21. MILWAUKEE BUCKS, Voto: 5,6
di Michele Pelacci
Sul mercato NBA, l’immobilismo non è sempre condannabile, anzi. Torna comodo citare quella volta che Golden State declinò la trade Love-Klay: la stagione successiva vinsero il primo titolo dando il via ad una Dinastia. Phoenix, quest’estate, non ha fatto il botto. Come Milwaukee, i Suns hanno scelto al Draft e null’altro. Differenza: i Suns stanno ricostruendo, Milwaukee no. I Bucks flirtano coi Playoff da ormai tre anni, eppure non riescono a salire quel definitivo gradino per confermarsi ai vertici della Eastern Conference. Anche per questo la redazione di NbaReligion ha storto il naso davanti alle scelte prive di coraggio dei Bucks: a volte rischiare porta frutto, come quella volta che qualcuno scelse uno sconosciuto dai sobborghi della Grecia. Come dite? Erano proprio i Bucks?
Allargando il discorso, i Bucks devono rimanere competitivi. La squadra è una delle meno valutata della Lega e ogni qualvolta si parla dell’ingresso di una nuova franchigia il nome di Milwaukee è sempre il primo della lista tra le città da silurare. Il pubblico al BMO Harris Bradley Center è tra i meno presenti della Lega e la franchigia non vince un minimo di 50 partite in stagione regolare dall’annata 2000-2001. Allenava George Karl. Feel old yet?
Alcuni scenari che farebbero vincere ai Bucks 50 partite quest’anno:
-Antetokounmpo MVP. Accadrà davvero: 30%.
-Jabari Parker dimentica di essere fragile e vince il MIP. Accadrà davvero: 60% per una stagione sana (con tanti auguri al ragazzo), 15% per il MIP.
-Thon Maker diventa il Kevin Gernett bucksiano. Accadrà davvero: 30%.
-Orlando arriva ottava ad Est con 33 vittorie. Accadrà davvero: 50%.
Insomma Bucks fans, sarà dura. Greg Monroe ha detto sì grazie alla sua player option da 18 milioni per la stagione incombente, rendendo i Bucks una squadra da luxury tax per arrivare a 45 vittorie (verosimile). Quasi 122 milioni per una squadra mediocre? Benvenuti nella NBA moderna. Monroe è free agent nel 2018 e liberarsene ora costerebbe caro ai Bucks, forse più di una prima scelta. Middleton e Giannis sono incedibili (semicit.): se le cose non saranno idilliache fin da subito, è lecito pensare John Hammond (GM dei Bucks dal 2008) muova qualcuno dei giocatori che pesano circa 10 milioni a stagione per questa e diverse annate a venire: Dellavedova, Snell, Henson o Teletovic.
Ecco dunque che i Bucks potrebbero aver semplicemente rimandato di qualche mese le scelte riguardanti il futuro. Se la squadra gira, se Giannis mvpeggia, se le ginocchia di Jabari tengono, se D. J. Wilson si rivela un’ottima presa, allora i Bucks potrebbero anche pensare di rimanere così. Altrimenti, proveranno a scambiare uno dei quattro giocatori sopracitati. La precedenza potrebbe spettare a John Henson, che sta invecchiando peggio del previsto e c’è abbondanza di lunghi dopo che anche Spencer Hawes ha esercitato la propria player option. Oppure, a seguito dell’affermazione di Brogdon, potrebbe essere appiedato Dellavedova. Il reparto guardie ne uscirebbe tuttavia ridotto all’osso e non a caso il voto all’estate dei Bucks potrebbe alzarsi se riuscissero a firmare Derrick Rose. Anche per questo grida ancora vendetta la prima scelta (divenuta OG Anunoby nel corrente Draft. I Bucks persero pure Norman Powell) per prendere Greivis Vasquez nell’estate 2015. Dopo un solo anno ai Bucks, il venezuelano è ancora senza contratto. Milwaukee deve ora pregare in ginocchio Rose e tapparsi il naso guardando alla luxury, in attesa di scambi. Giannis pensaci tu.
