La grande speranza italiana insegue il sogno NBA tra i cactus dell’Arizona e ha in testa un cestino di capelli rossi che già solletica la fantasia dei produttori di bobbleheads. C’è un fatto che non si può negare: allo stato attuale, ciò che di azzurro si avvicina di più a un futuro tra i professionisti americani ha la faccia pallida e lentigginosa di Nico Mannion.
Con Gallinari e Belinelli che hanno scollinato i trent’anni, il coetaneo Datome che ha preferito le sicurezze europee, un Melli titubante e già ventottenne, un Bargnani (sì, è esistito davvero) risucchiato dall’oblio, e in attesa di cosa vorrà fare David Okeke, una Nazionale che ha un disperato bisogno di prospetti di livello mondiale ha già messo le mani sulla stellina delle high school che nella prossima stagione vestirà la maglia dei Wildcats della University of Arizona. Il commitment di Mannion è stato reso pubblico il 14 settembre 2018.
Nico Mannion in uno scrimmage alla Pinnacle High School.
Niccolò “Nico” Mannion, madre italiana e padre americano, entrambi ex sportivi professionisti, ha diciassette anni e ha iniziato la sua terza stagione alla Pinnacle High School, rinomato liceo pubblico di Phoenix, lui che vive con la famiglia nella vicina Scottsdale. Nella stagione da sophomore ha tenuto una media di 24 punti, 5 rimbalzi e 6 assist. Il ranking di ESPN lo piazza all’undicesima posizione assoluta, secondo tra le point guard pure alle spalle del solo Cole Anthony, mentre su 247Sports la musica cambia poco: tredicesimo posto e addirittura prima point guard pura di tutti gli USA, dato che Anthony lì viene considerato una combo guard. Dettagli.
Il coraggio, il carattere e il senso di responsabilità non difettano in questo ragazzo nato a Siena nel 2001, alto 1,91 e pesante 82 chili – la sua crescita non è ancora terminata – che ha deciso, grazie ai risultati accademici, di optare per la cosiddetta riclassificazione: anticiperà di un anno l’uscita dal liceo, cioè alla fine del terzo rispetto ai canonici quattro delle high school statunitensi, e si diplomerà quindi nella primavera 2019, quando avrà comunque diciotto anni (l’età in cui negli States si termina la scuola superiore), avendo iniziato il liceo a quindici e non a quattordici. Altri dettagli. Perché quello che conta, quando si parla di Nico Mannion, è il traguardo finale dichiarato: giocare nella NBA.
Gli highlights di Nico Mannion nella stagione 2017-18, il suo anno da sophomore.
Il basket delle high school è quel mondo in cui i migliori prospetti ricevono fin dai primi giorni, o addirittura fin dalle scuole medie, attenzioni e copertura mediatica degni di un affermato professionista e giocano in palestre scolastiche che, di fatto, sono palazzetti dello sport che non sfigurerebbero nei massimi campionati d’Europa. Immaginate i “ragazzini delle giovanili” di un normale club italiano sostenuti da migliaia di tifosi, intervistati dalle tv e fotografati in pose da campioni. Ecco, un altro mondo. Dove però quelli che sono destinati alla gloria restano una minima percentuale, mentre tutti gli altri sono semplici studenti che si divertono con il basket per poi fare altro nella vita.
Di conseguenza, spesso e volentieri la maggior parte delle partite si trasforma in quasi noiosi one man show (o al massimo two o three) della stella di turno che si ritrova a schiacciare in testa ad avversari molto meno dotati di lui, sia tecnicamente sia fisicamente. In breve: pochi giganti contro tanti bambini. Per questo, le previsioni sui prospetti liceali vanno sempre prese con le molle e valutati in maniera più efficace e attendibile una volta usciti da lì e messi di fronte a giocatori NCAA o NBA.
L’esordio di Nico Mannion con la Nazionale italiana.
In quest’ottica, Nico Mannion, parallelamente alla sua carriera alla Pinnacle, ha potuto iniziare un’altra esperienza assolutamente importante: quella con la Nazionale maggiore azzurra. Coach Romeo Sacchetti ha convocato il roscio per le partite di qualificazione ai Mondiali 2019 e lo ha fatto esordire l’1 luglio 2018, diventando così – a 17 anni, 3 mesi e 17 giorni – il quarto debuttante più giovane di sempre dopo Vinicio Nesti, Sandro Riminucci e Dino Meneghin. La scelta di giocare con l’Italia è maturata in seguito al taglio da parte della Nazionale USA Under 17 per il mondiale di categoria, a cui ha fatto seguito l’ottimo europeo Under 16 in Montenegro in cui, tra l’altro, ha messo a segno 42 punti in 28 minuti contro la Russia.
