2. Alex English, #23, 1976
Ecco un altro realizzatore di primissimo livello, un giocatore che, in mezzo a Larry Bird, Magic Johnson e Julius Erving, è riuscito ad essere il miglior realizzatore degli anni ’80. Selezionato con la ventitreesima scelta dai Milwaukee Bucks, verrà presto ceduto ai Denver Nuggets, dove riuscirà a diventare una macchina da punti.
Nei dieci anni trascorsi nel Colorado, English riuscirà a portare la squadra per nove volte consecutive in post-season, a vincere il premio di miglior realizzatore NBA nel 1983 e a guadagnare otto convocazioni all’All-Star Game.
Proprio come accaduto a Gervin, anche English deve “accontentarsi” di essere uno dei realizzatori più prolifici nella storia della lega (diciottesimo) senza aver mai avuto la possibilità di competere per il titolo a causa del dominio dei Celtics e dei Lakers.
Con le sue mani delicatissime era capace di andare a segno anche marcato da tre difensori.
Pensare che nel 1976 ben 22 due squadre – le uniche che possiamo scusare sono gli allora Buffalo Braves, che selezionarono Dantley, e i Warriors, che pescarono Parish- si siano fatte scappare un talento del calibro di English è quasi troppo incredibile per poterci credere. English è stato uno dei talenti meno apprezzati negli anni 80, soprattutto a causa della diretta concorrenza: non aveva l’atletismo di Wilkins o Erving, non sfornava passaggi spettacolari come Magic Johnson e il suo modo di giocare non colpiva quanto quello di Larry Bird.
È stato un realizzatore silenzioso, un giocatore rimasto lontano dai riflettori che, a forza di mid-range e raffinati sottomano ha compiuto la sua personale scalata nell’NBA, culminata con l’entrata nella Basketball Naismith Hall of Fame nel 1997.
3. Dennis Rodman, #27, 1986
Prima di parlare di un grande cestista, ci sarebbe un’infinità di cose da dire su Dennis Rodman: dal suo carattere eccentrico dentro e fuori dal campo, al suo ruolo di “ambasciatore” tra Corea del Nord e USA fino alle sue improbabili avventure amorose e molto altro ancora.
Proviamo, tuttavia, a concentrarci esclusivamente su ciò che ha mostrato in campo: la prima cosa da constatare è che, per un giocatore scelto così in basso, vincere 5 anelli e due premi come Defensive Player of the Year, equivale a dare uno schiaffo bello forte in faccia a tutti coloro che lo hanno ingiustamente snobbato. Quando si è presentato al Draft, infatti, quasi nessuno conosceva Dennis Rodman e di questa indecisione hanno approfittato con grande intelligenza i Detroit Pistons, che hanno potuto aggiungere ad una squadra già illegale (Thomas, Dumars, Dantley, Laimbeer, insomma, i Bad Boys) una furia difensiva come Rodman.
La stoppata di Rodman su The Dream regala ai suoi Pistons la vittoria.
Se prima abbiamo parlato di due realizzatori strepitosi, qui siamo su un pianeta completamente diverso: parliamo di uno dei migliori rimbalzisti della storia, capace di guidare la lega per rimbalzi catturati in ogni anno dal 92 al 98 e di un rim protector d’élite. Dopo i Pistons, passa agli Spurs, dove, nonostante con il suo arrivo si crei un front-court letale sui due lati del campo con Robinson, il suo carattere eccentrico è scarsamente tollerato.
Passato ai Bulls, aiuterà Jordan a conquistare il secondo incredibile three-peat, lottando come un leone in difesa e catturando rimbalzi anche in cielo.
La conclusione inevitabile di questa straordinaria carriera è l’entrata, nel 2011, nella Hall of Fame.
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