Signori, ci siamo. Il Pagellone dedicato al Mercato NBA arriva al suo atto conclusivo. Dopo aver cercato di spiegare l’inspiegabile nel primo episodio, avervi esposto i limiti ed i rischi del purgatorio a cui tante squadre potrebbero essersi condannate; dopo aver visto quelle che a malapena ce l’hanno fatta a strappare la sufficienza e quelle che invece si sono difese con orgoglio e ambizione, oggi troviamo le sei squadre che quest’estate hanno dato il meglio di loro. Ma non perdiamo ulteriore tempo: quali sono le regine dell’estate?
6 • BOSTON CELTICS Voto: 7,5
di Alberto Mapelli
L’estate dei Boston Celtics si può riassumere in tre momenti importanti: il trade down della pick #1 con Philadelphia, la firma di Gordon Hayward in free agency e lo scambio Bradley-Morris. Il GM Danny Ainge è stato molto discusso, nel corso dell’estate, soprattutto per il mancato completamento di una trade per quei nomi caldi (Butler, George) di cui si era parlato tanto, e per i quali i Celtics avrebbero dovuto – secondo detta di molti – impegnarsi di più per portarli a casa, dati i tanti asset che Boston poteva vantare nel suo mazzo e la consapevolezza di essere vicina a colmare definitivamente il gap con Cleveland. Ma andiamo con calma.
In ordine cronologico la prima operazione chiave attuata è stata la clamorosa ed inaspettata rinuncia alla prima chiamata assoluta, e di conseguenza a Markelle Fultz, selezionato dai Philadelphia 76ers. In cambio di non scegliere la point-guard da Washington Boston ha accettato la #3 dei Sixers e un’altra prima scelta (Lakers 2018 o 76ers/Kings 2019). La futura scelta va ad aggiungersi alle innumerevoli disponibili e funge come una garanzia di longevità ad alti livelli della franchigia del Massachusetts. Quello che ha fatto storcere il naso è avere “passato” sia Fultz che Lonzo Ball, vale a dire due delle future Point Guard più talentuose del prossimo decennio per aggiungere a roster l’ennesima SF, alias Jayson Tatum. Tatum potrebbe rappresentare una piacevole sorpresa vista la grande facilità con cui sembra poter mettere a segno punti preziosi in un sistema corale come quello impostato da Stevens. Non si tratta quindi di un doppione di quelle disponibili come caratteristiche ma sono legittimi i dubbi sulla futura spartizione dei minuti tra lui, Brown, Crowder e Hayward.
Proprio la firma di Gordon Hayward risulta essere la notizia più lieta per la green nation. L’ex Utah Jazz era infatti il grande obiettivo dichiarato da mesi e nella concezione generale la destinazione Celtics era la più scontata per il prodotto di Butler. Nonostante qualche giorno di indecisione alla fine Hayward ha deciso di portare i propri talenti nuovamente alla corte del suo ex allenatore al college. In un’estate piena di grandi spostamenti il fit tra il #20 e il sistema Stevens rischia di essere quello con un impatto maggiore sull’economia della Lega. Nonostante i Cavaliers rimangano ancora superiori a Boston (Irving permettendo), Hayward è un upgrade notevole rappresentando un ottimo difensore polivalente, uno scorer affidabilissimo e un leader educato ma trascinante. Di riflesso Gordon Hayward potrebbe scalare un ulteriore gradino nella gerarchia delle stelle NBA spostandosi in una squadra dal PACE superiore (Boston 99.32 – Utah 93.62) e al top della visibilità.