La performance di Mannion contro la Russia a Euro U16.
I 9 punti nella partita persa con l’Olanda, in cui ha indossato la maglia numero 1, hanno già detto molte cose di lui, evidenziando i suoi tratti distintivi: il feeling con il campo e la disinvoltura con cui affronta il gioco, un bel tiro, la capacità di bruciare il difensore sul primo passo e di attaccare il ferro senza temere i contatti. Un aspetto, quest’ultimo, già visibile nel video che lo ha reso famoso per la prima volta, in cui Nico schiaccia di potenza durante un camp a Los Angeles, postato su Twitter dal giornalista di Mashable Sam Laird, ritwittato da Brandon Jennings e via via da molti altri influencer.
this end of this Vine is more surprising than an M. Night Shyamalan movie https://t.co/MO99NNZHS0
— Sam Laird (@samcmlaird) 3 ottobre 2016
L’atletismo di Mannion dovrà ovviamente crescere in proporzione al suo sviluppo fisico, ma già si attesta su livelli di tutto rispetto. Un rinforzo del proprio corpo lo agevolerà ulteriormente sia nella sua non indifferente capacità di ricavare dal palleggio un giusto spazio tra sé e il difensore, per poi batterlo in penetrazione oppure arrestarsi e tirare in ritmo, sia nella necessaria crescita in difesa, aspetto dove comunque denota già ottime intuizioni nelle linee di passaggio avversarie.
La visione di gioco, d’altronde, non gli manca: sa cambiare il ritmo palla in mano e decidere quando attaccare il canestro, oppure optare per il tiro da fuori. Tutte abilità fondamentali per una point guard contemporanea, che deve essere capace di fare più cose, a partire dalla produzione offensiva. In prospettiva a breve-medio termine, Mannion potrà essere un ottima guardia a livello universitario. In quanto a paragoni, è stato accostato a Goran Dragic.
Quello che però stupisce di Nico Mannion è l’aspetto mentale. È uno di quei giocatori che vogliono sempre fare la cosa giusta a seconda delle necessità, riconoscendo i momenti in cui bisogna coinvolgere tutti i compagni di squadra oppure caricarsi il gruppo sulle proprie spalle e pensare solo a segnare a raffica. Una predisposizione, questa, molto tipica dei futuri campioni, che alle qualità da teammate ben sottolineate anche dal suo allenatore Charlie Wilde – che lo definisce un pleaser, cioè uno “a posto”, uno che piace – unisce un sano killer instinct con cui non vuole risparmiare nulla a chi si trova a difendere su di lui. Nico Mannion si considera uno studente del gioco, carpisce segreti da tutti, ha una profonda capacità di apprendimento e già si comporta da professionista, abituandosi già ai riflettori puntati su di sé e alle interviste. Così il coach:
“Ha una grande etica del lavoro, si allena duro, è un ottimo compagno di squadra. È una meraviglia, perché quando un ragazzo diventa famoso alla sua età, non sempre si comporta così. Penso che i suoi genitori sappiano tenerlo con i piedi per terra e spingerlo a lavorare duro con il giusto atteggiamento”.
La genetica, in questo caso, ha un ruolo più che significativo: Nico è figlio di due atleti. Il padre è Pace Mannion, un comprimario NBA che a un certo punto ha preferito la carriera in Italia e in Europa, e proprio nel Bel Paese ha conosciuto Gaia Bianchi, ex pallavolista romana di quattordici anni più giovane, e l’ha sposata in seconde nozze. Se Nico da papà ha ereditato l’amore per il basket e la familiarità a stare sul parquet – parliamoci chiaro, quando il tuo genitore ti scarrozza fin da neonato ai suoi allenamenti e partite facendoti frequentare ambiente e giocatori professionisti, qualcosa vorrà dire, chiedere conferma a Kobe Bryant – alla mamma vanno fatte risalire l’elevazione e l’esplosività di gambe.
Da Pace e Gaia, Nico ha ricevuto una rigida educazione e lui sembra avere la giusta maturità per gestire una pressione che inevitabilmente aumenterà sempre di più sulle spalle di quello che comunque è ancora un adolescente tutto casa, sport e studio, che ama far colazione con i compagni di scuola parlando all’infinito di basket, ragazze, videogame e serie tv, come raccontato da Chris Ballard nello splendido long-form dedicatogli da Sports Illustrated dopo averlo seguito passo passo per un’intera giornata e averlo definito “basketball prodigy“.
