lega di sviluppo in attesa di una chiamata dal Paradiso hanno ben poco in comune: lo spettacolo offerto a Prescott Valley basta e avanza per meritarsi una chance nel basket dei grandi.
Nelle 45 partite disputate con la canotta dei Jazz mette a referto… 2,1 punti e 3,4 rimbalzi di media. D’accordo, le cifre non saranno eccezionali, eppure quelle 0,9 stoppate fatte registrare in meno di dieci minuti trascorsi sul parquet ci permettono di capire come, pur arrivando da una pallacanestro totalmente diversa per filosofia e intensità, Gobert sia riuscito a farsi largo nel basket transoceanico grazie alle sue innate doti di rim protector, che mentre scriviamo fanno di lui uno dei principali candidati al premio di Defensive Player of the Year. Ma come ha fatto in così pochi anni ha passare dallo status di comprimario intrappolato nel limbo della D-League all’essere in lizza per il premio di miglior difensore della Lega?
Iniziamo col dire che, se non vuoi dedicarti esclusivamente alla fase offensiva seguendo le orme di tanti illustri colleghi, 234 centimetri di apertura alare costituiscono un discreto aiuto in questo senso. Il wingspan di cui Gobert dispone è un’arma impropria nelle mani di un lungo di 2,16 metri, che rendono la penetrazione al ferro l’ultima delle opzioni offensive per gli avversari. Gobert rappresenta infatti la pietra angolare della fase difensiva dei Jazz, sapientemente orchestrata da coach Quin Snyder: con oltre 3 metri di corpo a disposizione per proteggere il ferro dagli assalti avversari, i suoi compagni possono limitarsi a tenere d’occhio gli esterni appostati sul perimetro. Niente paura, ci pensano le lunghe leve di Rudy a scoraggiare gli avversari dal tentare una conclusione dal pitturato.
Abbiamo visto come la sola presenza di Gobert nei pressi del pitturato condizioni le scelte offensive degli avversari. Già, ma a questo punto sarebbe lecito chiedersi i motivi di un timore reverenziale di questa portata. Innanzitutto, le 2,7 stoppate inferte a partita alle conclusioni avversarie costituiscono un deterrente più che valido alle scampagnate avversarie nei pressi del ferro. È una vera e propria no-fly zone quella istituita nel pitturato dal lungo francese, che respinge senza pietà chiunque sia munito di sufficiente coraggio per addentrarsi da quelle parti.
Nonostante le doti difensive che lo rendono un cliente quantomeno scomodo per gli attacchi avversari, Gobert si trova a contestare ben 14,2 tiri a partita, con risultati stupefacenti se consideriamo che la quasi totalità delle conclusioni avversarie proviene dal pitturato. I palloni avversari raggiungono il fondo della retina solo nel 43,4% dei casi, dato che lo proietta al secondo posto (per quanto riguarda i giocatori con almeno 30 minuti di utilizzo in media) di questa speciale classifica, guidata dal 42,9% fatto registrare da LaMarcus Aldridge, dato che il lungo texano deve condividere con il sistema difensivo costruito nell’ultimo ventennio da Gregg Popovich.
Non appena termina l’azione offensiva dei Jazz, Rudy sa che deve entrare in azione. Il pick and roll avversario è il suo pane quotidiano: come abbiamo già avuto modo di vedere nell’azione precedente, la presenza di Rudy Gobert condiziona le scelte avversarie in quanto è in grado di seguire il rollante e intimorire allo stesso tempo il portatore di palla, il quale, se non intende rischiare brutte figure nel pitturato, è costretto a scaricare il pallone sugli esterni o a tentare una conclusione a bassa percentuale dalla media distanza, proprio quello che nella maggior parte dei casi coach Snyder vuole.
Sono soltanto 0,68 i punti concessi agli avversari in situazioni di pick and roll in cui Gobert è coinvolto; al di là di Kosta Koufos, che però ha partecipato a molto meno della metà dei possessi di Gobert (38 contro 108), nessun centro lo sopravanza in questa speciale classifica. Tanto per fare dei paragoni illustri, Aldridge concede 0,94 punti, Towns 0,96, mentre il solo Draymond Green si attesta su livelli simili a quelli del lungo francese (0,69 punti concessi in 52 occasioni). Green che tra l’altro è il primo per Defensive Wins Shares con 0,063, seguito a ruota dallo 0,060 di Gobert.
