House of Guards – gli intrighi del potere
E non a caso dico questa stagione, perché proprio mentre le luci del palcoscenico NBA restano incollate sui soliti anormali fenomeni di nome Harden, James, Curry, Westbrook e Durant, sotto i radar dell’hype il ragazzo da St. Louis sta disputando la stagione migliore della propria carriera, sotto tutti i punti di vista statistici principali.
23.4 punti a partita, 4.6 gli assist, 4.5 rimbalzi totali, 1.2 palle rubate e persino un 0.5 stoppate per gara che vale il career-high anche qui e che presente l’abilità di wadeana memoria dell’eccellente tempismo di recupero difensivo. Numeri che non solo iniziano di per sé a valere l’investimento faraonico e discusso dei Wizards arrivato col contratto quinquennale da 127 milioni del luglio 2016, ma che permettono a Washington di rimanere in corsa per il podio della Eastern Conference con il record di 36-28, nonostante l’altalenante stagione disputata sino a qui e il vuoto lasciato in regia da John Wall, a causa di un intervento al ginocchio sinistro che lo ha costretto a uno stop di sei/otto settimane (ancora da scontare). Davvero niente male considerando le frizioni che da tempo minano la franchigia contestualmente additata da ESPN come ‘House of Guards – gli intrighi del potere’, con un riferimento velato alla serie televisiva prodotta da Netflix e che in prima persona hanno coinvolto proprio i numeri 2 e 3 della squadra.
La convivenza fra Wall e Beal d’altronde è sempre stato il pulsante rosso pericolosamente sul punto d’innescare una polveriera che avrebbe potuto e potrebbe ancora in qualche modo far saltare in aria la squadra capitolina. Una squadra che si è legata mani e piedi a filo doppio finendo col pagare nel 2021 ben 98 milioni ai soli Wall, Beal e Porter. Un investimento lapidario che rischia fortemente di divenire un fiasco se la leadership condivisa fra point e shooting guard dovesse incrinarsi di nuovo (questo è il primo anno in cui le due stelle rendono di più durante i momenti in cui condividono il campo e non il contrario). Al momento però, con Wall fuori dai giochi per infortunio, Washington sembra aver trovato un nuovo instabile equilibrio, costretta a giocare una pallacanestro collettiva affidandosi a un unico faro garantito che è proprio Bradley Beal, oppure subire passivamente l’assenza del leader tecnico ed essere inghiottiti da una Eastern Conference dove sei squadre in zona post-season sono separate da una manciata di vittorie. All’interno di questo delicato contesto, Beal aveva qualcosa da dimostrare, obiettivi da raggiungere. Doveva meritarsi tutti quei soldi che i Wizards hanno preferito dare a lui e non al partner-in-crime di franchigia e farlo con risultati concreti.
Il primo vero e importante traguardo in tal senso arriva appunto durante la vittoria del 5 dicembre contro i Portland Trail Blazers, dove Beal segna 51 punti (con appena 4 tiri liberi convertiti a referto) e fissa un nuovo massimo in carriera tirando il 57% dal campo. Non è un caso che la prestazione stellare (unico nel 2017/2018 a scollinare il cinquantello oltre ai due più papabili candidati all’MVP Harden e James) sia occorsa durante una gara a cui Wall non avesse preso parte.
La cosa ha permesso a Beal di prendersi ben 37 tiri dal campo segnandone 21, cosa che con il playmaker titolare sul parquet non solo non sarebbe stata possibile, ma persino controproducente. Un vero e proprio afflato vitale per i Wizards, che proprio nella stagione della possibile consacrazione si sono invece trovati fra le mani la versione più opaca dell’ex Wildcats John Wall. La prima scelta assoluta al Draft del 2010 infatti quest’anno ha speso il 77% del suo minutaggio stando fermo sul posto o a camminare lentamente. Percentuale più alta di tutta la NBA (stime ESPN) dopo quella di Nowitzki, di anni 40… Non proprio il dato che coach Brooks avrebbe voluto vedere a inizio anno, considerando che gran parte della pericolosità offensiva e tenuta difensiva di Wall passa proprio dalla sua invidiabile capacità di cambiare passo e aprire il campo facendo collassare la difesa avversaria sulle proprie fulminee penetrazioni. Con un inno molto italiano verrebbe perciò da dire: meno male che Bradley c’è.
