11 – John Collins ( ↓ 2 )
Quello che abbiamo battezzato come un lungo esplosivo, con un grande, grandissimo senso della posizione per vivere di rimbalzi offensivi sta cercando di farci capire che potrebbe essere qualcosa in più. Chiude la stagione con 10+ punti e 7+ rimbalzi di media, meri numeri che non dicono molto ma sono pur sempre qualcosa. Da metà stagione ha iniziato a testare sul campo quello che il coaching staff di Atlanta – quasi sprecato per una franchigia che ha piani solamente a medio-lungo termine – ha iniziato a fargli costruire in allenamento. Il tassametro di aprile si ferma a 2.7 tentativi da 3 punti, realizzati il 31% delle volte e tanta fiducia nei propri ancora incerti mezzi.
Una mossa quantomeno intelligente per regalare qualche possibilità in più ad un giocatore fisicamente inadatto a giocare da 5 e con poche caratteristiche definibili come moderne per farlo sopravvivere a lungo come 4 nell’attuale NBA. Una lega sempre più orientata a valorizzare lunghi atletici in grado di tenere difensivamente anche lontano da canestro – 37% concesso a più di 15 piedi dal ferro, leggermente sotto il par, tuttavia ha mostrato una discreta rapidità di piedi – ma che regalino la possibilità di aprire il campo, rappresentando una minaccia quantomeno discreta se piazzati in un angolo. Un prospetto ancora molto lontano dalla sua maturazione ma su cui vi invito a tenere gli occhi piantati bene addosso.
12 – De’Aaron Fox ( ↑ 1 )
Se pensiamo a che punto del Draft è stato scelto e a quelli selezionati dopo di lui viene da mettersi le mani nei capelli. Il fatto che sia finito a Sacramento non lo ha aiutato. Il fatto che a Sacramento non siano storicamente in grado di sviluppare e valorizzare il talento pescato non lo ha aiutato. Il fatto che che per metà stagione è stato chiuso da veterani nonostante non ci fossero reali ambizioni di classifica non lo ha aiutato. Finite le giustificazioni qualche colpa gliela possiamo anche dare: pochissimi passi avanti dal punto di vista difensivo (110 punti concessi su 100 possessi); pochissimi miglioramenti al tiro, rimasto davvero ondivago da tutte le zone del campo; scarsa capacità di finire in lunetta, condizione indispensabile per una guardia che prende oltre il 50% delle proprie conclusioni nel pitturato. Il primo passo fulminante e la clutchness gli aspetti più positivi di una stagione da rookie da cui ci si attendeva sicuramente qualcosa in più. Aspettative in ribasso.
13 – Jarrett Allen ( ↓ 1 )
Mani dolci nel corpo di un fresco ventenne (21/04/1998 recita la carta d’identità) dalle braccia infinite (227 centimetri di wingspan) ma ancora troppo poco strutturato. Jarrett Allen chiude la sua prima stagione da professionista circondato ancora da un alone di mistero, senza aver lasciato bene intendere quello che potrà diventare. Nonostante gli ottimi istinti e la rapidità di piedi a disposizione lascino intravedere potenzialità per costruirci un lungo difensivamente intrigante, la struttura longilinea e la facilità con cui viene spostato da lunghi ed esterni più grossi di lui sotto canestro – concede il 62% a meno di 6 piedi dal canestro – alimentano i dubbi di quanto potrà davvero incidere nella sua metà campo. Sull’altro lato del campo, invece, da quando è stato spostato in quintetto produce 109+ punti su 100 possessi, facendo trasparire sotto la superficie una meccanica di tiro tutt’altro che disprezzabile ma ancora poco esplorata.
14 – Josh Jackson ( = )
Uno di quei giocatori che nel complesso sono stati una delusione ma che lasciano intravedere speranze per il futuro. Il finale di stagione in impennata è tangibile: dal 13 marzo ha giocato 12 partite, tutte chiuse in doppia cifra, la metà con 20+ punti, toccando anche quota 36 per il suo career-high contro Golden State e mostrando al mondo di aver preso finalmente fiducia dopo un inizio di stagione disastroso. Le grosse lacune sono ancora lì: tiro pesante tutt’altro che affidabile (26% stagionale) e scarso impatto difensivo (110 punti concessi su 100 possessi). Si spera nell’arrivo di un vero allenatore per la svolta definitiva.
15 – Zach Collins ( NE )
Il prodotto di Gonzaga era completamente sparito dai radar nei primi mesi, distrutto dall’impatto con un mondo fisicamente troppo più grande di lui. Tempo di sviluppare un fisico adatto ai palcoscenici NBA e ha messo in mostra, seppur a piccole dosi, di tutto quello che sa fare su un campo da pallacanestro, il cui condensato potete trovare qui sotto. Capacità di mettere la palla a terra, visione da passatore tutt’altro che banale, controllo del corpo in post, possibilità di correre discretamente il campo, mobilità difensiva da sviluppare ma potenzialmente intrigante.
