JAZZ
Sarà la prima esperienza di postseason per il nucleo dei Jazz come lo conosciamo oggi. Durante la stagione, la squadra si è affermata come una certezza nella Western Conference. Le parole chiave sono ritmo bassissimo (#30 per PACE), difesa coi controcazzi (#3 in Defensive Rating), dominio sotto i tabelloni (#3 per Rebound Rate) ed equilibrio (non funziona come ad OKC che se esce RW0 si spegne la luce, per on/off stats).
La grande profondità dei Jazz (e gli infortuni) ha inoltre permesso a Coach Snyder di ruotare alla grande i propri uomini, tanto da far arrivare i giocatori principali in condizioni fisiche ottimali: sono ben 14 i Jazz che hanno assaggiato il campo almeno quaranta volte in questa stagione e 12 di questi hanno 15+ minuti d’impiego medio. La squadra delle montagne, insomma, si appresta ai Playoff con la consapevolezza che li ha portati fin qui, quella di essere una squadra particolare ma molto difficile da battere.
I Jazz sono una squadra tosta, giovane e difensiva. Il quintetto titolare prevede Hill-Hood-Hayward-Favors-Gobert, ma il banco salta quando Ingles subentra a Hood: il NetRtg schizza a +22,3, differenza abissale per i due quintetti più utilizzati in stagione. Un utilizzo su vasta scala del #2 è tutt’altro che improbabile. Parimenti, quando Utah va piccolo accadono cose belle: rimpiazzando Favors con Joe Johnson o Boris Diaw, i Jazz tirano meglio dal perimetro e la palla gira più velocemente. Coach Snyder pescherà a piene mani dalle tante opzioni che ha in panchina, perché spesso gira la partita con un quintetto diverso da quello base (per Basketball Reference).
La profondità dei Jazz, dicevamo. Peschiamo dall’omonimo articolo di N. J. Scarpelli: “In estate il GM Lindsey ha perfezionato il roster, aggiungendo ad un roster talentuoso ma giovane elementi esperti come Diaw, Joe Johnson e George Hill. Il risultato è quello di aver creato una delle compagini più profonde e meglio assortite di tutta la NBA, permettendo a Snyder di potersi adattare a più situazioni di gioco”. Su queste pagine Paolo Stradaioli, invece, ha vivisezionato l’evoluzione di Gordon Hayward: ora il ragazzo col ciuffo è una stella, mentre nessuno stava guardando.
La risposta alle tante domande sull’incerto futuro dei Jazz si nasconde tra le pieghe di una/due serie di Playoff. Se Hayward entrasse in un quintetto All-NBA, Utah potrebbe offrirgli un mare di soldi che, nella testa di ogni GM NBA, equivalgono ad un sigillo di permanenza. E ancora. Hill, Hood e Favors hanno giocato poco (due to injuries) questa stagione: siamo sicuro di conoscere la vera forza dei Jazz? La crescita nell’Anno-2 di Trey Lyles è avvenuta in linea con le aspettative? Coach Snyder è sufficientemente disinteressato ai suoi principi per portare Utah non solo oltre i Clippers, ma ad una lotta all’ultimo sangue vs Golden State? Altri due youngsters come Exum e Hood cosa faranno da grandi? A Salt Lake City non vedono l’ora di scoprirlo.
CLIPPERS
I soliti Clippers, con un anno di più. Sempre loro, sempre CP3 con Blake e DeAndre. Per dirla alla Zach Lowe: “La continuità è generalmente una buona cosa in un roster, al contempo devono esserci continue piccole modifiche – a stile e rotazioni – per mantenere sveglia la mente dei giocatori”. Anche quest’anno Blake e CP3 hanno fatto i conti con gli infortuni: 21 partite saltate a testa. Anche quest’anno DeAndre 3000 è pericoloso solo al ferro, ma – udite udite – si è avvicinato al 50% dalla lunetta. Anche quest’anno Mbah A Moute e Redick tentano di fare il loro con più chilometraggio sulle gambe. Per una squadra che non ha mai del tutto superato quella serie sarebbe fondamentale una ventata di arie fresca, ma Carmelo Anthony non è arrivato e il rischio smantellamento è nell’aria. Difficilmente questo nucleo arriverà alle Finali di Conference: siete pronti al macabro risveglio dalla tomba dei Tanking Clippers™?
La stagione di DJ è forse la miglior notizia in casa Clippers: per la prima volta all’All-Star Game, il #6 sta giocando la miglior pallacanestro della propria vita (esempio di stat che conferma l’ipotesi: dal 2010-2011 è il primo Clipper non chiamato Chris o Blake col Win Shares più alto della squadra). Questo e’ l’anno con meno vittorie dell’era Rivers, ma anche quello col più alto PACE, con la migliore efficienza offensiva ma anche col peggior Defensive Rating. Sebbene i Clippers siano di gran lunga nella miglior fase della propria storia (dal 1970-1971 sono apparsi ai PO solo 13 volte, ben 6 negli anni duemiladieci), questa squadra ha ancora qualcosa da dare? Sei sconfitte di fila a fine Dicembre; 2-7 tra la fine di Gennaio e l’inizio di Febbraio; tre sconfitte di fila in pieno Marzo. I giocatori sembrano una navigata coppia che litiga tutti i giorni e quando non litiga è perché non si parlano: la separazione, per quanto dolorosa, è l’unica strada possibile. Il rapporto è finito, dopo esser stato bellissimo si è accartocciato su sé stesso.
Non per questo, tuttavia, i Clippers sono da buttare. Anzi. La franchigia angelena ha tutte le potenzialità per battere Utah prima e mettere più di un granello di sabbia tra le ruote dei Golden State Warriors. Ecco, un’altra eventualità interessante, in questa e in altre serie che coinvolgeranno le due squadre: come se la caveranno Jazz e Clips quando l’avversario andrà piccolo? La folta presenza di difensori perimetrali (Hayward, Hood, Exum, Hill) sposta l’ago della bilancia decisamente verso i primi: arma tattica per Coach Snyder potrebbe essere quella di far ruotare attorno a Gobert quattro esterni per far girare la testa a DeAndre Jordan. Doc Rivers, tuttavia, è molto più esperto del suo collega e ha già preparato una miriade di serie di Playoff: trovare adjustments efficaci potrebbe essere l’unico modo per confinare i Jazz sulle loro montagne.
Precedenti stagionali
I Clippers hanno vinto 3 dei quattro incontri stagionali, guadagnando così il #4 seed e il fattore campo al turno.
Come arrivano ai Playoff