Dove eravamo rimasti?
In una Eastern Conference sempre più povera di talento, non è stato troppo difficile per i ragazzi di coach Brad Stevens, approdati ai Playoff da primi della classe, arrivare fino allo scontro con chi può arrogarsi il diritto di essere definito Re dell’est senza che nessuno tenti neppure timidamente di smentirlo. Giocarsi le proprie chance di vittoria contro quello che nelle ultime sette stagioni si è puntualmente portato a casa il pass per le Finals non dev’essere facile per nessuno; tuttavia, il problema principale dei Celtics non è stato quello di essere riusciti a strappare a LeBron e alla sua corte soltanto una partita della serie, quanto piuttosto quello di credere fino alla fine nella possibilità di vincere l’anello per poi abbattersi contro l’uragano James. “È davvero frustrante continuare a perdere contro la stessa squadra o la stessa persona”: parole e musica di Paul George, uno che la supremazia di LeBron James ha avuto modo di conoscerla sulla propria pelle. È questo il rischio che correvano in Massachusetts, diventare i nuovi Indiana Pacers, gli eterni secondi che ogni anno ci riprovano e puntualmente assistono alle Finals comodamente seduti sul divano. Evidentemente, Danny Ainge deve aver capito che la vittima sacrificale non è la parte che più si addice alla sua personalità, e in questo senso si spiegano la rivoluzione tecnica operata sul mercato.
In primo luogo, l’ex prima scelta dei derelitti Nets è stata affidata ai Philadelphia 76ers in cambio della loro terza scelta e una prima scelta futura (Lakers 2018 o 76ers-Kings 2019). Con Isaiah Thomas (ancora) in squadra, non si infatti sentiva la necessità di arruolare un promettente playmaker come Fultz o Ball: Ainge ha preferito puntare tutto sul talento di Jayson Christopher Tatum, ala piccola da Duke, che con il suo innato fiuto per il canestro costituisce una freccia importante nella rinnovata faretra di coach Stevens.
Archiviato il draft, il mercato dei free agent imponeva un’attenta riflessione sul da farsi: alla fine, tra i vari Griffin e Gallinari che venivano quotidianamente accostati ai bianco-verdi, a spuntarla è stato Gordon Hayward, pupillo di coach Stevens e uomo in grado potenzialmente di far fare ai Celtics il salto di qualità: a farne le spese sono stati Avery Bradley (spedito a Detroit in cambio di Marcus Morris) e Kelly Olynk, uomini simbolo dei C’s degli ultimi anni, immolati sull’altare del salary cap. Se tutto questo non dovesse bastarvi, sappiate che il bello deve ancora venire…
Già, perché nel mare magnum delle squadre interessate ad un Kyrie Irving con lo strano, ma pur sempre comprensibile, mal di pancia di chi è stufo di non essere considerato il volto di una pur vincente franchigia, a spuntarla sono stati proprio Ainge e i suoi Celtics, che non hanno esitato a impacchettare Crowder, Zigic, la prima scelta dei Nets del 2018, una seconda scelta spendibile nel 2020 e il tanto amato Thomas in quel di Cleveland pur di accaparrarsi le prestazioni del ribelle Kyrie. Solo il tempo ci dirà chi avrà realmente fatto l’affare in quella che al momento sembra essere una trade positiva per entrambe le franchigie: per ora, l’unico con l’amaro in bocca sembra essere proprio Isaiah Thomas, l’uomo simbolo del ritrovato Pride bostoniano (che però tra qualche mese non avrebbe esitato a battere cassa), il quale non sembra aver gradito il trattamento riservatogli dall’ingrato GM. Al di là di ogni retorica e alla luce dei problemi fisici che il nativo di Seattle dovrà affrontare nei prossimi mesi, Boston può guardare con fiducia verso il futuro, nella speranza che James si accontenti di sette apparizioni consecutive alle Finals.
(Credits to Boston Celtics)
Commento