È infatti evidente come le prestazioni difensive della Stifle Tower si riflettano anche sui risultati di squadra. Se vedere gli Utah Jazz oscillare tra il quarto e il quinto posto della Western Conference non è più una sorpresa è anche merito suo e i dati lo testimoniano incontrovertibilmente. La squadra di Snyder detiene il terzo miglior Defensive Rating della Lega (dietro a Spurs e Warriors) con 102.6 punti subiti su 100 possessi. La presenza di Gobert cambia tutto anche qui, visto che quando è sul parquet il dato cala a 100.2 (migliore di squadra) e quando invece va a riposarsi crolla fino a 108 punti concessi, nettamente il peggiore di tutti. Rudy Gobert inoltre è secondo in Win Shares dietro al solo James Harden. I suoi 216 centimetri, uniti a degli arti superiori che non hanno rivali nella pallacanestro americana, sono alla base della sua capacità di impossessarsi prima degli altri dei palloni respinti dal ferro: se i Jazz sono la squadra che concede meno rimbalzi agli avversari (solo 40,1 di media a partita), il merito è anche delle 12,8 carambole catturate ad allacciata di scarpa dal francese.
Ma l’importanza di Rudy nell’economia della squadra si riflette anche nella metà campo offensiva. Sebbene la sua faretra sia fortemente limitata dall’assenza di un jumper affidabile, nel corso degli anni trascorsi a Salt Lake City Gobert ha affinato una tecnica, che in partenza era quanto di più grezzo si potesse concepire su un parquet, e che oggi invece fa di lui un attaccante quantomeno accettabile.
In relazione alla sua stazza a dir poco imponente, la sua velocità di piedi lo rende un avversario difficilmente contenibile in situazioni di pick and roll: con 1.39 punti per possesso è secondo al solo DeAndre Jordan. Non ce ne vogliano i vari Hill, Exum e Hayward, ma non bisogna dimenticare che il lungo dei Clippers ha la fortuna di avere al suo fianco uno dei playmaker puri più forti di sempre. La sua produzione offensiva è migliorata anche nel corso di questa stagione, visto che se prima della pausa per l’All-Star Game viaggiava a 12,9 punti di media, dopo l’evento del 20 febbraio i suoi punti hanno toccato quota 17, forse a voler ricordare agli addetti ai lavori che in fondo a New Orleans un posticino (si fa per dire) per Gobert potevano anche trovarlo.
Se le stoppate costituiscono il suo cavallo di battaglia nella propria metà campo, è con i blocchi portati ai compagni che Gobert dà il meglio di sé offensivamente parlando. Dall’alto della sua straordinaria fisicità, la solidità dei blocchi della Stifle Tower consente a Hayward e soci di sbarazzarsi facilmente della marcatura avversaria e di costruirsi un tiro ad alta percentuale. tanto che con 6,2 assist dal blocco è uno dei leader di questa specialità, secondo al solo Marcin Gortat.
In questa situazione di gioco Hayward riceve palla da Ingles e si costruisce un ottimo tiro dal palleggio che concluderà la sua parabola sul fondo della retina. In realtà, analizzando più approfonditamente l’azione, si nota come Gobert porti un blocco per liberare Hayward che, per quanto impercettibile, si rivelerà di fondamentale importanza per il buon esito del possesso dei Jazz.
Diamo un’occhiata alla mappa di tiro di Gobert. Su 598 tiri tentati, ben 549 provengono dal pitturato (convertiti con il 69,2 %), mentre solamente 48 sono stati tentati, con pessimi risultati (32,1%), a qualche metro di distanza dal canestro. La presenza di un jumper degno di questo nome è ancora lontana. È evidente come la pericolosità offensiva di Gobert sia limitata al solo pitturato: allontanandosi dal canestro, Gobert non può essere in alcun modo considerato una minaccia, anzi. Il suo tiro dalla media distanza è facilmente battezzabile dalle difese avversarie e l’assenza di una dimensione perimetrale, in un universo cestistico che si sta decisamente orientando in quella direzione, rischia di condizionare notevolmente l’efficacia dei meccanismi offensivi dei Jazz, rendendo quantomeno prevedibile l’uomo che nella propria metà campo fa sì che l’organizzazione difensiva della sua squadra risulti essere una delle migliori, se non la migliore, della Lega.
