C’è chi invece non è mai una delusione, e come i più raffinati vini francesi (di cui tra l’alto ne è un grande estimatore) più invecchia e più migliora…
LeBron James (non) invecchia ― di Michele Pelacci
Nella passata stagione regolare, Andrew Wiggins è stato il giocatore più utilizzato di tutti: 3048 minuti. Sapete quanti sono i minuti giocati in 13 post-seasons che LeBron? 9127. Androidesque.
La vita di LeBron è modellata affinché lui rimanga in campo, afferma Bill Simmons. L’informato CEO di The Ringer pone a 1,5 milioni di $$$ la cifra che, secondo il partner in affari Maverick Carter, il Re spende annualmente per la cura del proprio corpo. Due allenatori sempre con lui, massaggi, chef, maniacale attenzione al sonno.
Karl Malone ha vinto il primo trofeo di MVP della stagione regolare a quasi 34 anni, il secondo a quasi 36 (il più anziano di sempre a sollevare il Maurice Podoloff Trophy). Non sarebbe dunque una completa anomalia se James vincesse il quinto titolo di MVP, anche considerando che la durata media del prime del giocatore NBA sembra in aumento. 33enne da un giorno, però, LeBron sta riscrivendo alcuni record, ristabilendo le gerarchie, mettendo le cose in chiaro.
Il LeBron visto nelle ultime due stagioni, quello che gradiva concedersi serate in panchina, ha dovuto (ri)portare l’interruttore sulla Modalità Androide™. Per un solo motivo, sostanzialmente: di giocare con lui Kyrie si era stufato. Con Isaiah Thomas fuori per la prima metà di stagione, tutte le responsabilità creative sono sulle sue spalle. (Altri fattori influenti: Dwyane Wade che non ne ha più per stare in quintetto; D-Rose che per poco non smetteva col basket quindi figuriamoci; nessun playmaking big men a roster).
Se Kyrie Irving ha beneficiato della scelta di lasciare Cleveland, LeBron sta dominando – verosimilmente – controvoglia. Lui che vuole allungare il più possibile la propria carriera è uno dei sei giocatori di questa stagione regolare con 37+ minuti a sera. Sta alzando il proprio livello perché deve, perché altrimenti la sua squadra sarebbe un disastro. Ma da dove arriva un miglioramento che ha fatto dire a tutti che il LeBron visto finora è il LeBron migliore di sempre? Probabilmente sì, per cinque motivi.
1) Clutch. Mai come quest’anno James è nell’ozonosfera NBA quando la palla inizia a pesare. Ai primissimi posti sia per punti segnati, che per efficienza e per percentuale reale dal campo… Insomma, si è scordato di cosa sia la pressione. “L’ultimo paio d’anni, con Kyrie grandioso com’era nei quarti periodi, era come se scegliessimo le nostre partite. A volte toccava a lui, a volte toccava a me” dice il Re. Ora c’è lui, poi lui, poi lui, che peraltro guida anche la classifica di assist totali negli ultimi 5 minuti in partite tirate. “Ora i miei compagni girano lo sguardo verso di me [ogni volta]” ammette LBJ.
2) Percentuali al tiro. Tutti i tipi di tiro. Sta flirtando con l’80% dalla lunetta, da sempre suo tallone d’Achille. É sopra il 60% in eFG%, roba che gli era riuscita solo negli ultimi due anni a Miami. Mai così bene nemmeno dall’arco, dov’è sopra il 40% con 5,1 tentativi a sera. “LeBron ha lavorato duro per diventare un vero tiratore. E intendo, cavolo, un vero tiratore” dice Sua Precisione Kyle Korver
3) PER. Il Player Efficiency Rating non è tutto, ma, specialmente se tocca il 30+, è qualcosa. Ogni stat avanzata, insomma, perora la causa Most Valuable Player. Quattro volte il suo PER ha superato quota 30: sempre MVP a fine anno. (Qua per saperne di più sul PER).
4) Basketball IQ. Per giocare contemporaneamente playmaker in una metà campo e centro nell’altra serve un’intelligenza cestista fuori dal comune. Cambia su tutto e tutti, non va sotto contro nessun in post, quando è dentro la partita è davvero un difensore eccezionale. Ammette inoltre che il suo tiro deve tanto ai vari Mike Miller, Ray Allen, James Jones, Kyle Korver: apprendere qualche cosa da tutti è una caratteristica fondamentale per un sovrano.
5) Averne abbastanza. Sono passati quasi due mesi ma non per questo occorre dimenticarsene: appartiene a LeBron James la miglior performance di questa stagione (finora). “Non sono mai stato così bene” problema il Re dopo averne messi 57 sul parquet di Washington. 23 canestri dal campo (career-high) di cui 14 nel pitturato (career-high): lui che di invecchiare non vuole saperne, è diventato il più giovane di sempre a toccare quota 29000 punti totali nella Lega. Ha questa intangibile abilità, e insieme a lui la posseggono un ristrettissimo numero di colleghi, di girare una partita da solo.