Il padre racconta di non averlo mai spinto più di tanto a giocare a basket e che è stato sempre suo figlio a chiedere di venire in palestra. Tuttavia lo ha fortemente educato a essere prima di tutto una point guard, perché da quel ruolo diventa poi eventualmente più facile switchare a guardia vera e propria che viceversa, e quindi ad essere sempre aggressivo a canestro. La madre è oggi una personal trainer e un’insegnante di cucina, e anche questo aiuta.
Poi c’è la cabala: è nato il 14 marzo, come Steph Curry, è figlio di un cestista e di una pallavolista, come Steph Curry, probabile futuro uomo Under Armour, come Steph Curry. Anche se poi i modelli di Nico sono in realtà Steve Nash, Jason Kidd, Chris Paul, Kyrie Irving, John Wall, Russell Westbrook, oltre a Kobe, che Pace gli ha fatto incontrare una volta a nove anni, nel periodo in cui lavorava come analista televisivo per gli Utah Jazz, e di cui conserva la canotta autografata e incorniciata nella sua ordinatissima cameretta, accanto a quelle di Nash e di LeBron James. Un incontro rigorosamente in italiano, lingua che Nico parla perfettamente e con un accento romano, trovandosi giusto in leggera difficoltà nelle conversazioni troppo veloci o dialettali.
La scelta di Arizona nasce dalla possibilità di rimanere vicino casa – che per lui è Scottsdale, anche se è nato in Toscana e per un po’ è cresciuto in Sicilia, dove Pace ha concluso la carriera a Cefalù – e di sposare un programma di alto livello e in un contesto come la PAC-12 per il probabile one-and-done che dovrebbe lanciarlo tra i professionisti.
Nonostante dalle parti di Tucson, città in cui ha sede l’ateneo, le acque non siano esattamente chete – è una delle università finite sotto il mirino dell’FBI per reclutamento illecito di giocatori, un fattore che, ad esempio, ha portato alla rinuncia da parte di Jahvon Quinerly – il basket di coach Sean Miller, esperto nello sviluppo dei giocatori, è giocato in velocità e transizione e queste sono le caratteristiche fortemente cercate da Nico Mannion, che non voleva finire agli ordini di qualche allenatore con la fissa del ritmo controllato. Il rapporto con il coach e lo stile di gioco sono stati i primari criteri di scelta. Le alternative comunque non mancavano, su tutte Marquette, ma pure Villanova e Duke.
All’Under Armour Challenge 15 punti e 13 assist in 25 minuti.
La vita quotidiana di un prospetto top liceale – oltre al titolo statale 2018 con la Pinnacle High School, Nico Mannion è stato nominato 2018 Arizona Gatorade Player of the Year e 2017 Arizona Freshman of the Year – coincide con quella fase così intrigante e spensierata (almeno dal punto di vista degli adulti) in cui da un lato il tempo sembra dilatato e infinito e ogni giorno non sai mai quando arriva sera, dall’altro vola tra mille impegni. Perché negli Stati Uniti i ragazzi giocano continuamente, tutto l’anno: non solo il campionato in autunno-inverno, ma in camp, raduni, scrimmage, circuiti estivi come la AAU (a proposito, Nico fa parte della Earl Watson Elite di Ryan Silver), eccetera. Summer matters, l’estate conta: è soprattutto in queste occasioni che si viene osservati dagli scout delle università o persino della NBA.
Intanto, Ginger Ninja, il soprannome preferito da Nico Mannion, affibbiatogli dall’amico Trent Brown e che ha subito sostituito un inflazionato Red Mamba lasciato volentieri a Matt Bonner, prosegue nel suo percorso verso la NBA e, si spera, verso una gratificante carriera con la maglia azzurra dell’Italia. Per quanto ha dimostrato finora, ce la può fare, e presto il basket americano e internazionale potrebbe avere una star dai capelli rossi, nata in Italia e pienamente a suo agio al di qua e al di là dell’oceano. Con fiducia e lavoro duro, perché quelli ci vogliono sempre, come gli ricorda sempre papà Pace, che lo accompagna fedelmente ovunque:
“I tuoi capelli ti daranno solo cinque minuti: cinque minuti per avvantaggiarti sui pregiudizi degli avversari”.