Tuttavia se la firma di Hayward rappresenta un passo in avanti verso gli immobili Cavaliers, la trade successiva che ha provocato l’addio ad Avery Bradley potrebbe rappresentare un passo indietro. La rinuncia al miglior difensore perimetrale della squadra (e ad un attaccante in crescita) non è una scelta dettata dalla follia del momento ma da un freddo calcolo. L’estate 2017-2018 prevede infatti la scadenza contemporanea di Thomas, Bradley e Smart e a Boston non ci sarebbe stato spazio salariale per rifirmare tutti e tre a cifre consone. Sostanzialmente “Trader Danny” ha anticipato la scelta liberandosi del contratto del numero #0 evitando alla proprietà di sforare il Salary Cap e allo stesso tempo affidando il futuro della franchigia a Isaiah Thomas. Esattamente in questo punto entra la mia “avversità”. Siamo sicuri che la Point Guard titolare di una squadra da titolo possa essere Isaiah Thomas? Anche con un potenziale back-court Fultz-Doncic non dico a portata di mano ma quasi? Domande a cui solamente il tempo potrà dare una risposta. Intanto i Celtics si godono una squadra migliorata, possibilmente più profonda e versatile in mano ad uno dei migliori allenatori in circolazione. Non c’è la certezza di essere più competitivi rispetto alla passata stagione, quello solo il campo lo dirà; ma sicuramente i Celtics sono sulla giusta strada.
5 • PHILADELPHIA 76ERS Voto: 7,6
di Niccolo’ Scarpelli
L’estate dei Sixers è stata tanto efficace quanto minimale. Bryan Colangelo, l’attuale GM di Philadelphia, ha operato pochi colpi, precisi ma mirati. Nella notte del draft i Sixers hanno messo le mani sulla la prima scelta assoluta, detenuta dai Celtics, con una trade che gli ha visti rinunciare ― oltre alla loro scelta numero tre ― ai diritti sulla prima scelta dei Lakers 2018 (protetta 2-5, qualora i Lakers dovessero tenersela, Phila manderà a Boston la prima scelta 2019 dei Kings). Così facendo la squadra della Pennsylvania si è assicurata di poter scegliere per prima per il secondo anno consecutivo; e dopo aver preso Ben Simmons l’anno scorso ― una point-forward atletica e versatile che promette di mixarsi benissimo con Saric e Corvington ― le attenzioni erano rivolte verso una point/combo-guard capace di portare ulteriore ball handling e talento nell’unico spot dove Philadelphia ancora scarseggiava. E quale occasione migliore, visto che la classe 2017 presentava in Markelle Fultz la principale stella del gruppo? Fultz è una point-guard super atletica (1.94 centimetri per oltre 90 chili) con una grandissima capacità di coordinare l’attacco della propria squadra e di saper costruire sempre un buon tiro, per se o per i compagni.
Con Fultz i Sixers avranno i loro personalissimi Big Three, anzi Big Four sommandoci pure Saric, uno dei candidati al premio di rookie dell’anno nella passata stagione e altro talento puro in mano a coach Brown. I FEDS (acronimo con le iniziali dei cognomi dei fantastici quattro, una sorta di cavalieri della rinascita) sono il raggiungimento finale del primo step di The Process ― aggiungere più talento possibile ― adesso finalmente ultimato. Abbia inizio la fase-2 allora: tornare a competere.
Ovviamente non sarà un processo immediato neanche questo: i Sixers hanno tanti giovani (in estate sono arrivati nella città dell’amore fraterno anche Pasecniks e Korkmaz, da aggiungere ai vari Holmes, Justin Anderson e Luwawu-Cabarrot) da continuare a sviluppare; tutti con una quantità di talento tale da far venire gli occhi a forma di cuoricino a chiunque. Soprattutto Phila ha Joel Embiid, un colosso africano che gioca da semi-dio, che nelle prime 31 partite giocate ha fatto capire quanto poco c’entri con il resto del mondo e che stava riuscendo da solo a trasformare i Sixers della passata stagione in una squadra da playoff.
