Ultimi secondi della sfida di regular season tra Golden State Warriors e Los Angeles Clippers. Lou Williams ha già segnato 47 punti di cui 27 nel terzo quarto, la partita è praticamente finita e lui l’ha dominata, ma non riesce a trattenersi. Tira ancora, e fanno 50: career–high. “Ero in parte orgoglioso e in parte imbarazzato”, dirà dopo la partita. “Non era necessario prendermi anche l’ultimo tiro. Ma penso che Steve Kerr possa capirmi, la sua squadra fa spesso la storia”.
Probabilmente Kerr lo avrà perdonato, anche perché nonostante la mancata qualificazione ai Playoff, quella di Lou con i Clippers è stata una stagione straordinaria. Williams ha trascinato una squadra martoriata dagli infortuni, che ha perso Chris Paul in estate e Blake Griffin a gennaio, a un rispettabile record di 42-40.
Tira e ritira, il risultato è sempre lo stesso: splash
Durante un timeout di questa annata sfortunata per Lob City (il nostro Danilo Gallinari ne sa qualcosa), Williams dice di aver visto un paio di avversari scrutare incuriositi la panchina dei Clippers, cercando di riconoscere gente come Tyrone Wallace, Jawun Evans and Sindarius Thornwell. Lou si è girato verso i suoi compagni e lo ha fatto notare con la sua abituale franchezza: “Non sono sicuro che sappiano chi siete”.
Lui però non si è demoralizzato. Partendo dalla panchina, come ha fatto sempre in carriera, ha portato la squadra quasi fino ai Playoff e raggiunto il career–high personale in minuti, assist e punti, più di 22 a sera. Il suo gioco non è cambiato, prende la palla, palleggia e poi tira in qualsiasi condizione. Semplicemente ha avuto più spazio e opportunità per esprimersi. Nei momenti decisivi delle partite non si è mai tirato indietro: in regular season è stato l’unico oltre a LeBron James a segnare più di 500 punti nel quarto quarto. “Questa stagione è stata la più difficile ma anche più divertente. Non abbiamo molti giocatori importanti con grandi contratti, ma andiamo in campo per competere al massimo e a volte facciamo grandi cose. Per cose come questa voglio essere ricordato, non per la popolarità”.
Già, Lou Williams non è mai riuscito a passare inosservato. A 31 anni è tempo di bilanci, e guardandosi indietro Lou può vedere tutta la strada che ha fatto per arrivare dove si trova ora. Quasi in cima.
Rap e canestri
Quando gli viene chiesto da chi è stato cresciuto, Williams risponde semplicemente “dal mio quartiere”. Memphis, la città dove è nato, è un posto che vive di musica e di pallacanestro. Lou è cresciuto nella parte sud della città, dove giocava a baseball ma aveva a disposizione solo un pezzo di legno come mazza e un elenco telefonico come piatto. Alla ricerca di un’alternativa, è andato a rifugiarsi nel cemento dei playground, uguale per tutti. Basket, R&B e rap, questa è stata la sua infanzia.
Willie Lou Williams, il padre, è morto per un attacco cardiaco quando il piccolo Lou aveva soltanto 8 anni. “Mi ricordo che una volta è venuto a vedermi giocare a basket. Mi si è avvicinato mentre mi stavo scaldando, in sedia a rotelle. Non ho molti ricordi di lui, ma so che avevamo un bel rapporto.”
Dopo la scomparsa del genitore, Lou inizia a frequentare cattive compagnie e quando la madre parte per Atlanta, la sorella maggiore lo prende per un braccio e lo mette in macchina con lei: “Devi andare”. All’inizio la nostalgia per il vecchio quartiere è troppo forte, e per più di due anni Lou resta lontano dal campo. Quando si decide a riprovarci, in un piccolo team locale, è l’ultimo ragazzino a essere scelto. Una volta messo alla prova, però, tutti si accorgono subito del suo dono.
“Tutto diventa buio. Smetto di pensare, non sento i rumori. Segno e basta.”
Lou cresce in fretta, diventa la superstar della South Gwinnett High School.
