6. Tony Parker, #28, 2001
Eccoci a parlare dell’altra pietra su cui Gregg Popovich ha costruito la sua chiesa: Tony Parker.
Gli Spurs nel giro due anni mettono a segno due colpi clamorosi che, uniti al talento di Duncan, porteranno gli speroni ad essere una presenza costante in post-season. Come per Ginóbili, anche per Parker la vita negli States non è stata da subito idilliaca: tra lui e Pop non è infatti scoppiato il proverbiale colpo di fulmine. Il play francese, ad esempio, è stato panchinato durante le Finals del 2003, perché considerato ancora acerbo, ed erano in molti a ritenere che le strade di Parker e degli Spurs fossero pronte a separarsi definitivamente (si mormorava di un possibile approdo di Jason Kidd in Texas al suo posto). Riuscireste mai ad immaginare la carriera di Parker se non fosse rimasto agli Spurs? Quasi impossibile.
Uno dei tanti, tantissimi, lampi di puro genio di Parker.
Dopo questa iniziale incertezza, Parker è diventato un giocatore imprescindibile nel perfetto meccanismo che sono stati gli Spurs degli anni ’00 e, assieme agli altri due moschettieri, aiuterà i texani a portare a casa l’anello in ben 4 occasioni. A differenza del suo compagno di merende argentino, Parker è riuscito a portare a casa il premio di MVP delle Finals nel 2007 grazie ai suoi 24,5 punti di media nelle 4 partite in cui gli Spurs hanno massacrato i Cleveland Cavaliers.
All-Star per 6 volte, miglior realizzatore di tutti i tempi degli EuroBasket e un’infinità di altri piccoli dettagli che hanno reso Parker uno dei più clamorosi furti al Draft di sempre.
7. Draymond Green, #35, 2012
Un giocatore con un carisma incredibile, con un QI cestistico fuori dalla media e con un carattere a dir poco esuberante. Draymond Green è l’ultima tessera del puzzle, in ordine cronologico, che va a formare il nucleo originale dei Golden State Warriors che saranno poi capaci di portare a casa il titolo nel 2015 e di tornare al successo nel 2017 e nel 2018 grazie all’arrivo in California di KD.
In mezzo a una squadra di fenomeni, molto spesso l’importanza di Green viene sottovalutata: non piazzerà 20 punti a partita, ma dentro e fuori dal campo è lui l’anima dei Golden State Warriors.
Green mette questa intensità in tutto ciò che fa sul campo.
La sua capacità di distribuire assist, catturare rimbalzi, recuperare palle vaganti e di difendere su qualsiasi tipo di giocatore, lo rendono un giocatore unico nel suo genere. Il suo carattere lo rende a volte un peso per i compagni (a inizio stagione si può essere certi di una cosa: il giocatore con più falli tecnici alla fine dell’anno, sarà proprio lui!), costretti a farsi in quattro per tenere sotto controllo le eruzioni vulcaniche del compagno; questa sua debolezza, tuttavia, è più che compensata dal milione di cose che questo giocatore sa fare in campo.
Da 3 anni di fila è un All-Star, ha vinto il premio come miglior difensore dell’anno nel 2017, ha portato a casa 3 titoli e, anche se non vincesse nient’altro, Draymond Green è un giocatore destinato a rimanere nella storia, per la sua eccezionale difesa e per la sua leadership unica all’interno di una delle squadre più forti nella storia del gioco.
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