I Jazz tornano ai Playoff dopo cinque anni. In un lustro, nello Utah sono cambiate tantissime facce: allora gli Spurs spazzarono via una squadra incernierata su Al Jefferson e Paul Millsap (qui il tabellino, qui highlights di Gara 4). Gobert, Hood, Exum e Ingles nemmeno erano in NBA. Oggi, la stella della squadra è Gordon Hayward, che ha continuamente migliorato il proprio livello fino a diventare uno dei più completi giocatori della Lega. Utah è arrivata ai Playoff senza particolare acqua alla gola, vincendo ben 51 partite (a Salt Lake City non si andava oltre le 50 W dal 2009-2010). Sul finale di stagione, però, complice una rimonta da 7 W di fila dei Clippers, i Jazz si sono trovati con lo stesso record di CP3&Co – ma anche di LeBron e dei Cavs, per dire.
I Clippers flirtano invece coi Playoff da ormai sei stagioni di fila. Dall’arrivo di Chris Paul, la parte sfigata di Los Angeles ha sempre giocato almeno una serie dopo la metà di Aprile. Blake Griffin e DeAndre Jordan hanno garantito una qual certa presenza nel pitturato, ma gli infortuni (una costante anche questa stagione) hanno costretto la squadra di Steve Ballmer ad un record di 51 vittorie. E’ la quinta regular season di fila che i Clippers centrano 50+ vittorie, ma dopo le 57 del 2013-2014 si è progressivamente arrivati alle 51 attuali. Sintomo di un logorio nel sistema che – per esempio – ha portato Doc Rivers a minacciare più volte il collasso nel caso non arrivino nemmeno stavolta le finali di Conference. Per la franchigia angelena questo traguardo rimane un tabù: tra disfunzionalità storiche e suicidi sportivi, riusciranno i Clippers a battere i Jazz per assicurarsi un (ultimo?) tentativo di entrare nelle quattro migliori?
Sarà la prima esperienza di postseason per il nucleo dei Jazz come lo conosciamo oggi. Durante la stagione, la squadra si è affermata come una certezza nella Western Conference. Le parole chiave sono ritmo bassissimo (#30 per PACE), difesa coi controcazzi (#3 in Defensive Rating), dominio sotto i tabelloni (#3 per Rebound Rate) ed equilibrio (non funziona come ad OKC che se esce RW0 si spegne la luce, per on/off stats).
La grande profondità dei Jazz (e gli infortuni) ha inoltre permesso a Coach Snyder di ruotare alla grande i propri uomini, tanto da far arrivare i giocatori principali in condizioni fisiche ottimali: sono ben 14 i Jazz che hanno assaggiato il campo almeno quaranta volte in questa stagione e 12 di questi hanno 15+ minuti d’impiego medio. La squadra delle montagne, insomma, si appresta ai Playoff con la consapevolezza che li ha portati fin qui, quella di essere una squadra particolare ma molto difficile da battere.
I Jazz sono una squadra tosta, giovane e difensiva. Il quintetto titolare prevede Hill-Hood-Hayward-Favors-Gobert, ma il banco salta quando Ingles subentra a Hood: il NetRtg schizza a +22,3, differenza abissale per i due quintetti più utilizzati in stagione. Un utilizzo su vasta scala del #2 è tutt’altro che improbabile. Parimenti, quando Utah va piccolo accadono cose belle: rimpiazzando Favors con Joe Johnson o Boris Diaw, i Jazz tirano meglio dal perimetro e la palla gira più velocemente. Coach Snyder pescherà a piene mani dalle tante opzioni che ha in panchina, perché spesso gira la partita con un quintetto diverso da quello base (per Basketball Reference).
La profondità dei Jazz, dicevamo. Peschiamo dall’omonimo articolo di N. J. Scarpelli: “In estate il GM Lindsey ha perfezionato il roster, aggiungendo ad un roster talentuoso ma giovane elementi esperti come Diaw, Joe Johnson e George Hill. Il risultato è quello di aver creato una delle compagini più profonde e meglio assortite di tutta la NBA, permettendo a Snyder di potersi adattare a più situazioni di gioco”. Su queste pagine Paolo Stradaioli, invece, ha vivisezionato l’evoluzione di Gordon Hayward: ora il ragazzo col ciuffo è una stella, mentre nessuno stava guardando.
