Alzi la mano chi a inizio Settembre si sarebbe immaginato che OKC, dopo 22 partite di regular season, avrebbe avuto 10 vittorie e 12 sconfitte.
Adesso alzi la mano chi, sempre a inizio Settembre, si sarebbe immaginato che OKC, dopo 22 partite di regular season, avrebbe avuto 10 vittorie e 12 sconfitte con:
– Russell Westbrook, Paul George e Carmelo Anthony che tirano complessivamente con il 41% dal campo e segnano rispettivamente 22, 21 e 19 punti a partita
– la squadra che è seconda nella lega per punti concessi agli avversari (99.4 a partita), è prima nella lega per palle rubate (10.6 a partita) e sta giovando di uno Steven Adams in fase di esplosione vista l’area avversaria aperta dagli scarichi di Westbrook per le due star neo-arrivate (+5 punti a partita per il neozelandese rispetto alle media in carriera, +1.5 negli assist e +5.4 di PER con il 64% dal campo).
In estate ci siamo tutti sprecati in parole al miele e paragoni con creature mitologiche per quel gran cervellone che è Samuele Prestigiacomo, dall’altra parte dell’oceano Sam Presti, che di mestiere fa il GM di OKC.
Dopo tutto, prendere Serge Ibaka nel 2016 e girarlo agli Orlando Magic per Victor Oladipo e Domantas Sabonis, aspettare un anno e consegnare lo stesso pacchetto agli Indiana Pacers per Paul George (OKC trades Serge Ibaka for Paul George, you do the math) e contemporaneamente spedire anche Enes Kanter e Doug McDermott a New York in cambio di Carmelo Anthony, nella NBA del 2017 non può non impressionare.
OKC si presentava ai blocchi di partenza della stagione 2017-18 come legittima concorrente se non altro per provare a dare un gran fastidio ai Golden State Warriors, quasi sullo stesso piano di Cleveland Cavaliers e Houston Rockets. E le premesse perchè venisse fuori una finale di conference con Russell Westbrook a sfidare Kevin Durant c’erano tutte (e ancora ci sono, ma ci arriveremo), tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello del contesto della conference.
La regular season dei ragazzi di coach Donovan è iniziata in sordina, come era più o meno lecito aspettarsi da un roster in cui vengono catapultate all’improvviso due stelle, e dopo il massacro dei Knicks all’esordio, le tre sconfitte non pesanti contro Minnesota (due volte) e Utah e due nuove grandi vittorie contro Indiana e Chicago, la situazione sembrava di ambientamento e normale amministrazione.
Con il passare dei giorni, però, le sconfitte hanno cominciato ad aumentare, e ha cominciato a prendere pericolosamente piede nelle prestazioni dei Thunder un filo rosso che collega in maniera fin troppo limpida le defezioni di Westbrook e compagni.
Il primo campanello d’allarme suona venerdì 3 Novembre, quando alla Chesapeake Energy Arena arrivano i Boston Celtics orfani di Gordon Hayward e durante il primo tempo OKC vola addirittura a +18, dando un assaggio di cosa la propria difesa e gli attacchi in transizione ripetuti possano fare; man mano che i minuti passano però l’intensità dei padroni di casa tende a calare, Boston prende coraggio e con un paio di magie di Irving nel finale trova la vittoria.
Nelle 3 trasferte successive il copione è sempre lo stesso, i Thunder riescono sempre a costruire vantaggi più o meno consistenti che finiscono però per sfaldarsi negli ultimi minuti, permettendo a Blazers, Kings e Nuggets di farne precipitare il record a 4-7.
La situazione non è ancora delle peggiori, ma gli avversari affrontati nelle prime undici uscite stagionali non erano esattamente tutte contender, e a far preoccupare sono le modalità con cui arrivano le sconfitte; come sottolineato nelle premesse, infatti, l’integrazione di George e Anthony con Westbrook procede apparentemente a ritmi tutto sommato soddisfacenti, l’MVP non è più costretto a diventare il deus ex machina della squadra e quando prova a tagliare l’area in penetrazione, oltre a Steven Adams sotto canestro, ha anche i due nuovi arrivati pronti a colpire da fuori sugli scarichi (non me ne vogliano Oladipo e Sabonis, ma è un altro mondo).
Dopo il filotto di sconfitte tornano ad arrivare messaggi incoraggianti contro Clippers, Mavs e di nuovo Bulls, asfaltate letteralmente da quella che sembra essere la nuova arma più efficace di OKC, ossia al sua difesa.
Per quanto risulti strano dopo tanti anni che è nella lega, Paul George non è ancora unanimemente riconosciuto come uno dei migliori difensori in circolazione (se non altro non sui livelli di Kawhi Leonard e Draymond Green, tanto marcando l’avversario in possesso quanto sulle linee di passaggio), e l’aggiunta di un giocatore del genere in un quintetto in cui ci sono già Steven Adans, Andre Robertson e Russell Westbrook (campione di pigrizia in difesa, ma che quando vuole è d’elite) ha reso i Thunder una macchina da transizione.
Nel momento in cui scrivo, oltre ad essere la prima squadra nella lega per recuperi OKC vanta due giocatori tra i primi tre per recuperi di media (proprio George e Westbrook, rispettivamente 2.6 e 2.2 a partita), fenomeno che ha aperto la possibilità di spingere subito l’attacco in campo aperto con conclusioni al ferro proprio dell’MVP in carica o scarichi negli angoli che gli avversari non sono ancora riusciti fisicamente a coprire.