Qualcosa è cambiato
Beal nelle ultime 16 partite disputate senza Wall è stato infatti capace di portare i Wizards al successo in ben dieci occasioni, sei delle quali in qualità di miglior realizzatore. Durante queste gare, allo status di unico terminale offensivo rimasto a disposizione di coach Brooks capace di spezzare un raddoppio o di crearsi un tiro dal palleggio, Beal è stato costretto ad indossare i nuovi panni di motore di tutto l’attacco di Washington, anche senza palla, ruolo prima appartenuto quasi in toto a Wall.
Il ventitreenne è stato caricato della responsabilità di innescare più del solito i compagni dopo un passaggio, sfruttando la propria pericolosità e l’attenzione che gli riservano le difese avversarie, spesso raddoppiandolo, per facilitare le operazioni altrui nel muovere la palla o tagliare al ferro.
Ed è proprio un bel movimento quello che si è venuto a creare, soprattutto nei dieci successi, occasioni in cui i Wizards hanno chiuso con 34.8 assist di media per gara, dieci in più della media stagionale. Il dato non basta tuttavia per affermare che con Beal a capo della franchigia tutto sia più roseo rispetto a quando a timonare ci sia Wall. D’altronde, anche questa luna nuova non è priva di una faccia oscura. Quella per cui l’intero attacco capitolino, catalizzato dall’incisività delle giocate di Beal, rischi di ridursi ad essere dipendente al cento percento dalla produttività di un singolo uomo. Ne è sintomo il fatto che nelle tre occasioni in cui Beal non sia riuscito a pescare una serata al tiro ‘nella media’ (compresa la recentissima sconfitta contro i Pacers), Washington tutta sia crollata su sé stessa, senza mai riuscire a recuperare il bandolo della matassa offensiva. Emblematica la sconfitta contro i Celtics, in cui Beal ha tirato 7/27 dal campo (25%) tenendo i suoi Wizards a 88 punti segnati su 100 possessi con lui in campo. Ancora peggio contro Golden State: 3/15 dal campo gli è valso appena 8 punti e soprattutto l’Offensive Rating più basso di tutti (58 punti segnati contro i ben 117 subiti, sempre su cento possessi. Tradotto: una Caporetto con Bradley in campo). La bontà delle squadre contro cui il calo si è verificato è certo merito anche delle difese avversarie, ma è proprio nel mantenere l’asticella del proprio gioco sopra un certo livello anche contro i migliori della lega quello scalino che separa Beal dalle massime eccellenze del Gioco.
Quanto detto sino a qui non altera comunque il fatto che complessivamente questi Wizards abbiano reagito con una soluzione collettiva a un colpo che poteva invece spezzare le gambe anzitempo e che il numero 3 da Florida abbia tutto sommato assunto e svolto di buon grado il nuovo ruolo di leader unico all’interno dello spogliatoio e in campo.
“Everybody eats”
ha dichiarato il giocatore per commentare la recente filosofia di squadra. Un sistema democratico che ha gonfiato il suo Usage Rate sino a 28.0%, superiore al 26% dell’anno scorso e sintomo del consolidato passaggio a prima opzione offensiva della squadra. Con Wall infortunato, Beal però non è stato messo da Brooks nei pressi della palla già a inizio azione, come si può erroneamente pensare. Ma si è preferito farlo partire lontano, così da sfruttare almeno un blocco in suo favore per cavalcare sin da subito l’elegante ed efficace jumpshot del numero 2. Beal tuttavia ha scelto di diminuire i propri tentativi da dietro l’arco, passando dal 41.8% del 2017 a un più ponderato 35% dei tiri totali nel 2018. Di più il prodotto di Florida ha calcato la possibilità di sfruttare il proprio ball handling per avvicinarsi al ferro, arrivando ad aumentare il numero d’iniziative personali da dentro l’arco dal 51% al 63% del totale. Il 15% delle quali giunte fra i 10 e i 16 piedi di distanza (appena 8.5% la percentuale della stagione passata).