La risposta alle tante domande sull’incerto futuro dei Jazz si nasconde tra le pieghe di una/due serie di Playoff. Se Hayward entrasse in un quintetto All-NBA, Utah potrebbe offrirgli un mare di soldi che, nella testa di ogni GM NBA, equivalgono ad un sigillo di permanenza. E ancora. Hill, Hood e Favors hanno giocato poco (due to injuries) questa stagione: siamo sicuro di conoscere la vera forza dei Jazz? La crescita nell’Anno-2 di Trey Lyles è avvenuta in linea con le aspettative? Coach Snyder è sufficientemente disinteressato ai suoi principi per portare Utah non solo oltre i Clippers, ma ad una lotta all’ultimo sangue vs Golden State? Altri due youngsters come Exum e Hood cosa faranno da grandi? A Salt Lake City non vedono l’ora di scoprirlo.
I soliti Clippers, con un anno di più. Sempre loro, sempre CP3 con Blake e DeAndre. Per dirla alla Zach Lowe: “La continuità è generalmente una buona cosa in un roster, al contempo devono esserci continue piccole modifiche – a stile e rotazioni – per mantenere sveglia la mente dei giocatori”. Anche quest’anno Blake e CP3 hanno fatto i conti con gli infortuni: 21 partite saltate a testa. Anche quest’anno DeAndre 3000 è pericoloso solo al ferro, ma – udite udite – si è avvicinato al 50% dalla lunetta. Anche quest’anno Mbah A Moute e Redick tentano di fare il loro con più chilometraggio sulle gambe. Per una squadra che non ha mai del tutto superato quella serie sarebbe fondamentale una ventata di arie fresca, ma Carmelo Anthony non è arrivato e il rischio smantellamento è nell’aria. Difficilmente questo nucleo arriverà alle Finali di Conference: siete pronti al macabro risveglio dalla tomba dei Tanking Clippers™?
La stagione di DJ è forse la miglior notizia in casa Clippers: per la prima volta all’All-Star Game, il #6 sta giocando la miglior pallacanestro della propria vita (esempio di stat che conferma l’ipotesi: dal 2010-2011 è il primo Clipper non chiamato Chris o Blake col Win Shares più alto della squadra). Questo e’ l’anno con meno vittorie dell’era Rivers, ma anche quello col più alto PACE, con la migliore efficienza offensiva ma anche col peggior Defensive Rating. Sebbene i Clippers siano di gran lunga nella miglior fase della propria storia (dal 1970-1971 sono apparsi ai PO solo 13 volte, ben 6 negli anni duemiladieci), questa squadra ha ancora qualcosa da dare? Sei sconfitte di fila a fine Dicembre; 2-7 tra la fine di Gennaio e l’inizio di Febbraio; tre sconfitte di fila in pieno Marzo. I giocatori sembrano una navigata coppia che litiga tutti i giorni e quando non litiga è perché non si parlano: la separazione, per quanto dolorosa, è l’unica strada possibile. Il rapporto è finito, dopo esser stato bellissimo si è accartocciato su sé stesso.
Non per questo, tuttavia, i Clippers sono da buttare. Anzi. La franchigia angelena ha tutte le potenzialità per battere Utah prima e mettere più di un granello di sabbia tra le ruote dei Golden State Warriors. Ecco, un’altra eventualità interessante, in questa e in altre serie che coinvolgeranno le due squadre: come se la caveranno Jazz e Clips quando l’avversario andrà piccolo? La folta presenza di difensori perimetrali (Hayward, Hood, Exum, Hill) sposta l’ago della bilancia decisamente verso i primi: arma tattica per Coach Snyder potrebbe essere quella di far ruotare attorno a Gobert quattro esterni per far girare la testa a DeAndre Jordan. Doc Rivers, tuttavia, è molto più esperto del suo collega e ha già preparato una miriade di serie di Playoff: trovare adjustments efficaci potrebbe essere l’unico modo per confinare i Jazz sulle loro montagne.
Precedenti stagionali
I Clippers hanno vinto 3 dei quattro incontri stagionali, guadagnando così il #4 seed e il fattore campo al turno.
