Zach Collins (2.13 m x 104 kg) nasce il 19 ottobre 1997 a Las Vegas (Nevada). Il padre Michael ha giocato per una stagione tra le fila di New Mexico State prima di un infortunio che lo ha sostanzialmente costretto ad abbandonare ben presto l’attività agonistica. Zach Collins ha il primo contatto con la palla a spicchi attorno ai 5-6 anni. La precoce propensione mostrata nei confronti dell’attività sportiva spinge la famiglia a compiere sacrifici enormi in termini economici per mandare il figlio alla Bishop Gorman High School, istituto cattolico di grande prestigio. L’onerosa retta annuale ($13.000) mette in seria difficoltà la famiglia, portando a drastici cambiamenti: vendita della casa e del furgone del padre. I quattro anni alla high- school, coronati di successi, ripagano però gli sforzi: la scuola vince per quattro stagioni consecutive il titolo statale Nevada Division I [striscia vincente ancora aperta ndr] e Collins — nominato Nevada Player of the Year nel 2016— mette in mostra una discreta solidità (17.3 punti, 14 rimbalzi e 3.1 stoppate di media nella stagione da senior). Nello stesso anno si guadagna anche il diritto di apparire al McDonald’s All American Game, vetrina d’eccellenza per i ragazzi in uscita dalla High-school.
Credits to McDonald’s All American Game/ USA TODAY High School Sports/ via Google
Le qualità del ragazzo fanno drizzare le antenne a molti college dell’ovest degli Stati Uniti: Collins fa visita a Gonzaga, Cal University, New Mexico, San Diego State e Utah. La scelta ricade sui Bulldogs di coach Mark Few perché— come spiegato dallo stesso Collins all’epoca in un’intervista — usano i loro lunghi più di ogni altro nella nazione.
Il contributo di Collins— primo All- American nella storia dei Bulldogs— si rivela fondamentale e permette a Gonzaga non solo di conquistare la prima storica qualificazione alle Final Four del torneo NCAA, ma addirittura di arrivare a un passo dal titolo, cedendo nel Championship Game ai Tar Heels di North Carolina. Higlight della sua stagione, soprattutto considerando la posta in palio, non può che essere la prestazione sfoderata nella semifinale nazionale contro South Carolina [14 punti, 13 rimbalzi e 6 stoppate in 23′ sul parquet ndr].
Collins fa della versatilità uno dei propri punti di forza. Per essere un lungo ha grande capacità di coprire il campo in transizione, sia difensiva che offensiva. A dispetto dell’altezza, la mobilità di piedi gli permette di cambiare su giocatori più piccoli, compensando la poca estensione in termini di apertura alare. Quest’ultima caratteristica lo rende efficace quando è coinvolto in difesa sul perimetro (ad esempio in situazioni di pick n roll) In attacco può contare su mani “educate” ma deve lavorare anzitutto per allargare il proprio range d’azione, migliorando al contempo la qualità e fluidità del rilascio sul tiro, prerogativa fondamentale per renderlo uno stretch four a tutti gli effetti.
I puntidebolisu ambedue le metà campo derivano anzitutto da una mancanza di raffinatezza in senso tecnico —polish in inglese. In difesa, nonostante l’eccezionale tempismo nell’andare a stoppare e uno spiccato senso della verticalità, manca ancora di un po’ di “disciplina” e potrebbe soffrire la dirompente fisicità dei “”lunghi” NBA. Vulnerabile sulle finte, dovrà saper tenere a bada la propria foga che lo rende troppo spesso soggetto a problemi di falli.
Cio detto, trattandosi di un one and done (anche in questo caso una prima volta per il programma di Gonzaga) siamo di fronte ad un talento grezzo ancora da plasmare. Prospetto sicuramente interessante con una buon skill set di partenza da implementare. Gli esperti segnalano la sua ascesa negli indici di gradimento degli scout NBA e prevedono una chiamata attorno alla quindicesima posizione. Il ragazzo potrebbe fare comodo a diverse squadre. [I PortlandTrailBlazers, pure interessati, non hanno avuto un approccio troppo convincente]. Da segnalare il workout tenuto con i Kings nella giornata di domenica. I DetroitPistons, detentori della dodicesima scelta assoluta, potrebbero decidere di puntare su di lui per coprire un’eventuale partenza di Aarron Baynes, centro di riserva. Il suo profilo, infine, per certi versi simile a quello di T.J. Leaf, prodotto di UCLA, potrebbe fare anche al caso dei DenverNuggets o, con ogni probabilità, scendere fino ai Chicago Bulls alla #16.