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Miami Heat

Miami Heat Preview: Per fare tornare il sole a South Beach

Continuità e costanza sono le parole chiave della prossima stagione dei Miami Heat, alla ricerca dei playoff mancati lo scorso anno.

Punti di forza e punti deboli

Se la quantità di talento riconoscibile ad occhio nudo sembra poca appare scontato che il punto di forza maggiore della squadra della Florida sia l’intensità con cui la squadra si applica nella metà campo solitamente meno interessante per i giocatori, ovvero la propria metà campo. Andando a spulciare i dati prodotti nella scorsa stagione quello che più risalta all’occhio è il 104.1 di defensive rating, un dato da top 5 della lega, “sporcato” solo da un rendimento decisamente inferiore a questo nella prima metà di stagione, prima che il mago Spolestra trovasse l’alchimia per trasformare il suo roster. Il pitturato di South Beach è la terza no-fly-zone più temibile d’America e ha fatto registrare 5.7 stoppate a gara, con Whiteside che ha guidato il gruppo rimbalzando 2.1 conclusioni ad allacciata di scarpe. Un punto di forza ulteriormente incrementato dalla matricola Adebayo, anch’egli giocatore dalla verticalità incredibile e immediatamente spendibile in NBA. Altro aspetto peculiare difensivo in cui gli Heat eccellono è la capacità di concedere pochissimi punti da turnovers (13.9 a partita, la terza della lega) e in situazione di contropiede puro (10.3, i migliori in NBA), segno dell’attenzione messa in campo dagli uomini di Spo ma anche facilitati da un ritmo della partita controllato che genera meno possibilità di compiere una scelta sbagliata. Spolestra ha inoltre costruito un sistema difensivo molto efficace nel portare pressione ai tiratori avversari, che ha portato gli Heat in vetta alla speciale classifica dei tentativi avversari dalla lunga distanza (solo 22.7 di media) e la terza peggior percentuale di triple realizzate contro di loro.

NO-FLY-ZONE!

Se gli estremi della difesa sfiorano la perfezione nella terra di mezzo si aprono delle falle ingigantite dalle caratteristiche dei giocatori di spicco. Se è vero che Whiteside è uno squalo difensivo sotto canestro è altrettanto provato che appena fuori dal pitturato è un pesce fuor d’acqua. I limiti nello scivolamento laterale e nella capacità di reggere in qualche modo l’accoppiamento con i giocatori perimetrali esterni avversari rende il mid-range della squadra della Florida il terreno da sfruttare per fargli male. I numeri non mentono nemmeno in questo caso: tra i 10 e i 14 piedi Miami è la squadra contro cui si tira di più (8.1 tentativi a partita) e si tira meglio (45.7%).

Le volte in cui Whiteside si trova accoppiato con un piccolo solitamente finisce così, anche contro il fantasma di Deron Williams.

A fare da contraltare a una difesa tutto sommato d’élite c’è un’efficienza offensiva tutt’altro che eccelsa, con 105.2 punti segnati su cento possessi, figlia appunto di quel poco talento offensivo che ha condizionato la prima parte di stagione. Se il floor general degli Heat è sicuramente Goran Dragic, che nel frattempo ha fatto ammattire chiunque gli si sia parato davanti ad EuroBasket, le responsabilità offensive sono distribuite lungo tutto il collettivo. Ben 7 giocatori della scorsa stagione hanno messo a referto più di 10 punti di media (il migliore è proprio lo sloveno con 20.3 per partita, career high) ma anche le assistenze si sono distribuite in mani inaspettate, come quelle di James Johnson, vero e proprio facilitatore in attacco, che ha fatto registrare 3.6 passaggi vincenti a partita. Un sistema collaborativo a cui tutto il collettivo partecipa e che ha come suo principio cardine il read-and-react, vale a dire un continuo adattarsi ai contesti favorevoli creati da quello che può essere un blocco, uno sbagliato posizionamento difensivo avversario, una distrazione. Gli Heat cercano di creare e di sfruttare un qualsiasi vantaggio sulla difesa da poter sfruttare per mandare al tiro l’uomo in condizioni migliori, indipendentemente chi egli sia e da come si sviluppi l’azione.

Tuttavia il poco talento viene a galla quando arriva il momento di fare canestro. Intendiamoci, gli Heat sono tutt’altro che un disastro ma anche i numeri li inseriscono in quella area mediocritas che non li fa eccellere in nulla di particolare. Gli Heat hanno chiuso la scorsa annata al 15° posto per percentuale dal campo, al 12° per percentuale dalla linea da tre punti mentre sono tra le squadre che hanno la minor quantità di liberi tentati (26°, meglio solo di Detroit, New York, Dallas e Orlando), sintomo di come le numerose linee di penetrazione prese dagli esterni di Spolestra siano utilizzate spesso e volentieri con l’intento di fare collassare la difesa per costruire un tiro migliore per un compagno.

Dragic non guarda mai il ferro, con lo sguardo cerca il compagno su cui la rotazione dei Rockets ha lasciato un varco fino a quando lo trova in angolo, sul lato debole. 3 points!

Il giocatore che potrebbe far fare un minimo di salto di qualità è Justise Winslow, giunto ufficialmente al terzo anno di NBA dopo aver trascorso il secondo quasi sempre in infermeria. In un collettivo organizzato come quello di Spolestra, Winslow sembra essere l’uomo giusto al posto giusto. La Small Forward da Duke è un potenziale giocatore all-around di ottimo livello, in grado di aggiungere ulteriore profondità alle capacità difensive della squadra e un ulteriore passatore di discreta qualità, capace di agevolare le conclusioni dei compagni. Winslow deve lavorare assolutamente sulle scelte di tiro (35% dal campo nelle 18 partite disputate su 12 tentativi di media) e deve cercare di costruirsi una tiro perimetrale quantomeno da rispettare per allargare le spaziature offensive della squadra. In tal senso l’innesto di Olynyk, anche se a caro prezzo, aggiunge un giocatore nel reparto lunghi in grado di garantire una minaccia perimetrale da tenere in considerazione (36.8% da dietro l’arco in carriera).

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