In più, solo il 36.7% delle conclusioni da due punti realizzate da Beal sono state assistite, dato che suggerisce come l’attacco del giocatore si sia ampliato a un’offensiva totale, comprensiva di penetrazioni aggressive e tiri in avvicinamento al ferro a seguito di uno o più palleggi.
Partito come guardia esclusivamente catch-and-shot, Beal ora si è evoluto a forza cinetica all-around dell’offensiva Wizards, da sempre fortemente gerarchizzata, riuscendo ad essere produttivo il 70% delle volte in cui arriva nei pressi del ferro e distribuendo in maniera più equilibrata il suo impiego da SG o PG, occasioni in cui si preoccupa di far ‘mangiare’ anche i compagni (11 ad esempio gli assist distribuiti domenica notte contro Indiana). Nel 2017, con una versione più frizzante e presente di Wall in squadra, Beal aveva giocato il 93% delle gare in qualità di shooting-guard, in soldoni, tiratore puro. Oggi, il giocatore ha distribuito la percentuale d’impiego, arrivando a ricoprire per il 28% dei suoi minuti anche il ruolo di point-guard, arricchendo così anche la propria faretra con nuove efficaci frecce offensive.
Ciò che non si legge dalle statistiche è infatti che quest’anno Beal si sia consacrato a eccellente lettore delle spaziature, giocatore d’élite nello spezzare i raddoppi, incuneandosi negli angoli deboli dei difensori e guardia pluridimensionale nell’utilizzare accelerazione durante i pick-and-roll.
O anche decelerazioni quando si tratta di subire e assorbire un contatto o mantenere dietro di sé il difensore in recupero per evitare una stoppata.
Il tutto senza perdere gran che in termini di efficienza, abbassando il proprio PER rispetto a quello del 2017 di un solo punto (20.1>19.1). Non c’è quindi da stupirsi che proprio quest’anno sia arrivata anche la prima chiamata all’All-Star Game, durante il quale ha esordito per Team LeBron segnando 14 punti.
Il destino di uno stregone
Si può insomma concludere che l’apprendistato dell’appena ventitreenne da St. Louis stia per esaurirsi. Ma una volta divenuto stregone della Capitale, quanto poi Beal potrà ulteriormente migliorare e giovare alla squadra nelle sfide future? Con quei 98 milioni congelati a 2021 ad occupare quasi il 90% del cap, Washington non può certo sperare di aggiungere gran che al roster di cui già dispone per tentare l’assalto decisivo al trono, se non altro della Eastern Conference. Beal sarà perciò costretto a evolvere ancora e consacrarsi da eccellente secondo violino a superstar indiscussa. E Wall? Una volta rientrato, accetterà di fare un passo indietro, rinunciando a qualche privilegio del proprio status per ‘mangiare’ anche lui da un sistema che pare funzioni meglio del precedente? O si assisterà a un’hollywoodiana sfida fratricida mossa da invidia e sete di potere che porterà infine Washington a collassare su sé stessa, perdendo inevitabilmente prima del previsto uno dei due pezzi pregiati a disposizione?
I tempi non sono ancora maturi a sufficienza per azzardare certe ipotesi, ma quel che è certo è che a forza di depennare obiettivi, ora la famiglia Beal deve averne avanzati veramente pochi e fra essi non può certo mancare il più importante: il Larry O’Brien Trophy. Che questo debba avvenire necessariamente con questi Wizards o meno, è scritto solo nelle stelle. Molto comunque dipenderà dalla fame, di più ogni giorno, dell’ancora apprendista stregone Bradley Beal.