Quello che serviva a questo roster erano delle figure di riferimento, dei veterani in grado di aiutare la crescita dei baby-fenomeni e installare una cultura vincente. E Colangelo è stato molto bravo anche in questo portandosi a casa con due annuali rispettivamente Amir Johnson (11Milioni) e soprattutto JJ Reddick (23M). L’ex lungo di Celtics e Raptors non porterà tanto un aiuto tanto sotto il profilo tecnico ― quelle caviglie sono in polvere ― quanto come chioccia all’interno dello spogliatoio, essendo un veterano rispettato da tutti. Reddick invece aggiungerà esperienza, carisma e soprattutto spaziature fondamentali. Complice anche una situazione salariale molto favorevole (Philadelphia è entrata in questa off-season con 45 milioni circa di spazio salariale) Colangelo ha potuto prendersi un giocatore da playoff in grado di esaltare le doti di Fultz che di Simmons come ball handlers e che avrà il compito di far vedere cosa può fare una guardia abile al tiro in un sistema di gioco come quello dei Sixers.
Philadelphia approccia la stagione con una quantità di hype tale da permettersi di sognare pure un ritorno ai playoff (complice va detto anche un livello della conference non proprio eccelso), e adesso non resta che sperare di evitare infortuni e sfortune varie e di poter finalmente vedere all’opera questo benedetto Process.
4 • MINNESOTA TIMBERWOLVES Voto: 7,9
di Marco Munno
Nelle ultime tre stagioni ai T’Wolves è stata appiccicata l’etichetta di squadra del futuro: con le prese di Wiggins e LaVine prima, quella di Towns la stagione successiva, per chiudere con Dunn, l’idea è stata quella di un nucleo giovanissimo destinato a dare soddisfazioni restando compatto intorno al capostipite dei giovani prospetti di Minnesota, l’ancora verde Ricky Rubio.
Tuttavia i ragionamenti sulla carta non hanno trovato riscontri nella realtà: nonostante un Towns già fra i migliori centri della Lega nel suo secondo anno in NBA, si è man mano palesata l’indisposizione difensiva sia di Wiggins che di LaVine, una poca consistenza di Dunn non in grado di superare nelle gerarchie un Rubio il cui raggio di tiro ridottissimo (tranne negli ultimissimi mesi) permette alla difesa di congestionare il pitturato, lasciandolo libero e quindi limitando le sue visioni di linee di passaggio celestiali.
In quel di Minnie bisognava decidere come capitalizzare su una serie di asset giovani ma non perfettamente amalgamati: le scelte fatte in post-season sono andate oltre ogni più rosea previsione.
Sono stati sacrificati LaVine e Dunn per arrivare ad una stella fatta e finita come Butler, aggiungendo uno specialista difensivo e uno dei migliori All Star della Lega senza perdere i migliori due giovani in rosa; la rinuncia a LaVine potrebbe contare meno del valore singolo del giocatore, vista la similarità col più concreto Wiggins oltre al recupero tutto da valutare (tanto più per un super atleta come Zach) da un infortunio non certo banale, come lo strappo del legamento crociato anteriore.
Inoltre, dopo stagioni intere di speculazioni su trade che lo coinvolgessero in uscita, la società è riuscita a cedere il chiacchierato Rubio. Al suo posto, in regia, è stato ingaggiato Jeff Teague: l’ex Atlanta e Indiana non risolverà molto i problemi di spaziature, ma ha fisicità da mettere in difesa ed è un buonissimo giocatore di pick-and-roll, destinato a sposarsi bene con Towns. Inoltre contribuirà a togliere pressione e responsabilità a Wiggins in attacco, scaricandolo di compiti di gestione ed evitando di sovraccaricarlo di tiri. Un veterano, che a Thibodeau farà comodo.
Minnesota ha incentrato tutta la sua sessione estiva sull’aggiungere esperienza, da qui gli arrivi di Jamal Crawford e di Taj Gibson; J-Crossover, da anni stabilmente nell’élite dei sesti uomini della lega, continuerà a fare il guastatore con passo felpato in uscita dalla panchina, mentre il fedelissimo di coach Thib sarà chioccia di Dieng e del rookie Patton, nello spot di lungo vicino a Towns.
Proprio all’immenso KAT, quindi, è stato donato un gruppo in netto miglioramento per poter cominciare a contare qualcosa nella giungla della Western Conference; finalmente può iniziare a spiccare il volo verso i playoffs?
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