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Editoriali NBA

About your next MVP

Il 25 Giugno, la NBA consegnerà i premi individuali per la regular season 2017-18. Tre membri della redazione di NBAReligion discutono del premio più ambito.

Go Brow or go home

Di Leonardo Flori

LF: Premessa: New Orleans alla trade deadline di Febbraio 2017 si è trovata davanti la possibilità di affiancare, finalmente, un’altra star a Davis. Il punto è che quella star si chiama DeMarcus Cousins, e a molti (e lì per lì anche al sottoscritto) è venuto in mente, lampante, che mettere insieme due lunghi così ball-dominant, seppur giocatori strepitosi, nella NBA moderna che sempre più va nella direzione dello small ball, fosse un’idea folle.
Il punto è che NOLA, se davvero voleva provare a muovere qualcosa in modo determinante nel proprio futuro – e avere una star del genere a roster che incassa sconfitte su sconfitte ti obbliga a farlo – doveva cogliere un’occasione del genere al volo.

Dopo i più o meno disastrosi primi due mesi passati insieme sul finire della scorsa stagione, durante i quali i loro numeri individuali hanno retto nel nuovo ambiente ma le sorti della squadra non sono cambiate, i Pelicans nelle prime settimane della regular season 2017-18 hanno dato prova di aver finalmente trovato un proprio equilibrio, con Gentry che è riuscito a dare un’identità sia difensiva che, sopratutto, offensiva al roster basata su Pace altissimo (NOLA è stata nella top-5 delle squadre che hanno corso di più quest’anno) e movimento di palla di primissimo livello (top-5 anche per assist a partita e assist percentage totale).

Detto questo, quando a metà Gennaio Cousins si è rotto il tendine d’Achille durante una vittoria casalinga sui Rockets di James Harden, tutti abbiamo pensato che l’annata dei Pelicans fosse da gettare alle ortiche, proprio nel momento in cui quel frountcourt sembrava così unstoppable, e magari sarebbe stato d’attualità anche un pensierino al tanking. E invece no, NOLA è risorta dalle proprie ceneri, è riuscita a portare in squadra Nikola Mirotic (fornendo quindi un altro lungo bravo con la  palla ad Anthony Davis, per legittimare ulteriormente il tipo di equilibrio raggiunto), e ha cavalcato una striscia di vittorie consecutive arrivata a 13 che, oltre agli straordinari meriti della miglior stagione in carriera di Jrue Holiday, di Mirotic stesso e di Rajon Rondo, porta nettamente la firma di The Brow.
Durante quel mese abbondante, Davis ha tenuto 34 punti a partita, conditi da oltre 13 rimbalzi e quasi 5 assist, oltre alle 2 stoppate abbondanti a partita che lo hanno mantenuto l’ancora dei suoi anche per quanto riguarda la metà campo difensiva. In uno scontro diretto per la lotta ai Playoff contro i Clippers, allo Staples Center, fra terzo e quarto quarto il #23 di NOLA si è caricato i suoi sulle spalle, ha colpito un difensore dominante come DeAndre Jordan con ogni tipo di attacco possibile – partendo in palleggio dal perimetro, tirando da 3, in fade-away dalla media, raccogliendo lob lanciati in cielo dai compagni – e lo ha fatto dopo essere stato interrotto, momentaneamente, da un infortunio alla caviglia apparentemente molto grave.

Enough? 

Possiamo opinare che, su tutto l’arco della stagione, Davis non sia stato continuo quanto Harden e James, ma quello che abbiamo visto in quel mese-mese e mezzo, per quel che mi riguarda, legittima una candidatura per l’MVP e può tranquillamente rappresentare, per completezza di movimenti offensivi raggiunta e integrata con quella difesa, la cosa più mostruosa che abbiamo mai visto su un campo da basket.

JG: Allora, sulla forza del giocatore Anthony Davis non penso ci sia da opinare, stiamo parlando di uno dei primi cinque giocatori della lega, uno che quando vuole riesce a indirizzare non solo partite, ma intere stagioni della propria squadra (come abbiamo visto quest’anno). Il punto qua è che giocatori di questo genere, nella lega, sono pochi ma nemmeno così pochi, o comunque non solo altri due come Harden e LeBron (penso a Westbrook, Durant, Curry etc., comunque elite). Non c’è dubbio che per quelle 15-20 partite Davis sia stato il miglior giocatore della lega, ma è anche vero che fino all’infortunio Cousins stava andando addirittura meglio di lui, e senza quel tendine rotto forse ora staremmo parlando di lui con LeBron e Harden.

LF: We fermo però, come fai a sapere cosa sarebbe successo da Gennaio ad Aprile con Cousins in campo?

JG: Chiaramente non possiamo saperlo, ma le indicazioni delle prime 30 partite parlavano di un Cousins migliore di Davis, addirittura di un Antetokounmpo migliore di Davis, almeno individualmente. Non voglio dire che Davis non meriti l’MVP in maniera assoluta, anzi penso che si toglierà questa soddisfazione più di una volta nei prossimi 10 anni, penso solo che in questo momento preciso appartenga a una categoria leggermente diversa da quella di LeBron e Harden.

AZ: Beh sì, sottoscrivo tutto.

LF: No ragazzi chiariamoci, son tutti discorsi verissimi, io qua sto facendo letteralmente l’avvocato del diavolo perchè sono innamorato cestisticamente di Davis (come ogni persona normale sul pianeta terra), ma neanche io penso realisticamente che sia lui l’MVP. Voglio comunque sottolineare, però, come quest’anno sia riuscito a migliorare anche uno degli aspetti sotto i quali più spesso è stato colpito in carriera, ossia quello degli infortuni: in questa stagione, come nella scorsa, ha stabilito il proprio record di partite giocate in regular season, 75 su 82, più di quelle di Harden.

AZ: Ma meno di quelle di LeBron.

LF: si si va bene abbiamo capito, LeBron gioca sempre. E niente, un’altra cosa su cui voglio spendermi, e sulla quale penso siamo d’accordo, è che dei tre candidati Davis è sicuramente, anche per disponibilità di energie in relazione ai compiti in squadra, quello che riesce ad avere l’impatto maggiore sui due lati del campo, l’unico tanto imprescindibile per i suoi in attacco quanto in difesa (primo quintetto difensivo in questa stagione).

AZ: Sottoscrivo anche questo, concesso.

JG: anche se per me non era da primo quintetto difensivo (e vi spiego il perchè qua).

LF: Si ma stiamo divagando, quindi per concludere la mia arringa da avvocato del diavolo Davis non è l’MVP, ma ha annichilito tutto l’annichilibile in quel mese e mezzo e ha portato una delle squadre più scarse nella lotta, se non proprio la più scarsa insieme a Portland, alla qualificazione ai Playoff senza neanche doversi ridurre all’ultima notte, come capitato ai Minnesota Timberwolves sulla carta ben più quotati (“eh ma Jimmy Butler si è rotto gne gne gne”).

Anthony Davis non è l’MVP, viva Anthony Davis. 

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