Come dimostrato anche dal primo incontro stagionale tra le due squadre, il fattore chiave della serie ha un nome piuttosto noto: LeBron James. Il match andato in scena lo scorso 16 novembre ha inevitabilmente risentito dell’assenza del Re, che negli altri tre scontri diretti della stagione non ha invece tradito le attese: con i suoi 32,3 punti di media, LeBron costituisce senza alcun dubbio il pericolo numero uno per la difesa dei Pacers.
Il bello degli schemi dei Cavs è che tutti li conoscono, ma quelli che sanno come mandarli all’aria si contano sulle dita di una mano. La presenza in campo di LeBron non può che catalizzare l’attenzione delle difese avversarie su di lui: è in occasioni come questa che il nativo di Akron, invece di attaccare il canestro (se i Cavs sono i primi per punti generati da un isolamento – 0,99 – il merito è in gran parte suo) può mettere in bella mostra le sue eccelse doti di uomo assist, ingolosendo non poco la nutrita batteria di cecchini che il GM Griffin ha allestito per il suo re.
Non è un caso che il 31,4% dei punti messi a segno dai Cavs derivi da situazioni di catch & shoot, che gli esterni dei Pacers dovranno necessariamente limitare: in questo senso, la presenza di specialisti del calibro di Jeff Teague, Lance Stephenson e Paul George offre delle solide garanzie difensive a coach McMillan, tuttavia il livello d’attenzione di Monta Ellis dovrà necessariamente salire di tono trovandosi di fronte ad un backcourt avversario che non sembra conoscere punti deboli, almeno nella metà campo avversaria.
Concentrarsi esclusivamente su LeBron potrebbe essere l’ultimo errore della stagione dei Pacers: come ai tempi di Miami, il Re dispone di validissimi scudieri in grado di mettere in crisi le difese avversarie. Sebbene Jeff Teague sia uno dei playmaker più affidabili difensivamente parlando, il ball-handling di cui Kyrie Irving dispone è un rebus ancora insoluto per la maggior parte delle difese avversarie. Nonostante, come sarebbe invece lecito attendersi da una point guard, l’assist non sia esattamente la specialità della casa – “solo” 5,8 passaggi decisivi a partita quest’anno, mentre lo stesso James ed altri “outsider” come Nicolas Batum e Draymond Green fanno registrare cifre migliori – lo sterminato range di tiro di Uncle Drew è una delle armi offensive più efficaci a disposizione di coach Lue. Sono ben 19,7, convertite nel 47,3% dei casi, le conclusioni tentate ogni sera (sesto nella lega), segno piuttosto evidente che il ragazzo è cresciuto anche dal punto di vista della personalità e non ha alcun timore riverenziale nei confronti di avversari e compagni, LeBron compreso (18,2 tiri a partita per King James).
Tenendo conto della dimensione perimetrale di gran parte degli interpreti da ambo le parti, con tutta, non è poi così rischioso pronosticare un ampio ricorso al tiro dalla lunga distanza nel corso della serie. In casa Cavaliers, le 1067 triple mandate a bersaglio, il relativo record di franchigia ma soprattutto il fatto che il 35,4% dei punti realizzati da James e soci siano frutto del tiro pesante sono un segnale piuttosto evidente della volontà della truppa di coach Lue di sfruttare le proprie doti balistiche: il 38,4% dalla linea dei tre punti fatto registrare in stagione fa dei Cavs la terza squadra della lega con la percentuale più alta.
Inutile aggiungere che Warriors e Spurs sono le due franchigie che li precedono in questa particolare classifica, mentre è invece interessante notare come la quarta posizione sia occupata proprio dai Pacers di coach McMillan. Sebbene il 37,6% fatto registrare in stagione costituisca un segnale decisamente positivo nell’ottica di una sorta di Three-Point Contest valido per il passaggio del turno, è doveroso ricordare come le conclusioni mediamente tentate dalla distanza dai Pacers siano state soltanto 23 (ventisettesimi nella lega), a fronte delle 33,9 dei Cavs. Pur non abusando di questo genere di conclusioni, i Pacers dispongono di validissimi interpreti in grado di allargare il campo e punire le difese avversarie nei momenti opportuni. In quest’ottica, il deludente Defensive Rating dei Cavs di 108 punti concessi su 100 possessi, che relega James e soci al ventiduesimo posto di questa graduatoria, potrebbe dare una grossa mano all’attacco dei Pacers.