Insieme alla passione per il basket aumenta anche il desiderio di fare musica: durante le lezioni scrive versi sul suo quaderno, immaginando di esibirsi su un palco. Nello stesso periodo fa amicizia con il rapper Bow Wow: i due si sfidano al campetto e parlano di musica. Nel Draft NBA del 2005 Lou viene scelto alla numero 45 dai Philadelphia 76ers del suo idolo, Allen Iverson. Lou diventa subito il ‘suo’ rookie: “Ero sempre in giro con lui. Una volta mi ha portato in un casinò ad Atlantic City anche se non potevo entrare. Così mi sono seduto nella lobby mentre lui giocava. Mi andava bene, ero insieme al mio idolo”.
Il consiglio più importante lo ha ricevuto proprio dal suo mentore:
“Diceva sempre che la cosa più importante era ‘stay ready so you don’t have to get ready’. Ho imparato molto dal modo in cui interpretava le partite. Un piccoletto che va in campo sentendosi una montagna, giocare insieme a lui mi ha cambiato la vita. L’ho visto malato, l’ho visto fisicamente finito, ma si alzava dal tavolino del massaggiatore e andava a farne 40 come se nulla fosse.”
A Philadelphia Lou conosce anche Meek Mill, il rapper più importante in città. Meek gli concede anche l’onore di fare un disco insieme a lui, nel pezzo I want it all.
La passione per la musica non lo abbandona mai, anche se rimane il suo hobby. La priorità? Ovviamente la palla a spicchi. Il giorno della vigilia di Natale del 2011, però, un altro episodio extra-campo fa puntare i riflettori su di lui. Williams sta guidando tra le strade di Philadelphia, deve frenare davanti a un semaforo rosso. In quel momento un uomo si avvicina al suo finestrino e gli mette una pistola sotto il naso. “Voleva rapinarmi, ma ha cambiato idea quando mi ha riconosciuto. Sapeva che faccio sempre quello che posso per la comunità, era un mio fan. Abbiamo trovato un compromesso, l’ho accompagnato da McDonald’s e gli ho pagato la cena”.
Tre anni dopo, un altro aneddoto che accresce la fama del buon Lou. Il rapper Drake, conosciuto da Williams durante la stagione con i Toronto Raptors, scrive in una canzone che Williams ha due fidanzate in contemporanea, con il loro consenso. Lou è ufficialmente una leggenda della NBA. JR Smith, uomo di riferimento in questo genere di cose, si precipita a incensarlo su Twitter: “Se questa storia è vera, Lou è il migliore!”, questo il commento di Smith. Quando gli ricordano la vicenda, Lou scoppia a ridere: “La sento ogni giorno. Ogni giorno. Ma vi assicuro che lo fanno più giocatori di quanti pensiate. Sono stato semplicemente il primo a finire in una canzone per questo”. Oggi è ancora fidanzato con una delle due ed è rimasto amico dell’altra.
La biografia di Lou sembra a tratti eccessiva, ma il suo è un carattere tranquillo, chi lo ha conosciuto davvero non lo descrive certo come un fanatico della notorietà. Fuori dal campo è diventato in fretta un personaggio leggendario, ma fino al 2015 per la NBA era solo un ottimo panchinaro in grado di metterne 15 a partita. Due anni prima, l’infortunio al crociato rimediato in maglia Atlanta Hawks aveva rallentato la sua crescita.
Nella sua stagione dopo il recupero dallo stop, Williams ha faticato molto, gli Hawks mal sopportavano la presenza di qualcuno che bloccasse così spesso la circolazione della palla con giocate personali. La consacrazione arriva con i Raptors, dove Lou vince il premio come Sesto Uomo dell’Anno e conosce DeMar DeRozan, ancora adesso uno dei suoi migliori amici.
DeMar lo stima molto: “Lou non è il più forte fisicamente, non è il più veloce e non salta più in alto di tutti. Nonostante questo, gioca come se fosse Michael Jordan, non si tira mai indietro. Quello che lo rende speciale è la sua abilità di emergere nei momenti più difficili facendolo sembrare facile”. La frase suona familiare? Forse perché è più o meno quello che Lou pensava del suo idolo Allen Iverson.