Tutte qualità che ne hanno fatto lievitare in fretta la considerazione anche tra i più distratti, tanto che in questi playoff in molti ne chiedevano un aumento sensibile del minutaggio per provare a mettere una pezza al rebus Anthony Davis, semplicemente immarcabile per un giocatore più maturo ma dalle caratteristiche non complementari come Nurkic. Aggiungete anche Zach a quelli del secondo anno da tenere sott’occhio.
Il career-high di ZC è un condensato di tutto ciò che sa fare e che potrebbe fare con sempre maggiore continuità in un futuro non tanto remoto.
16 – Dillon Brooks ( ↑ 1 )
Dillon Brooks è una delle pochissime note liete a Memphis, al termine i una stagione disastrosa anche nel suo essere perdente. I Grizzlies hanno ben poco da poter capitalizzare nel prossimo mercato e anche a voler demolire tutto quanto sono pochi gli asset spendibili. Conley sempre infortunato, Gasol sul viale del tramonto e la speranza di avere una scelta in top #2 per ripartire. Fine. Brooks ha vissuto l’ultima parte dell’anno in crescendo (20 punti di media ad aprile), complice anche la qualità media da G League del resto dei compagni. Non sarà mai un fenomeno ma in questo ambiente ha dimostrato di poter essere un solido giocatore di rotazione, dal discreto impatto offensivo e switchabile tra la posizione di guardia e quella di ala piccola. Una sorta di mini-reincarnazione di quello che è stato il mantra nella città di Elvis per tanti anni. Il Grit&grind è morto! Lunga vita al Grit&Grind.
17 – Josh Hart ( ↓ 1 )
Un piccolo infortunio che gli ha fatto perdere praticamente tutto marzo non gli ha impedito di brillare le ultime quattro partite di regular season dei suoi Lakers, scollinando sempre quota 20 punti e portando il suo career-high a quota 30. È il terzo rookie gialloviola in classifica, cosa che evidenzia quanto la pesca nello scorso Draft sia stata ricca per la franchigia losangelina. Tanto quanto i suoi compagni in questa Ladder (ma forse anche di più) non sa cosa lo attende il futuro: ha sicuramente dimostrato che con un po’ di fiducia e un contesto che consente ai giovani di sbagliare può rimanere in NBA. Molto dipenderà da quanto verrà rivoluzionato il roster Lakers in estate.
18 – Frank Ntilikina ( = )
L’inizio incoraggiante di stagione aveva rapidamente fatto posto allo sconforto. Arrivati a fine corsa è molto difficile dare un giudizio definitivo su quello che rimane un prospetto interessante ma terribilmente grezzo, anche dopo un anno di apprendistato in terra USA. Le braccia lunghissime, l’asfissiante difesa mostrata in alcuni incredibili flash, la carta d’identità che recita luglio 1998. Tutti aspetti che fanno ben sperare. A fare da contraltare un tiro poco efficiente (31% dalla lunga distanza), una visione di gioco tutt’altro che celestiale (3.2 assistenze a fronte di 1.7 turnover) e pochi, pochissimi progressi mostrati nell’arco di un anno. Servono pazienza e un coaching staff di livello. A New York potrebbe non avere nessuna delle due cose.
19 – Jordan Bell ( NE )
Occupa questa posizione perché ha mostrato di poter essere molto di più di quello che ha effettivamente combinato nella lega. A marzo ha scollinato per la seconda volta in stagione quota 15 minuti di media: 3 punti, 3 rimbalzi, 2 assistenze e 1 stoppata a partita, un Net Rating positivo di oltre 7 punti su 100 possessi. Un assaggio di ciò che ci auguriamo diventerà. E, a differenza del suo compare qui sopra, ha attorno a sé un ambiente perfetto: il modello da imitare, un coaching staff incredibile, nessuna pressione addosso, nessuna fretta di dover incidere. Ai playoff sta solamente marcando il garbage time. GSW non vuole bruciarsi prima del tempo Jordan Bell.
20 – Luke Kennard ( ↓ 1 )
Un giocatore con poco ceiling ma che tornerà tremendamente utile a Detroit se lo utilizzerà nel modo corretto. Vale a dire da tiratore puro per sfruttare i blocchi di due specialisti come Drummond e Griffin. Almeno potenzialmente Kennard potrebbe essere in un contesto adatto per affinarsi come giocatore di sistema, pronto ad approfittare delle attenzioni richiamate dai ben più ingombranti compagni. Marzo e aprile ha vissuto una specie di redenzione dopo il classico periodo di calo che i rookie affrontano durante l’anno chiudendo in doppia cifra per punti medi segnati, con il career-high da 23 punti nell’ultima apparizione stagionale. Chiude l’anno con il 65% di percentuale effettiva in situazioni di catch and shoot, ai livelli di JJ Redick, ovviamente con molti meno tentativi dal campo. Insomma, non diventerà JJ, ma il materiale per costruirci qualcosa di buon c’è.