Spostandoci nel reparto lunghi, sarà interessante vedere chi tra Myles Turner e Tristan Thompson avrà la meglio nel duello sotto le plance. Il sophomore di Indiana, vero e proprio underdog della categoria unicorni, è in grado di creare non pochi grattacapi alle difese avversarie grazie alla sua estrema versatilità: la sua capacità di aprire il campo potrebbe portare TT fuori posizione, il che agevolerebbe le scorribande al ferro di George e compagni, e negli ultimi tempi ha dimostrato di essere un più che valido rim protector (sono state ben sei le stoppate rifilate agli Hawks nell’ultima partita della stagione); tuttavia, è innegabile che la presenza di Thompson non farà altro che accentuare uno dei problemi che McMillan ha tentato invano di risolvere, quello relativo ai rimbalzi.
Le 42 carambole catturate mediamente dai Pacers, che li collocano al poco invidiabile ventiseiesimo posto nella lega, rischiano di compromettere irrimediabilmente l’esito della serie se lo staff tecnico della squadra di Bird non riuscirà ad arginare la presenza a rimbalzo dell’accoppiata Thompson-Love, due specialisti nella cattura dei palloni vaganti. L’assenza di un lungo con caratteristiche diverse costituisce una gravissima lacuna del roster dei Pacers: né Young né Jefferson, per quanto quest’ultimo sia riuscito a contenere lo strapotere fisico di Hassan Whiteside nel corso dei Playoff 2016, sono in grado di offrire garanzie in questo senso. L’assenza di alternative nel reparto lunghi è l’emblema del divario esistente tra le due franchigie. La profondità delle due panchine non è infatti neanche lontanamente paragonabile: senza dilungarci oltre, basti pensare che nel match dello scorso 8 febbraio Kyle Korver è stato in grado di mettere a referto 29 punti, frutto di otto triple mandate a bersaglio su nove tentate, risultando il top scorer della partita. Al di là delle prestazioni individuali, la forza di LeBron James, e di conseguenza di Cleveland, è quella di migliorare il rendimento dei comprimari: tanto per fare un esempio, non è certo un caso che la percentuale al tiro da tre punti dello stesso Korver sia passata dal 40,9% dei primi mesi ad Atlanta al 48,5% attuale.
Tenendo in considerazione anche i problemi fisici, seppur non di grave entità, accusati da Jeff Teague (la cui importanza e costanza sono testimoniate dalle sue 82 partenze in quintetto, primato detenuto insieme a Dieng, Towns, Wiggins e Gortat) e Al Jefferson negli ultimi giorni, la missione a cui sono chiamati George e compagni è poco meno che impossibile. I Big Three dei Cavs, tirati a lucido per l’occasione, se coadiuvati a dovere dal resto della corte del Re, non dovrebbero avere troppe difficoltà a passare il turno. Tuttavia, non è da escludere che le sconfitte racimolate negli ultimi due mesi abbiano lasciato qualche strascico in termini di fiducia nei propri mezzi.
George contro LeBron, Turner contro Thompson, Teague contro Irving: se i Pacers hanno intenzione di passare il turno dovranno avere la meglio in ogni singolo duello individuale, nel tentativo di spezzare l’incantesimo che li vede uscire con le ossa rotte ogni volta che LeBron mette piede sul parquet della Bankers Life Fieldhouse. Noi non dovremo far altro che impostare l’unica sveglia dalla quale ogni uomo si augura di essere svegliato: it’s Playoff time!
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