20. NEW ORLEANS PELICANS, Voto: 5.8
di Marco Munno
A metà della scorsa stagione, la squadra con il miglior lungo della Lega decise di mettergli al fianco il secondo della lista; nell’epoca dello small ball, una franchigia perdente quale i New Orleans Pelicans cercarono di rivoluzionare con un asse sotto canestro i valori della Conference, andandosi a prendere un posto nei playoffs.
Poco male che non si fosse riusciti, perchè il piano della compagnia guidata da Alvin Gentry, assistant coach di livello durante il primo anello dei Warriors di quest’ultimo triennio, era quello di creare l’asse Davis/Cousins come arma di distruzione della Western Conference di questa stagione.
Una coppia, per quanto abile in entrambi i componenti e in tutte le sfaccettature offensive (difensivamente diciamo che si tratta maggiormente di una compensazione fra l’eccellenza di Brow e la pigrizia di Boogie), non può essere decisiva senza un adeguato sostegno. La priorità per la franchigia è stata la rifirma di Holiday, mentre con il cap così già occupato la speranza era quella di piazzare trades utili per buoni comprimari. Da questo punto di vista niente da fare per i Pelicans, che ad esempio per l’ennesima sessione di mercato (la quinta, oramai) non sono riusciti a liberarsi di Omer Asik, chiaramente chiuso sotto canestro, oppure a scaricare l’insensato contrattone dato appena la scorsa stagione a Solomon Hill.
L’unico arrivo, oltre a Darius Miller dal Bamberg campione di Germania e al rookie Frank Jackson, è stato quello di Rajon Rondo. Semplicemente, in grado di essere croce o delizia per le squadre in cui gioca, con ultimo esempio quello della stagione scorsa ai Bulls, passato dall’idea di essere il play della rinascita, a diventare il terzo in rotazione litigando con le altre due stelle, per chiudere risultando il più decisivo della postseason per Chicago. Giocatore dal talento grande ma parimenti particolare. Per inserire uno di questo tipo è importante che il contesto sia solido: con uno degli unici tre giocatori di livello dei Pelicans ad essere un playmaker, già si crea una sovrapposizione in cui sarà da valutare l’adattamento annunciato dal coach di Holiday nel giocare come guardia, con meno responsabilità di ball handling. Altra menzione doverosa è per le spaziature, che Rondo riduce e che porteranno di conseguenza più lontano da canestro almeno una delle due Torri Gemelle. Infine, proprio il rapporto con almeno uno di loro: ricordate la connessione fra Rondo e Cousins ai Kings?
19. ATLANTA HAWKS, Voto: 6
di Alessandro Zullo
Che il vento in Georgia fosse in procinto di cambiare direzione lo si era capito già dai primi giorni di maggio e dalle parole del proprietario Tony Ressler.
Ci siamo impegnati a trasformare nei prossimi anni gli Atlanta Hawks in una squadra da titolo, e alla fine di questa stagione era chiaro a tutti noi che la nostra organizzazione interna andasse rivista
Detto fatto.
Mike Budenholzer si dimette (o meglio, viene gentilmente invitato a farlo dopo gli “orrori” commessi con Howard e Mr. Kent-70 milioni in 4 anni-Bazemore) da President of the Basketball Operations e Wes Wilcox viene “retrocesso” dalla posizione di GM a quella di semplice special advisor.
Poco meno di un mese dopo, ecco il volto nuovo di Atlanta: Travis Schlenk, nome notissimo a San Francisco dove negli ultimi anni aveva assistito Bob Myers alla guida dell’invincibile armata Warriors, è il nuovo General Manager dei Falchi.
Le nuove strade da percorrere, secondo Schlenk, sono due: “be flexible” e “gain assets”. Che detto molto semplicemente significa: niente contrattoni, salari bassi che si possano muovere facilmente un domani per arrivare ad un pezzo grosso, rinnovi a scadenza relativamente breve (vedi sotto), e tante tante pick (ne hanno già 11 nei prossimi draft). Il tutto, se possibile, condito anche da una buona dose di tanking.
