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Chicago Bulls

5 retroscena sui Chicago Bulls del primo three-peat

Ecco a voi 5 racconti riguardanti i primi Chicago Bulls targati Phil Jackson, non numeri, non statistiche ma retroscena che ci descrivono alla perfezione quella fantastica squadra e la loro magia immortale.

L’ESTASI PER COACH WINTER

Jackson e Winter

A gara 6 delle finali NBA 1993, John Paxson mise il tiro della vittoria a Phoenix, una tripla tecnicamente impeccabile scagliata a meno di un minuto dalla fine.

Ora ipotizziamo di poter schiacciare il tasto rewind dell’azione, MJ supera la metà campo, si forma il triangolo ed esegue un rapido scambio con Pippen, Jordan decide di provare ad attaccare ma la difesa dei Suns istintivamente collassa su di lui, allora Michael la ridà a Scottie il quale scorgendo una linea di penetrazione decide di percorrerla, si crea il primo tiro possibile ma Pip non è convinto ed esegue uno scarico sulla linea di fondo a Grant per un jump dalla media, Horace vede Ainge precipitarsi su di lui e pensa che Paxson abbia un tiro più comodo essendosi staccato Ainge, gliela passa, il resto è storia…

In quella singola azione sono riassunti la maggior parte dei concetti alla base della direzione tecnica Jackson-Winter: le star che possono essere considerate tali solamente se migliorano anche la squadra nel complessivo (e si fidano della squadra), le letture obbligatorie che implica avere un sistema di gioco offensivo dinamico come l’attacco triangolo, la ricerca del tiro migliore da prendere, l’altruismo fra compagni, in poche parole “play the right way”.

Come Red Holzman aveva insegnato a Jackson ai Knicks decenni prima, finalmente Phil e Tex avevano compreso di essere riusciti a trasmettere i medesimi concetti base della pallacanestro, che si distaccano dalle statistiche o da giocate atletiche incredibili, ai Chicago Bulls dell’epoca.

Quell’azione, la più importante e delicata di tutta la stagione, rappresentava la prova del nove, un commovente premio in movimento per il duro lavoro svolto da Tex Winter in ogni allenamento in cui cercava di perfezionare ogni singolo esercizio, ogni singolo accorgimento e interpretazione dei giocatori, ma soprattutto di sviluppare quell’intelligenza collettiva che consente ad un team di muoversi all’unisono ritmati da un unico respiro comune.

Come affermò Jackson “Quel giorno mi commossi, capii che i miei Bulls erano passati dalla fase 3 ( io sono grande e tu no!) alla fase 4 (Noi siamo grandi e voi no)”.

Pensiamo che anche al compianto Tex sia scesa una lacrimuccia vedendo applicato il suo gioco al massimo potenziale.

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