Mitchell viene selezionato con la chiamata numero 13 dai Denver Nuggets, salvo poi essere immediatamente girato agli Utah Jazz in cambio della scelta numero 20 (poi rivelatasi Tyler Lydon) e Trey Lyles. L’11 Luglio, a nemmeno 20 giorni dal draft, l’Adidas lo mette sotto contratto con un accordo pluriennale, e più tardi sempre quel giorno il #45 segna 37 punti contro i Grizzlies alla Summer League di Las Vegas.
A Salt Lake City Mitchell trova una delle migliori realtà della lega per un rookie, una squadra che negli anni ha dimostrato di essere più che disposta a puntare da subito sui giovani e orfana della stella della squadra, quel Gordon Hayward che ha deciso di fare il salto in una contender lasciando vacante il ruolo di leading scorer. Partito anche George Hill, in estate è arrivato Ricky Rubio, a caccia del riscatto dopo troppi anni passati in rampa di lancio a Minnesota senza mai riuscire a fare lo step decisivo. Il ruolo di guardia titolare nel quintetto di coach Snyder è affidato a Rodney Hood, ma a Mitchell viene subito data la possibilità di lasciare il segno con più di venti minuti a partita, e il debutto assoluto in NBA il 18 Ottobre finisce con 10 punti e 4 assist (proprio contro i Nuggets). Il primo acuto importante arriva il 24 Ottobre allo Staples Center, contro i Clippers, in cui Mitchell mette a segno 19 punti seguiti a ruota dai 22 contro i Lakers, soltanto 4 giorni dopo. L’attenzione dei media è tutta su rookie come Ben Simmons e Lonzo Ball, e Spida ha tutto il tempo per crescere nella penombra e prendere le misure con la nuova lega – cominciando già a mostrare giocate del genere:
Con il passare delle partite i Jazz si confermano squadra assai funzionale per il giovane; lasciano all’ex Cardinals la libertà di cui ha bisogno di per esprimere il suo valore durante i primi passi nella lega e aggiungono alla ricetta la giusta quantità di vittorie necessarie a far restare sereno l’ambiente (con buona collaborazione del nostro, che l’1 Novembre ne mette 28 nella vittoria contro Portland). Il primo vero ostacolo della carriera NBA di Mitchell arriva il 3 Novembre, e si protrarrà per più di due settimane durante le quali i Jazz perdono 8 partite su 10, cominciando a smarrire alcune delle certezze accumulate nelle prime partite e subendo gravi cali di prestazione (Rubio, apparentemente all’anno della svolta per i punti segnati, ritorna pericolosamente nel limbo dell’inutilità) ed infortuni (Gobert va ai box per un problema al ginocchio, e si unisce alla defezione di inizio stagione di Dante Exum). Durante questo filotto di sconfitte, Mitchell rimane una delle poche costanti a disposizione di coach Snyder, dimostra una forza mentale incredibile per un ragazzo di 21 anni e sostiene in buona parte il peso dell’attacco; dal 3 al 20 Novembre, fa registrare 17.5 punti a partita con 4.3 rimbalzi e 3.9 assist, cominciando ad attirare più di qualche attenzione non solo dagli addetti ai lavori, ma dagli appassionati di basket in generale (‘it was about damned time‘, come direbbe LeBron).
Nell’annata da rookie di ogni giocatore poi diventato grande, però, finisce inevitabilmente una partita che conta più delle altre, uno statement game, 48 minuti in cui il mondo rimane a guardare quello che un appena 20enne nella lega solo da poche settimane riesce a fare contro i professionisti.
Per Donnovan Mitchell, lo statement game arriva l’1 Dicembre, quando i Jazz vengono da quattro vittorie consecutive e ospitano i New Orleans Pelicans a Salt Lake City; in 37 minuti sul parquet, Spida tira 13/25 dal campo (52%), 6/12 da 3 punti (you do the math) e 9/11 ai liberi: il suo tabellino al termine della partita (vinta 114-108) recita 41 punti con 4 rimbalzi e 4 assist. Si tratta del record di punti mai segnati da un rookie per Utah, ed è anche la prima partita da almeno 40 punti di un rookie in NBA dal 2011, quando a riuscire nell’impresa fu Blake Griffin. Durante la partita contro i Pelicans Mitchell da una dimostrazione di tutta la completezza del proprio repertorio, è tremendamente efficace nel tiro da fuori sia dal palleggio che in catch & shoot, la velocità del suo rilascio non da tempo al difensore di opporre la resistenza necessaria, grazie alla potenza delle gambe può battere praticamente chiunque con il primo passo e una volta arrivato al ferro è in grado di concludere sia di potenza schiacciando che con un layup in sottomano in caso di affollamento particolare.
Nelle tre partite successive alla demolizione dei Pelicans sono arrivate 3 prestazioni da 21, 31 e 36 punti rispettivamente contro Wizards, Thunder e Rockets (non esattamente squadre da tanking), tutte accompagnate dai canonici 3 rimbalzi e 3 assist di media abbondanti.
Mitchell rappresenta un concentrato di energia difficilmente eguagliabile in giro per la lega (si potrebbe pensare a Westbrook, ma le caratteristiche sono totalmente diverse e la capacità di segnare in più modi è gia avanti rispetto al primo anno di Russ), l’esplosività delle gambe unita a quelle braccia sterminate e una pericolosità dall’arco a livelli già altissimi lo rendono una minaccia costante per tutte le difese. Non è mai fermo, tutti i palloni che passano da lui vengono trasformati in qualcosa di utile, esattamente come una dinamo trasforma il lavoro in energia elettrica sotto forma di corrente continua – AC/DC.
Fino a qualche settimana fa, la corsa per il Rookie Of The Year sembrava un monologo con protagonista Ben Simmons, troppo avanti sia mentalmente che tecnicamente (che fisicamente) rispetto alle altre matricole per poter anche solo pensare a un rivale credibile. Oggi quel rivale c’è, gioca a Utah con la maglia #45, e ha appena cominciato a dominare la lega.
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