“Be flexible” avete detto? E che problema c’è?
Appena venti giorni dopo, ecco la prima mossa: Dwight Howard e i suoi quasi 24 milioni a stagione vengono spediti a Charlotte per Marco Belinelli e Miles Plumlee, con Atlanta che, inoltre, cede la sua scelta(la numero 31) in cambio della seconda degli Hornets, dieci posizioni più in basso.
A prima vista la trade può non piacere, ma in realtà è un piccolo capolavoro, per due motivi. Il primo è di stampo tecnico: (quel che è rimasto di) Dwight Howard sta alla motion offense di Budenholzer un po’ come Kyrie Irving sta alla scienza. Semplicemente incompatibili (e sempre per colpa loro). Il secondo è, appunto, di tipo economico. Sì, è vero che anche Plumlee non porta in dote un contratto straordinario (12,5 milioni per i prossimi tre anni), però sicuramente si tratta di un asset più facilmente “vendibile” sul mercato e che comunque libera fin da subito più di 11 milioni in salari garantiti. Insomma: si poteva fare peggio, ma difficilmente si poteva fare meglio di così.
Capitolo Millsap. Qui la scelta – per quanto sofferta e dolorosa – è chiara fin da subito: niente rinnovo (e nessuna offerta addirittura). Anche in questo caso all’apparenza disperato, però, Schlenk riesce a ricavare qualcosa grazie ad una sign-and-trade che porta in Georgia Jamal Crawford (che verrà poi subito tagliato), Diamond Stone e soprattutto la prima scelta dei Clippers al prossimo Draft (protetta top 3). Una soluzione radicale e definitiva (con Millsap se ne va l’ultimo reduce di quella meravigliosa cavalcata terminata alle finali di Conference contro Cleveland), resa necessaria dalla nuova strada intrapresa dalla franchigia.
Anche qui, sarebbe stato complicato pensare di fare meglio.
Il resto dell’estate è caratterizzato poi da una serie di piccole-grandi operazioni che non possono che garantire alla franchigia georgiana una piena ed abbondante sufficienza per questa offseason.
La prima è il rinnovo di Muscala – elemento fondamentale nell’ecosistema Hawks – a cifre molto contenute(10 milioni in due anni), alla quale segue quello di Ilyasova, sempre in ottimi termini(annuale a 6 milioni).
La seconda è la firma di Dewayne Dedmon, “scippato” a franchigie che ne avrebbero avuto molto più bisogno(Boston, ci senti?) per davvero pochi spicci, se relazionati alle cifre attuali in circolazione e alla stagione appena conclusa dall’ex Spurs(14 milioni in due anni).
Infine, ultima ma non ultima, la scelta al Draft di John Collins, ragazzo ancora molto grezzo e inesperto(specie dal punto di vista difensivo), ma appena affermatosi come uno dei prospetti più interessanti all’ultima Summer League dove ha chiuso con una doppia doppia di media(25 punti contro i Pelicans nell’ultima partita), dimostrando grande abilità nel giocare il pick’n roll e nessuna paura nel buttarsi a rimbalzo, specie in attacco. Ah e sa anche schiacciare, un pochino.
Insomma, il futuro degli Atlanta Hawks non è oggi. E forse non è nemmeno domani, a pensarci bene. La strada però è stata tracciata e i primi passi, per quanto dolorosi, sono stati mossi questa estate con decisione e sicurezza. Una sufficienza piena, appunto.
Due consigli al volo per chiudere.
1. Tenete d’occhio DeAndre’ Bembry nei prossimi anni
2. Se un vostro amico vuole buttarsi in un fiume non seguitelo e fatelo ragionare.
Se un vostro collega offre 70 milioni in 4 anni a Tim Hardaway Jr non pareggiate l’offerta e fatevi una grande, grandissima risata.
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