Insomma, cosa dire di più? Ah sì, un ultima cosa da dire c’è in realtà: LeBron è anche l’unico vero ostacolo credibile che la Eastern Conference può opporre alla Morte Nera Warriors in questo momento. E visto che in molti dicono che questa potrebbe essere la sua ultima stagione ad est del Mississippi si prospetta un finale tutto da vivere. Ps: una delle voci riguardanti il futuro di LBJ lo voleva diretto in Texas, sponda Houston. Ma i Rockets non sono anche quelli che hanno appena messo le mani su Chris Paul? Come è stato il loro anno? Basta continuare a leggere…
L’ascesa dei Rockets: da 2.0 a CP3.0 per arrivare al titolo ― di Federico Ameli
Per la categoria “Annata da ricordare”, il 2017 riceverà quantomeno una nomination in casa Rockets. L’eliminazione ai playoff per mano degli eterni Spurs è stata un brutto colpo, ma nell’anno che si appresta a finire Houston ha gettato le basi per quella che sembra la miglior risposta alla tirannia Warriors. Dimostrando di credere fermamente nel progetto Moreyball e dimostrando una perseveranza incrollabile nel cercare di accorciare il gap con Golden State e puntare al bersaglio grosso.
Il 28 giugno scorso la perseveranza di cui sopra si è manifestata sotto forma di trade per Chris Paul, per il quale Daryl Morey ha sacrificato vari elementi di contorno della sua macchina da triple, senza però intaccare il core della squadra. Morey è da sempre un GM molto audace, artefice di mosse sempre molto discusse, come ad esempio scegliere D’Antoni per la panchina dopo l’esperienze non esaltanti a Los Angeles e New York. Eppure, D’Antoni è riuscito a calarsi perfettamente nel progetto dei Rockets, creandone una versione 2.0 coniugando il Seven seconds or less portato in auge da Nash ai tempi di Phoenix alle caratteriste di James Harden, padrone indiscusso della squadra. Anche la trade per Paul aveva destato dei sospetti, con molti che si chiedevano se Point God fosse in grado di convivere con un giocatore come Harden. Seppur per motivi diversi, entrambi sono tra i più grandi accentratori della lega e necessitano di avere il pallone tra le mani il più tempo possibile per poter dare il meglio; oltretutto, la carta di identità e soprattutto il contratto in scadenza tra sei mesi fanno pensare che quello di Houston non possa essere considerato un investimento a lungo termine. Ad ogni modo, per quanto potuto vedere fino ad ora, riteniamo che l’affaire Paul debba essere visto come l’ennesimo colpo di genio di Daryl Morey.
La soluzione è stata tanto semplice quanto efficace: Harden si occupa dello starting five, poi ci pensa CP3 a giganteggiare contro le seconde linee dei malcapitati avversari. Harden, in odore di MVP già lo scorso anno se solo Durant non fosse andato a rinforzare (si fa per dire) i Warriors, ad oggi è il leader della lega per punti segnati (32,4) ed è secondo nella classifica degli assist (9,2), dati che sembrano aver scongiurato il rischio che lo status di playmaker conseguito lo scorso anno potesse essere intaccato dall’arrivo di Paul. Inoltre, la capacità di segnare canestri impossibili è rimasta inalterata, il che non guasta.
CP3 invece, seppur non nato per un attacco Run&Gun come quello di Houston, ha dimostrato di sapersi calare ottimamente nella parte, come testimoniato dalle 6,1 triple tentate a partita da quando è in Texas, ben più delle 3,3 fatte registrare mediamente in carriera.
Con un Paul in più a roster, il PACE è leggermente calato rispetto allo scorso anno (101,4 contro 102,54), ma a beneficiarne è stato il Net Rating, passato da 5,4 a 9,5. Per non parlare degli innumerevoli benefici che ne hanno tratto tutti gli altri giocatori, che oltre ai cioccolatini di Harden si sono visti recapitare caramelle anche da CP3. L’esempio migliore forse è quello di Clint Capela, che con il 69,1% dal campo vanta la miglior percentuale realizzativa della Lega. Inoltre, i cultori del Moreyball possono stare tranquilli, visto che i Rockets sono ancora la squadra con più triple tentate a partita. Anzi ne tentano ancora di più della passata stagione, viste le 42,9 attuali contro le 40,3 dello scorso anno, realizzandole nel 37% dei casi. Quello che semmai è cambiata è la presenza di un giocatore letale dal mid-range, tiro sgradito per eccellenza dalla Moreyball e che da quest’anno gli avversari non potranno più concedere come facilmente come fatto dagli Spurs negli scorsi playoff.
Paul si è integrato alla perfezione, Harden (concorrenza permettendo) marcia spedito verso il premio di MVP, e i risultati sono più che positivi: ad oggi, i Rockets sembrano davvero poter essere i primi antagonisti dei Warriors. Solo il tempo ci dirà se l’investimento a breve termine darà i frutti sperati, ma quel che è certo è che in quel di Houston il 2017 ha lasciato una nuova coppia di stelle, ma soprattutto una rinata consapevolezza dei propri mezzi.