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Cleveland Cavaliers

Cleveland Cavaliers Preview: prodi cavalieri senza Re

I Cavaliers sono alla prova del nove, costretti a dimostrare di essere competitivi anche senza James o rovinare su sé stessi

Prima di parlare di dove siamo rimasti con i Cleveland Cavaliers, permetteteci di riavvolgere il nastro fino a qui. Per comprendere soprattutto come ci siamo arrivati.

In questo istante, nell’unico possesso cruciale della travagliata stagione dei Cleveland Cavaliers che non sia passato dalle mani di LeBron James, lo scriteriato gesto di JR Smith smeriglia i 51 punti del Re in questa gara (migliore prestazione realizzativa in carriera nei Playoff), vanificando di fatto la possibilità di cogliere una vittoria in Finale e nella tana del lupo che, anche se difficilmente sarebbe valsa la vittoria dell’anello, almeno avrebbe coronato una post-season da pennello e tavolozza in mano per il Re. Non solo, il manifestarsi del lato oscuro di JR nel momento meno opportuno ha estinto probabilmente anche gli ultimi dubbi che vincolavano ancora mente e cuore di James ai Cavs per la free agency 2018. Insomma, questo gesto è stato il soffio di vento che ha fatto cadere la prima tessera di un domino, il cui mosaico finale, forse, è stato reso visibile a priori in questo istante, ma solo al signore dall’espressione corrucciata nel video di cui sopra.

I Warriors vincono. E non solo quella gara al supplementare, ma anche le successive tre e il titolo. I Cavs crollano 4-0 e in molti cominciano a paventare quella che si rivelerà una infausta realtà: che Re Giacomo presto non occuperà più la propria poltrona alla tavola rotonda nell’Ohio. Ancora una volta.

credits: The Ringer

Il 2 luglio il sogno californiano si prende LeBron James, che sposa il progetto a lungo termine dei Lakers, lasciando la sua Cleveland in una situazione non molto distante da quella della prima Decision del 2010, se non nella qualità dell’organico, quantomeno nello spirito. Certo questa volta un titolo almeno in bacheca c’è rimasto. E c’è ancora uno dei Big-3 che hanno contribuito a portare il Larry O’Brien Trophy dalle parti del lago Eire. Ma il magnete, quella calamita che era LeBron James, nel bene e nel male, primo, secondo, terzo e ultimo fautore delle sorti amarantogialle per gli anni trascorsi qui, oggi non c’è più. Oggi, e qui arriviamo dunque al dove siamo rimasti, c’è solo una prova di maturità lunga tutta una stagione, per un gruppo abituato fino a questo punto a vedersi togliere le castagne dal fuoco nei momenti di crisi, e tutti sappiamo bene quanti ce ne siano stati, da un solo e unico one-man-show.

A ottobre ha inizio insomma la sfida vera, quella loro, degli altri, che mostrerà alla NBA di che pasta sono fatti i furono Cavs di LeBron James. Tyronn Lue dovrà e potrà soprattutto essere amministratore unico della panchina e non per un governo fantoccio questa volta. Kevin Love sarà chiamato a tornare ad essere quello dei tempi di Minnesota, quel lungo da 20+10 garantiti ora che la società volente o nolente ha dimostrato di volerlo come pietra angolare di fiducia (alla faccia della fiducia: estensione di contratto da 120 milioni in 4 anni; fanno 30 milioni l’anno fino a quando Love non avrà spento 35 candeline). Collin Sexton difficilmente poi si rivelerà essere il Kyrie Irving che i Cavs pescarono invece al Draft dopo il primo addio di James, ma già da subito dovrà giocoforza imparare a ricoprire con la giusta autorità quella seggiola vacante in regia che al di là delle formalità apparteneva ancora a LeBron e che dopo l’addio di Irving non ha più avuto un valido vicario. Ma bando alle ciance e vediamo nel dettaglio cosa significherà quest’anno per i Cavs poter contare su di un roster di prodi cavalieri, ma senza più il proprio Re a guidarli.