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Throwback
Jimmy Butler, just a kid from Tomball. Un ragazzo non famoso a livello di high school. Nonostante una media di 19,7 punti e 8,7 rimbalzi nel suo anno da senior e una certa propensione a dominare le partite, il suo nome stenta a riecheggiare oltre la sua Tomball, Texas. Un anonimo sobborgo di Houston, a 45 minuti in direzione nord-ovest da downtown, un tragitto che, laddove non ci sono pascoli aperti, è disseminato di raffinerie e centri commerciali.
Butler, che cresce nel mito di Tracy McGrady, conosce ogni anfratto di Tomball. Dai tredici ai diciassette anni, il futuro All-Star è un giovanissimo homeless. Senza un padre, cacciato di casa dalla madre perché, stando a quanto viene tramandato, non sopporta più la sua faccia. Così Jimmy trascorre le sue giornate tra scuola, palestra, playground e la strada, dormendo di divano in divano quelle volte che riesce a farsi ospitare per la notte da qualche amico, oppure finendo nei ricoveri per senzatetto.
Una situazione non così inusuale per un adolescente povero e afroamericano negli Stati Uniti, con la conseguenza, per Jimmy, di fortificare il suo carattere: prende coscienza della sua condizione e si mette a lavorare duro ogni giorno per uscire dai bassifondi e arrivare al top. La sua salvezza è il basket. Finalmente, l’adozione in una nuova famiglia, quella del suo amico Jordan Leslie, e le buone annate alla Tomball High School rappresentano l’inizio del percorso verso il lieto fine.
High School Stuff
Terry Armstrong, con Nico ad Arizona
Ad Arizona, Nico Mannion non sarà solo. Nel senso che comporrà un effervescente back court con Terry Armstrong, secondo prospetto liceale dello stato nonché numero 57 nel ranking nazionale di 247Sports e quinto tra le shooting guard. Armstrong, originario di Flint nel Michigan, città difficile ma da sempre capace di sfornare molti talenti nel basket, si è trasferito due anni fa alla Bella Vista Prep di Scottsdale, per ultimare una carriera liceale iniziata alla Carman-Ainsworth High School nella sua città natale. In maglia Bella Vista, ha già incontrato da avversario la Pinnacle di Mannion. Atletismo, elevazione, schiacciate spettacolari, rapidità e ottimo tiro da tre fanno parte dell’interessante bagaglio di Terry Armstrong, un realizzatore che, grazie alla taglia fisica (sfiora i due metri) può essere utile anche nella posizione di ala piccola. Da seguire.
Ball Brothers, ritorno a casa
Nuova tappa per il tour dei Ball Brothers: dopo l’esperienza in Lituania nelle fila del Vytautas Prienai e le apparizioni nella JBA di papà LaVar, i fratelli minori di Lonzo tornano a pieno titolo in patria per proseguire la loro ascesa verso il firmamento del basket. Mentre LiAngelo si giocherà le sue carte in G League, con preferenza per i South Bay Lakers (ma no…), il più giovane LaMelo, nato nel 2001, ruolo point o shooting guard, ha iniziato a spendere l’ultimo anno di high school allo Spire Institute, rinomata prep school di Geneva, Ohio. Per lui 20 punti e 13 assist nella gara d’esordio. Secondo LaVar, è tempo per LaMelo, rinforzato dal periodo in Europa, di far vedere agli scout la sua superiorità rispetto ai coetanei americani in vista del Draft 2020, quando, se il suo percorso non subirà scossoni, sarà eleggibile per raggiungere il fratellone (o i fratelloni) tra i professionisti.
Il tiro da tre regna anche nelle high school
Anche nella pallacanestro di high school, ormai, il tiro da tre punti la fa da padrone insieme al pace-and-space. Un effetto a cascata che dalla NBA si è riversato prima sul college basketball, che un tempo era il regno del gioco controllato, e adesso dilagante anche a livello liceale, con progressiva scomparsa o forte riduzione dei centri specialisti nel gioco in post basso e spalle a canestro. Secondo Chad Lindskog dell’Evansville Courier & Press di Evansville, Indiana, uno come Steph Curry è molto più facile da emulare rispetto al supremo atletismo di Michael Jordan, idolo della generazione precedente, e così è diventato ispirazione per tanti ragazzi “bassi” per sfidare i propri limiti fisici e allenarsi al tiro in modo sempre più efficace. Da ricordare che la linea del tiro da tre, introdotta nell’high school basketball a partire dalla stagione 1987-88, è posizionata a 6,02 metri da canestro.
The Gym
Emsley A. Laney High School
Michael Jordan Gymnasium
Wilmington, North Carolina
Home of the Buccaneers
Notable alumni: Michael Jordan, Harvest Smith, Tamera Young (WNBA)