2. Spencer Dinwiddie
Spencer Dinwiddie, a lungo inserito nel novero delle giovani promesse da chiamare in Lottery, viene scelto con la #38 dai Detroit Pistons al NBA Draft del 2014. Durante le prime tre stagioni, giocate con le divise dei Pistons e dei Bulls, Dinwiddie sembra non trovare una sua dimensione né un progetto in grado di coinvolgerlo appieno. La svolta arriva nell’allora D-League ai Windy City Bulls, dove mette a referto numeri interessanti che attirano l’attenzione di diversi team; a spuntarla alla fine saranno i Nets. Come ha fatto la terza scelta nel ruolo di playmaker di Brooklyn a vincere la Skills Challenge all All-Star Game e ad essere tra i tre finalisti per il premio di MIP?
Le fortune di Dinwiddie iniziano con gli sciagurati infortuni di Jeremy Lin e D’Angelo Russell: da terza opzione nel ruolo di playmaker, il californiano si ritrova catapultato in quintetto titolare. Nonostante quello che rischiava di essere il proverbiale passo più lungo della gamba, Dinwiddie non vive alcun periodo di ambientamento: in brevissimo tempo, da gregario si trasforma in vero e proprio leader di squadra. A differenza di Evans, Dinwiddie non ha avuto bisogno di reinventarsi per diventare il cuore pulsante dei Nets: è stato sufficiente poter sentire la fiducia e il sostegno di front office e allenatore per mostrare la rara intelligenza cestistica di cui è dotato. Già, perché la sua qualità più apprezzabile è sicuramente la capacità di prendere costantemente la decisione giusta in campo: non a caso è il secondo migliore giocatore della lega in Assist to Turnover Ratio.
Dinwiddie è diventato il giocatore più incisivo dei Nets: miglior assist-man di squadra (6.6 assist a partita); Win Shares e VORP (Value Over Replacement) più alti di tutti, miglior Offensive Rating del roster e +9.1 di Net Rating con lui sul parquet.
Anche dotato di una notevole clutchness.
L’intelligenza e la leadership assunte all’interno dei Nets non si discutono, resta tuttavia da considerare la situazione della franchigia, che si ritrova attualmente con 3 potenziali titolari nel ruolo di playmaker. Dinwiddie ha mandato un messaggio forte e chiaro in questa regular season, ma potrebbe non bastare: molto del suo futuro ai Nets passerà attraverso la capacità di estendere l’efficacia che lo contraddistingue nel tiro dall’arco anche nell’attacco al ferro – soprattutto considerato che si ritrova nella seconda squadra con il maggior numero di triple realizzate in stagione. Dinwiddie, Lin e Russell hanno il contratto in scadenza al termine della prossima stagione: riuscirà il nostro a convincere i Nets a fare di lui un pilastro su cui ricostruire il futuro della franchigia?
3. Trey Burke
Astro nascente dei Michigan Wolverines, Trey Burke si fa subito largo in NCAA guidando la squadra in punti, assist, palle rubate e addirittura stoppate. Dal momento del suo ingresso nella lega che conta, tuttavia, il giovane play dell’Ohio perde brillantezza e sparisce dai radar: prima agli Utah Jazz e poi ai Washington Wizards, gli viene infatti riservato un ruolo da panchinaro e uno scarso minutaggio. La svolta arriva nella stagione 2017/2018: Burke decide di ripartire dalla G League con i Westchester Knicks, squadra affiliata ai New York Knicks. Nella serie minore si mette in mostra con prestazioni da urlo (26.6 punti e 5.3 assist a partita) che gli valgono una chance in prima squadra: da questo momento in poi Burke non commette più un passo falso e si rivela una benefica iniezione di punti dalla panchina per la franchigia della grande mela (costretta tra le altre cose a gestire l’assenza di Porzingis), conquistando 9 partenze in quintetto titolare.
Burke chiude la stagione con una media di 12.8 punti e 4.7 assist a partita in 21 minuti di utilizzo. A colpire sono soprattutto i numeri che registrerebbe su una proiezione di 36 minuti di gioco: 21 punti e 8 assist sfornati a partita.
Per scoprire come Burke abbia ottenuto questo successo, non si può che parlare del mid-range, di gran lunga la sua soluzione preferita. Le percentuali scadenti dall’arco durante i suoi primi anni di carriera devono averlo convinto a ridurre il suo range e, per il momento, la scelta ha pagato: i canestri dalla media distanza, realizzati con un eccellente 53%, producono quasi il 40% del suo bottino complessivo e la True Shooting Percentage è di gran lunga la più alta in carriera.
Sebbene la scelta di ridurre drasticamente i tentativi dall’arco a favore del mid-range sia stata la chiave del successo di questa stagione, non si può considerare questa soluzione a lungo termine: la sua scelta è infatti in completa controtendenza con quanto lo sviluppo del gioco impone. Burke finora ha eluso il problema: per consolidare il suo futuro nella lega dovrà presto affrontarlo. Il pericolo per Burke che i Knicks scegliessero Trae Young, altra point guard, è sventato, ma considerando il buon impatto del rookie Ntilikina e la presenza nel roster di un’altra giovane point guard come Mudiay, lo spazio a disposizione del nostro rischia comunque di essere limitato. Per tutte queste ragioni, è tutt’altro che scontato che il futuro di Burke sia ai Knicks.
Ciò che importa, tuttavia, è che il timido rookie capace di mostrare solo ad intermittenza il suo talento ha lasciato il posto ad un giocatore finalmente maturo,capace di reggere sulle sue spalle il peso offensivo di una squadra.