Dove eravamo rimasti?
Record 36-46. Undicesimo posto. Eastern Conference. Mettendo insieme questi tre fattori, è piuttosto semplice rendersi conto che quella 2016-17 non è stata una stagione esaltante per gli Charlotte Hornets, rimasti a galleggiare tra la lotta per i playoff e i bassifondi di quella che, sopratutto dopo l’estate appena passata, è nettamente la meno attrezzata tra le due Conference.
Qualche scusante si può trovare, forse si è teso a sopravvalutare il terzetto da playoff formato da Kemba Walker, Nicolas Batum e Michael Kid-Gilchrist, che però sotto la guida di un coach esperto come Steve Clifford sembrava avere tutte le carte in regola per far bene. Il supporting cast poteva non essere dei più eccelsi, e aspettarsi che Marco Belinelli giocasse come se avesse ancora accanto Tony Parker, Manu Ginobili e Tim Duncan è stato un po’ ipocrita (senza nulla togliere all’onesta stagione del Beli), con Spencer Hawes e Roy Hibbert che somigliano sempre di più a ex giocatori che puntano a tirare su contratti e Jeremy Lamb che deve ancora decidere cosa vuol fare da grande. Kaminsky e Zeller hanno dato segnali di crescita incoraggianti, ma ancora troppo leggeri per poter anche solo pensare di avere l’impatto mostrato in NCAA rispettivamente 2 e ormai 4 anni fa.
Alla fine dei conti, probabilmente, a far storcere il naso più di ogni altra considerazione è il fatto che, con roster più o meno dello stesso valore, altre squadre come Indiana Pacers e sopratutto Miami Heat abbiano disputato una stagione nettamente superiore e siano riuscite una a qualificarsi ai playoff, l’altra a giocare un basket di altissimo livello e raggiungere lo stesso record dei Chicago Bulls ottavi. Per Michael Jordan i grattacapi erano molti cominciando l’offseason, ma il GM Rich Cho durante l’estate si è mosso piuttosto bene e potrebbe aver messo le basi per il ritorno ai playoff degli Hornets.
Il fulcro dell’estate a Charlotte è stato lo scambio che ha portato Dwight Howard nel Nord Carolina (assieme alla scelta numero 31 dell’ultimo draft) in cambio di Marco Belinelli, Miles Plumlee e la 41esima scelta.
Messaggio chiaro: lasciati andare Hibbert e Hawes, si è deciso di puntare su una star sì in fase calante, ma ancora in grado di portare a casa una doppia doppia di media ed essere uno dei migliori rimbalzisti della lega; Plumlee era un asset tranquillamente sacrificabile, Belinelli è stato una perdita alla quale si pensa di rimediare esigendo finalmente continuità da Jeremy Lamb.
Dopo aver deciso che Ramon Sessions, Brian Roberts e Briante Weber non erano all’altezza di fare da backup a Kemba Walker, l’estate ha portato in dote anche la firma di Michael Carter-Williams, liberato dai Chicago Bulls e accasatosi alla corte di MJ con un annuale da 2.7 milioni di dollari. L’intervento al ginocchio subito ad Agosto potrebbe costare al giocatore la prima settimana di regular season, ma dovrebbe tornare in piena forma agli ordini di Steve Clifford entro gli ultimi giorni di Ottobre, garantendo agli Hornets un giocatore che sì, deve ritrovarsi, ma può contare su grandi mezzi sia tecnici che fisici e un’età che gli lascia ancora aperta qualsiasi possibilità di carriera NBA.
Infine, un draft ricco di talento come pochi negli ultimi anni ha permesso alla squadra di scegliere Malik Monk alla numero 11, aggiungendo alla panchina (o chissà, subito in quintetto) una guardia con punti veloci nelle mani; unica controindicazione, un infortunio alla caviglia che ha afflitto il giocatore per tutta l’estate, obbligandolo a saltare tutta la Summer League. Ancora non è chiaro quando Monk potrà cominciare a lavorare con i suoi compagni.
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