Punti Forti e Punti Deboli

Morto un Papa, Re nella fattispecie, se ne fa un altro, direte voi. Non esattamente se si parla dei punti forti dei Cleveland Cavaliers, avvezzi a trovare il buono delle cose in tutto ciò che James faceva o toccava sul campo da pallacanestro; lo dimostra il fatto che Re Giacomo abbia chiuso la passata stagione regolare con il più alto PIE della lega (Player Impact Estimate, la percentuale di eventi di una squadra che un giocatore realizza): 19.1%. Per il 49.5%, attenzione quasi la metà, del totale degli assist dei Cavs (voce più alta in carriera al riguardo). Tradotto: alpha e omega della fase offensiva senza tanti giri di parole. Se poi a questo ci aggiungete anche il 31.7% del totale dei punti segnati e tutti quei piccoli grandi vantaggi che nei report non compaiono e che la sola sua presenza sul campo dava in termini di spacing e attenzioni difensive… bhé, capite che analizzare i punti di forza dei Cavs a prescindere da James diventa come prendere d’assalto Troia senza il cavalluccio di legno. In questa sede non andremo quindi avanti per postulati, ma per ipotesi. Avvalendoci dei dati di presente e passato, il tentativo sarà di definire quello che con maggiori probabilità sarà nel bene e nel male il nuovo profilo di questi Cavs. Spostiamo quindi la lente d’ingrandimento dal Re ai prodi cavalieri e vediamo cosa rimane di buono dal passaggio di consegne dopo il secondo addio di LeBron.

Le maggiori responsabilità offensive passano ora di mano, andando a gravare in gran parte sulle uniche spalle da All-Star avanzate ai Cavs: quelle di Kevin Love, già autore nella passata stagione del 27% dei punti totali di Cleveland. Attenzione però. Prima, parola che d’ora in avanti starà per ‘quando c’era LeBron’, Love segnava in seguito ad un assist il 78.1% dei tiri realizzati, equamente divisi nel 64.5% dei tiri da 2 punti e nell’addirittura 97.8% dei tiri da 3 punti. Ricordate il 49.5% del totale di assistenze Cavs da quali mani provenisse? Già…

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Ora Love sarà quindi chiamato a un’inversione di rotta, non potendo più sperare di trovare il fondo della rete dopo un passaggio smarcante in così tante occasioni, e tornare ai tempi Timberwolves, quando solo la metà dei suoi canestri da 2 punti erano figli di un assist e l’85% di quelli dalla lunga distanza. La potenza di fuoco da oltre l’arco per i Cavs tutto sommato dovrebbe, al di là della modalità con cui i tiri arriveranno, essere preservata dalla presenza dei vari Love, Smith e Korver, per ambire se non a mantenere quel 37.2% di precisione in regular season che è valso l’anno scorso il sesto posto alla franchigia in questa voce, quantomeno a non abbassare di molto il tiro.

Arriviamo ora a una delle chiavi di questi Cavs, il barometro la cui versione che si avrà in campo potrà pregiudicare molte delle vittorie o sconfitte della stagione. Stiamo parlando di Tristan Thompson. L’Iron Man che dal 2012 al 2016 aveva preso parte a tutte le gare disputate dalla sua squadra con un progressivo miglioramento se non in termini statistici assoluti, almeno per incisività sulle due metà campo, grazie soprattutto alla diabolica ascendenza a toccare, sporcare, reindirizzare e riappropriarsi di tutto ciò che dopo aver colpito ferro o tabellone andava preso in aria. L’ultima versione vista in campo del numero 13 amarantogiallo è stata invece l’ombra dell’epitome di solidità sinora rappresentata, con un forte calo statistico anche laddove Thompson ha sempre fatto la differenza per Cleveland. Vuoi perché reduce da un infortunio, vuoi perché in una squadra dal timing difensivo e comunicazione pessima come quella dei Cavs dell’anno scorso anche lui non poteva fare i miracoli o vuoi a causa del Kardashian’s Curse, per provare a rimanere competitivi anche senza James, Cleveland avrà disperatamente bisogno che il cavalier Tristano torni ad essere al livello di due anni fa e non il Thompson opaco da 6.6 rimbalzi e 5.8 punti di quest’anno, con un +/- ogni 100 possessi da -4.3 (non era in negativo da prima il ritorno di LeBron James).

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Dalla tecnica alla tattica, su questo piano forse i Cavs potranno ritrovare la nota più lieta che la partenza di James può aver lasciato, sempre che dover lasciare LeBron James possa avere dei lati positivi. La presenza accentratrice di LeBron costringeva Cleveland a un gioco di ritmi bassissimi (93.85 possessi di media a gara nei Playoff), con la tendenza a chiudere il 12.9% di questi in isolamento, per una produzione media di 0.96 punti a possesso. LeBron su tutti era quel terminale offensivo cercato insistentemente nella metà campo offensiva, arrivando a chiudere il 28.5% dei suoi possessi giocando la cosiddetta hero-ball, per un comunque ragguardevole bottino di 1.07 punti di media. Ora, una buona fetta di questo stile di gioco era dettata dal  semplice fatto che James era in campo e riuscisse in tal modo a produrre e creare a sufficienza per sé e per la squadra. La sua partenza in questo senso implica perciò due strade: o insistere con una tattica analoga e rimpiazzare la porzione di possessi di James con un aumento d’isolamenti in post alto/basso per Kevin Love (e capite da soli che non è proprio la stessa cosa), soluzione per altro già cercata e non poco anche con Re Giacomo fra i ranghi, o mettere da parte l’isolamento come soluzione offensiva prediletta e cercare di approcciarsi a un basket a più alto numero di giri, che punti a dilatare gli spazi sul rettangolo facendo spalmare la squadra, in modo così da poter trovare ancora quegli open shot in contropiede che spesso e volentieri su assist di LeBron sapevano far male agli avversari. Oppure insistere maggiormente sui giochi di alto/basso per innescare i tiri in uscita dai blocchi dei vari Korver, Smith, Clarkson e Green, mettendo in campo un impegno corale per supplire laddove il solo genio cestistico di James otteneva lo stesso risultato.