Nonostante ciò, il centro francese costituisce un elemento fondamentale all’interno dei meccanismi della squadra di Snyder e grazie alle sue doti atletiche, ad una sempre più sviluppata conoscenza dei propri mezzi e soprattutto del gioco sa sempre come risultare determinante.
Pick and roll magistrale, eseguono Hayward e Gobert. Quest’ultimo, nell’inusuale situazione di portatore di palla, lascia appena possibile l’onere della gestione del pallone al compagno, portando un blocco che consente al prodotto di Butler di sbarazzarsi dal marcatore. A questo punto, Hayward e Gobert convergono verso il ferro, protetto dal solo Leonard: per Gobert è un gioco da ragazzi appoggiare due punti facili al tabellone. Il lungo francese è uno dei rollanti più pericolosi della Lega, agevolato in questa circostanza dalla presenza di Meyers Leonard, ben più incisivo nella metà campo offensiva che in quella difensiva.
In questa situazione vediamo Gobert portare ben due blocchi, entrambi molto efficaci, per il solito Hayward. Wiggins non può nulla contro la solidità del lungo avversario, che gli impedisce di contrastare la tripla del numero 20 in maglia Jazz. L’impotenza di Wiggins al cospetto di Gobert fa quasi tenerezza: abbandonato a sé stesso da Dieng, la stellina dei Timberwolves si infrange ripetutamente contro il muro francese, perdendo il senso dell’orientamento.
No, quel corpo che vedete veleggiare da una metà campo all’altra non appartiene a Giannis Antetokounmpo. La non esattamente irreprensibile difesa dei Trail Blazers concede un’autostrada al centro francese, che dimostra di avere anche una più che discreta capacità di ball-handling in relazione alla stazza imponente. Questo coast-to-coast di antetokounmpiana memoria, concluso con un apprezzabile Euro step, ci ricorda come Rudy Gobert abbia delle potenzialità davvero uniche.
Damian Lillard se l’è legata al dito, a giudicare dal career-high fatto registrare nell’ultimo incontro con i Jazz. Ad ogni modo, possiamo ammirare Gobert farsi beffe di uno degli attaccanti più mortiferi del panorama mondiale stoppandone la conclusione con disarmante facilità. Il resto dell’azione costituisce la giusta ricompensa per i suoi sforzi nella metà campo meno patinata. La tripla di Ingles non va a bersaglio e Aminu, in omaggio alla manifesta superiorità dell’avversario, si fa da parte, consentendo a Gobert di catturare il rimbalzo offensivo e di mettere a referto la schiacciata che sancisce la sua supremazia.
Non solo stoppate a casa Gobert. Il miglior difensore della squadra si rivela essere anche il primo attaccante della squadra in questa circostanza: dopo aver recuperato un pallone con la complicità di Shelvin Mack fa ripartire l’azione pescando con un passaggio baseball il solito Hayward, lanciato a canestro. L’ottimo lavoro difensivo del duo Mack-Gobert permette a quest’ultimo di dare sfoggio delle sue discrete capacità di passatore, che passano inevitabilmente in secondo piano rispetto alle sue incredibili doti difensive.
Tirando le somme, la candidatura di Rudy Gobert al premio di Difensore dell’anno è accettata senza riserve. Sono ben pochi i giocatori in grado di garantire il suo stesso livello di intensità e prestazioni nella metà campo difensiva, e anche sull’altro lato del campo gli sforzi fatti da Gobert per migliorare il proprio rendimento offensivo stanno lentamente dando i loro frutti. Certo è che lo scarso range di tiro è un fattore che limita notevolmente le sue potenzialità nella metà campo avversaria, ma d’altra parte se la Stifle Tower avesse in dotazione anche un rispettabile gioco perimetrale non staremmo parlando del DPOY, ma di ben altri premi. Chissà se Gobert abbia o meno in programma un upgrade del suo jumper. Non è mai troppo tardi, Rudy: per il momento ci basta vederti spadroneggiare sotto le plance, ma mai dire mai.
Statistiche risalenti all’8 aprile.