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Guida completa al Draft NBA 2017

6. Malik Monk

Di Nicolò Basso

Malik Monk Credits to WKRC via Google

Malik Monk (1.93 m x 89 kg) nasce il 4 febbraio 1998 a Jonesboro (Arkansas). Cresciuto in un paesino di 2000 anime e per giunta in uno degli stati più poveri della nazione, sin  da piccolo Malik deve fare i conti con una situazione familiare tutt’altro che idilliaca: il padre è carpentiere, la madre arrotonda il bilancio familiare lavorando come insegnante di sostegno. Il fratellastro Marcus, nato da una precedente relazione di mamma Jackie, vanta una parentesi  tra le fila dei Chicago Bears, che lo  selezionano con la settima chiamata al Draft NFL del 2008. La  sua strada tra i professionisti si interrompe però bruscamente a seguito di un infortunio al ginocchio. La carriera di Monk, come avremo modo di vedere, è legata a doppio filo, almeno in un primo momento, alle vicende del fratello.

Il padre Michael Scales, che lo ha alleato da ragazzino, testa fin da subito le sue capacità, mettendolo alla prova con metodi di preparazione non convenzionali. Stando a quanto dichiarato da Monk stesso, l’incredibile  esplosività verticale sviluppata sia saltando da fermo che arrivando in corsa sarebbe da ascrivere a quelle “sessioni” di corsa tra casa e il campetto più vicino cui si sottoponeva in qualsivoglia condizione atmosferica e di terreno.

L’anno da freshman tra le fila di East Poinsett County, high school locale, fa immediatamente capire di che pasta sia fatto il ragazzo: Monk chiude la stagione a 22 punti di media e la squadra raggiunge la finale del 2A state tournament. A questo punto, la separazione dalla realtà che l’ha cresciuto e certamente temprato appare tanto dolorosa quanto inevitabile.

La madre riflette lungamente sulla possibilità di lasciare la cittadina per stare vicina al figlio Marcus — impegnato in un Master di Business Administration all’università di Arkansas. A partire dalla ninth-grade [grossomodo equivalente alla nostra prima superiore secondo il sistema scolastico americano ndr], Monk frequenta la Bentonville high School. Già, Bentonville. Qui, nel 1950, un visionario di nome Sam Walton ha aperto il Walton 5&10, sostanzialmente atto costitutivo della più grande compagnia di rivendita al dettaglio al mondo, la Walmart inc, che prenderà vita solo nel 1962. Inutile dire che  l’ascesa esponenziale di Walmart ha un impatto — più o meno diretto— sulla crescita della scuola. La compagnia infatti è il vero e proprio motore della comunità locale nella quale investe diverse migliaia di dollari.

Nella stagione da freshman Monk guida  i Tigers di Bentonville  alle semifinali statali per la prima volta dall’ingresso nella larger State classification, avvenuto negli anni Novanta. L’anno  successivo la squadra, forte di un record 16-9, si aggiudica per la prima volta il titolo nella Conference (Class 7A). Il vero salto di qualità arriva però nella quarta e ultima annata alla high- school. Monk mette assieme numeri da capogiro, prendendosi anche il lusso di segnarne 53 in faccia ad Arlington (Tennessee) [40 nel 2º tempo, 22 nel solo 3º quarto]. Le statistiche a fine anno recitano 28.6 punti, 7.5 rimbalzi, 4.4 assist, 1.3 palle rubate e 1.2 stoppate a partita. Capace di scollinare oltre quota 30 punti in ben 11 occasioni nel corso dellla stagione, Monk si guadagna la “convocazione” al McDonald’s All American Game e al Jordan Brand Classic, ( in quest’ultima occasione viene nominato Co- MVP al fianco di De’ Aaron Fox).

Monk si affaccia al college con grandi ambizioni (9º assoluto tra i prospetti in uscita dalla high school nella top- 100 di ESPN) e fa visita a Kansas, Oregon, Florida State, Arkansas, Alabama e Kentucky. La scelta, per la gioia di coach Calipari e di tutta la  Big Blue Nation, ricade sugli Wildcats. Una stagione individuale  tra le più prolifiche nella storia del programma è più che suffuciente per lasciare il segno e rubare i cuori a tifosi e addetti ai lavori: 754 punti totali (4º realizzatore assoluto  nella storia di KU), in ben sei occasioni ha fatto registrare 20 o più punti alla pausa lunga di metà partita (30 nel 2º tempo vs Florida il 25 febbraio scorso). La prestazione da all-in arriva guarda caso in quel di Las Vegas, città del gioco d’azzardo per antonomasia [47 punti a referto vs UNC, record per un freshman di Kentucky ndr].  Il torneo NCAA si chiude anzitempo con l’eliminazione alle Élite Eight per mano dei Tar Heels, futuri campioni. Consapevole del proprio potenziale, Monk  non indugia e da one- and done —  non certo una novità nell’era Calipari—  si dichiara  eleggibile per il Draft 2017.

Monk proverà a fare colpo sugli scout NBA mettendo in mostra un’esplosività dirompente che ha pochi eguali all’interno della classe Draft 2017 e che rappresenta il suo vero punto di forza. Un primo passo devastante lo rende  una potenziale costante minaccia in prossimità del ferro. Il prodotto di Kentucky ha fatto vedere  in più occasioni di avere doti da realizzatore sopraffino, capace di entrare in trance agonistica- in the zone— e restarci per svariati possessi filati. Sebbene la  gran parte del suo attacco si sviluppi  tra situazioni di transizione offensiva e spot up shooting (tiro dagli scarichi), Monk ha mostrato di saper essere letale   anche quando, coinvolto  in situazioni di pick n roll classico, è chiamato a costruirsi il tiro dal palleggio specialmente se la scelta del difensore è quella di “battezzarlo” passando dietro al blocco.

Il ragazzo  può dunque contare su un arsenale  offensivo pressoché sconfinato, cui fa però da contraltare un approccio difensivo certamente non irreprensibile, vero punto di domanda per la sua carriera NBA. Se comparato con i pari ruolo, lo svantaggio fisico in termini di stazza e apertura alare è piuttosto  evidente e potrebbe penalizzarlo in più di un’occasione.  Nella metà campo offensiva, come detto, la base di partenza è ottima, in difesa manca  della stessa solidità di fondamentali sia per quanto riguarda il posizionamento che le letture delle tendenze avversarie.

In vista del Draft di giovedì notte le previsioni lo danno entro la Top10. Il panorama  è in continua evoluzione ed è dunque difficile associarlo a una franchigia in particolare, soprattutto considerando il notevole interesse attorno al suo nome. Come riporta ESPN, a margine del workout con i Sixers, il giocatore avrebbe dichiarato:

Sento che potrei adattarmi bene in tutte le squadre per le quali ho effettuato il workout [Knicks, Suns, Sixers ndr]

In lizza per assicurarsi le sue prestazioni ci sarebbero, in prima fila, anche i Sacramento Kings, che potrebbero tuttavia passare oltre e lasciarlo alla #6 agli Orlando Magic.

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