Chiavi della serie
I punti di svolta della serie sono i seguenti:
1. Questione di PG. George Hill è semplicemente uno dei migliori difensori perimetrali della Lega. Chris Paul è talmente importante che i Clippers segnano 11,5 punti in meno su 100 possessi quando lui è seduto, troppo esperto per eclissarsi del tutto contro l’ex Pacers. La freschezza di Austin Rivers (che dovrebbe però saltare una parte della serie) e della coppia Mack/Exum (ci sarà spazio per uno solo dei due) completa un quadro di PM di lusso. Hill è nel contract year e pare abbia declinato il rinnovo per essere UFA quest’estate. Vedremo ovviamente, specialmente nei primi episodi della serie senza il figlio di Doc, un po’ di sano IsoJamalone e Raymond Felton giocherà minuti importanti. Steph Curry dice che Marreese Speights è una guardia di due metri e dieci: come dargli torto. Insomma, la battaglia delle point guard sarà davvero bollente. Anche perché, Chris, te la vuoi togliere l’etichetta del perdente o no?
2. La battaglia in mezzo, ovvero il tag team match tra Blake e DeAndre vs Favors e Rudy. Anche a causa di un infortunio, la stagione di Derrick Favors non ha rispettato le attese. Il morigerato hype che la scorsa stagione (16+8 in 32 minuti) aveva creato si è perso nelle continue bizze del ginocchio sinistro: la carriera di un lungo venticinquenne UFA la prossima estate può passare anche da questi Playoff. Anche se sta giocando su una gamba. Rudy Gobert, dal canto suo, ha firmato a fine Ottobre un quadriennale da un centinaio di milioni e la sua centralità nel progetto Jazz è sempre più lapalissiana. Una stagione da Difensore dell’Anno ha definitivamente consacrato Gobzilla tra i migliori centri della Lega. Rim protector favoloso, Gobert ha raffinato un interessante bagaglio offensivo. Nel recente career high vs Knicks (*emoji sconsolata*), The Stifle Tower ha fatto vedere the whole package. Prima ha la velocità di piedi necessaria per stoppare una penetrazione di Porzingis inchiodandogli la palla al tabellone, poi abusa di Kyle O’Quinn nell’altra metà campo.
Lo scontro con la rodata coppia Blake-DeAndre sarà particolarmente affascinante. Sebbene sia Favors che Griffin (più quest’ultimo) hanno progressivamente imparato a giocare anche lontano dal canestro, tutti e quattro i lunghi non hanno come opzione principale quella di aprirsi oltre l’arco. E’ facile che lo spacing implorato da Chris Paul vada a farsi fottere piuttosto presto, che Utah abbassi il ritmo fino a far sembrare pachidermico anche Griffin e che Gobert faccia da guardia del corpo a DeAndre. Ne vedremo delle belle lì sotto.
3. Mbah A Moute sulle tracce di Hayward? Il grande problema per i Clippers è l’evidente mismatch nella posizione di ala piccola. Che il trentenne Luc Richard Mbah A Moute non possa essere titolare in squadra che vuole vincere il titolo è già stato detto, vero? Questo fotogramma proviene dall’ultima partita giocata tra le due squadre, il 25 Marzo. Hayward si dimentica dell’esistenza del #12 avversario per dare una mano a Gobert sotto ai tabelloni. La sfida dall’altra parte, invece, prevede Mbah A Moute sulle tracce di Hayward: ma può stare in campo 34+ minuti il camerunense? Nella stessa sfida del 25 Marzo si è visto sul #20 dei Jazz anche Jamal Crawford: anche no, Doc. Il capo allenatore dei Clippers dovrà tirare fuori il coniglio dal cilindro per entrare sottopelle a Hayward.
4. Joe Ingles, perché se non vi piace Joe Ingles proprio non voglio conoscervi. Dunque: dal pick and roll sa fare tutto, ha la terza miglior percentuale della Lega da tre e qui c’è un suo pezzetto rap (contiene accento australiano).
5. Playoff Joe Johnson vs Playoff Paul Pierce, o dell’invecchiare consapevolmente. Joe Johnson è il Paul Pierce di due anni fa, ovvero un veterano che ti dà ancora una grossa mano anche in regular season, che se prende fuoco non lo fermi più e qualche partita te la risolve da solo. Paul Pierce ormai si regge a malapena in piedi, ma quando legge Playoff diventa più caldo di Pippo Inzaghi in Coppa Campioni. Chi sarà più decisivo dei due? Decidete voi: qual è il ricordo più caro legato ai due?
Los Angeles Clippers-Utah Jazz