Insomma, Re o non Re, l’attacco se ben ricalibrato e adattato alla mancanza di James, può ancora rappresentare l’arma in più dei Cavs, squadra che come filosofia di fondo ha ormai assodato quella del segnare sempre un tiro in più piuttosto che uno in meno rispetto agli avversari. Così come per contraltare, il punto debole rimane la difesa, a maggior ragione adesso che manca LeBron, che per quanto alternasse momenti di eccellente copertura, in aiuto soprattutto, a giri a vuoto in single coverage era ed è un difensore di prim’ordine. Anche con James infatti i Cavs hanno chiuso la passata stagione con il penultimo Defensive Rating della Lega (109.5), peggio di loro solo i Suns, che non sono certo arrivati alla prima chiamata assoluta al Draft per l’abilità del loro GM…

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Cosa significa questo? Significa una difesa che difficilmente andava oltre la prima rotazione con efficacia. Un rientro in transizione tutt’altro che da finale NBA ed errori ingenui di comunicazione, quei palesi “lo prendi tu lo prendo io” che prima di arrivare a conclusione erano, ad andar bene, puniti con 2 punti dagli avversari. Senza LeBron, per diversi motivi il rischio è poi quello di andare ad incrinare ancora di più quei numeri impietosi riguardo ai punti concessi da palla persa (16.5 di media), proprio quelle occasioni in cui la chase-down di James tornava tanto utile limando di tanto in tanto i danni. Inoltre, con Thompson in fase di crisi identitaria, le preoccupazioni  vanno a gravare anche sui punti concessi in area dai Cavs, già 21esimi nella Lega in questa statistica, con 47 punti subiti a gara. Se poi già da Love verrà richiesto uno sforzo extra in attacco, non ci si può certo aspettare che migliori tutto d’un tratto anche dietro, dove rinomatamente ha da sempre fatto più fatica…

Se Cleveland vorrà perciò provare a rimanere nel lotto di squadre che ambiscono a un posto di rilievo nell’Est, anche senza chi dell’Est ha sempre avuto le chiavi in mano, dovrà fare presto i conti con la propria difesa. A maggior ragione adesso che anche in attacco nessuna cosa è più sicura.

Scenario migliore

All’interno di una Conference progressivamente impoverita di talento, con tutte le difficoltà del caso Cleveland non dovrebbe avere vita troppo dura per piazzarsi almeno ad un ottavo posto. Perciò, considerando che il tetto dell’Est al momento sembra zona riservata a Celtics, Sixers e Raptors (in questo ordine?), se i Cavs dovessero pescare il ritrovamento di un buon Thompson, il Love di Minnesota e, perché no, un Rodney Hood (papabile per il quintetto, ora che lo spot di small forward è vacante) capace di tornare sul rendimento della prima parte di stagione con Utah se non meglio, allora le possibilità di arrivare ai Playoff come sesta forza, in barba a una fra Washington e Indiana, ci sono tutte.

Scenario peggiore

La squadra soffre di sindrome da abbandono e le falle lasciate dall’addio di LeBron sono troppe da sopperire alla prima stagione. Mi spiego: Love non rende a sufficienza, Korver si mostra pensionabile anche dal tiro da 3 punti, prevale il lato oscuro in Smith e il Kardashian’s Curse colpisce ancora consegnando il miglior Thompson a ‘Chi l’ha visto?’. Ecco, al verificarsi anche solo di tre delle previsioni sopracitate il rischio per Cleveland è di affrontare un anno di rimpianti e sospiri riferiti a: quando c’era LeBron James… I Playoff in questo caso rimarrebbero un miraggio e, per un evidente superiorità di organico a priori, il destino sarebbe stare sopra alle sole Atlanta, Nets, Magic e Knicks (con Porzings assente).

Pronostico

Settimo o ottavo posto ad Est e fuori al primo turno, magari contro i Raptors, che finalmente riuscirebbero a esorcizzare la chimera Cavaliers in post-season…

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