COME TI HO FATTO TI DISTRUGGO!!!
Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna; volendo traslare il celeberrimo proverbio latino al mondo della palla a spicchi, potremmo affermare che dietro ogni grande squadra c’è sempre un grande general menager.
Questa regola non scritta, nella storia si è dimostrata valida e comprovata innumerevoli volte, ed ovviamente non fanno eccezione ad essa neanche i Chicago Bulls degli anni 90: gli “unstoppabulls”.
Le poltrone più ingombranti della franchigia dell’Illinois in quegli anni erano occupate dai due Jerry: Reinsdorf il proprietario, e Krause il GM; all’ultimo dei due, dobbiamo gran parte del merito per la creazione delle due super squadre che hanno avuto come denominatori comuni Michael Jordan e Scottie Pippen, oltre che ovviamente la direzione tecnica nella figura di Phill Jackson.
Essere un bravo GM tuttavia non vuol dire essere automaticamente un grande amico dei giocatori e degli allenatori, anzi spesso a questi addetti ai lavori tocca prendere decisioni drastiche e impopolari, che possono causare sconcerto e malumori all’interno dello spogliatoio, soprattutto se tali provvedimenti sono poco condivisi e presi in modo solitario e totalitario.
Proprio a quest’ultima categoria di decisioni possiamo classificare l’intenzione di Krause di smantellare i suoi tanto vincenti ed amati Chicago Bulls.
Alla fine della stagione 1996-1997, i Bulls sollevarono il loro quinto titolo al cielo, ma mentre tutti festeggiavano e fumavano il sigaro della vittoria, un uomo di bassa statura e dalla corporatura tarchiata, dietro gli spessi occhiali da vista stava meditando ai bordi del palco su quale binari il percorso di quella squadra si sarebbe dovuto svolgere, quell’uomo ovviamente era Krause.
Il GM trovava la sua creazione ormai vecchia e strapagata: i senatori (MJ, PiP, Harper e Dennis) avevano superato già tutti i trent’anni di età, ed il monte ingaggi della rosa era diventato il più alto della storia dell’intera NBA fino ad allora.
Krause quindi non vedeva un futuro roseo delinearsi all’orizzonte per Jordan e soci.
Il primo segno tangibile delle intenzioni del GM risale già ad anni primi, nel 1994 per volere di Krause giunge a Chicago il croato Tony Kukoc.
Se per Krause Kukoc rappresentava il futuro, per i giocatori significava un ingaggio in più che si aggiungeva agli altri, precludendo di fatto la possibilità ai membri dei Bulls di poter ottenere futuri adeguamenti contrattuali per non sfidare quella imponente spada di Democle rappresentata dal salary cap.
Il malumore ciò nonostante andò a scemare grazie al talento e alla bravura messa in campo dal ragno di Spalato, la crisi fu però solo rinviata proprio sul finire di quei playoff del 1997 (anno fatidico perché coincidente con la scadenza contrattuale di molti uomini chiave) e si ripropose sotto la forma del rinnovo di contratto di Coach Jackson.
La trattativa per estendere la collaborazione di Coach Zen si era arenata: troppa la differenza per l’ingaggio tra le parti, Jackson voleva una retribuzione in linea con i top coach della lega (ad esempio Pat Riley), mentre Krause, non riconoscendo a Jackson tutti i meriti che in realtà aveva, pensava che la richiesta avanzata fosse esagerata, in extremis ci mise una pezza Reinsdorf che convinse Phil a restare per un anno ancora.
Accordi annuali vennero presi a malincuore da Krause anche per Jordan (33 milioni) e Rodman che avrebbero continuato a giocare in casacca rossa anche per la stagione 1997-1998.
Il grosso scoglio da aggirare era tuttavia rappresentato da Scottie Pippen, il contratto di Pip sarebbe scaduto alla fine della stagione 97-98 (quindi la sua presenza non veniva messa in dubbio), il patto però prevedeva una retribuzioni annuale che ai tempi in cui venne stipulato sembrava soddisfacente, ma ora la stessa cifra pareva essere irrisoria (Pippen non rientrava nei 50 giocatori meglio pagati della lega).
Ovviamente Pippen sarebbe andato al rialzo per il rinnovo, ma Krause non aveva né la possibilità né la voglia per accettare le condizioni del 33.
Ormai sembrava chiaro a tutti: quella sarebbe stata l’ultima stagione dei Chicago Bulls come li avevamo conosciuti fino ad allora.
A rendere il clima pesante contribuì decisamente anche l’indelicata gestione della vicenda da parte di Krause con i giornalisti, il GM era sempre in prima linea per prendersi i meriti delle vittorie e sempre pronto a puntare il dito se qualcosa andava storto, il culmine della cosa fu una sua sparata che allegoricamente possiamo paragonare al candelotto di dinamite che esplode in faccia a Willy il Coyote.
Krause affermò “Non sono né i giocatori, né gli allenatori a vincere i titoli, è la società che li vince!“, se il rapporto con la squadra era già crepato, dopo ciò rimasero solo le macerie.
A onor del vero, per completezza narrativa, dobbiamo mettervi al corrente (se non lo avevate già capito) che la persona di Jerry Krause non andò mai particolarmente simpatica alla maggior parte dei componenti dei Chicago Bulls sia durante il primo three-peat, sia durante il secondo.
Jerry non veniva apprezzato per le sue doti strategiche e veniva mal visto per il suo agire silenzioso alle spalle dei giocatori, oltre che per la sua tendenza a mostrarsi molto con la squadra, quasi a voler platealmente affermare di far parte di loro davanti alle telecamere.
La cosa ovviamente non trovava l’approvazione di Michael, il quale non ci andò mai leggero con Jerry: si racconta che spesso lo tirasse in giro per la sua corporatura, e che gli avesse affibbiato il soprannome poco lusinghiero di “Crumbs” per il modo poco fine con la quale Krause mangiava.
Ad ulteriore conferma del rapporto ormai spezzato con la squadra, durante il trainig camp 97-98, Krause convocò Jackson e gli disse chiaramente che se anche avesse fatto 82 vittorie in stagione, alla fine se ne sarebbe dovuto andare.
Le cose andarono peggio a Scottie che iniziò a essere trattato come una proprietà della dirigenza, gli veniva vietato di partecipare a eventi benefici o di esporsi troppo ai media, la cosa non piacque neanche un po’ a The Afroman che per ripicca posticipò il suo intervento alla caviglia a ridosso dell’inizio della stagione.
Si arrivò ad un punto di tensione così alto durante l’annata che Pippen chiese ufficialmente di essere ceduto più volte, solo gli interventi provvidenziali di Jackson e Jordan evitarono il verificarsi di questa eventualità.
Pippen ovviamente se ne sarebbe andato a stagione conclusa, Jackson anche, e per diretta conseguenza pure Jordan…portandosi via tutta la gloria e lo spirito vincente di Chiacago.
Jackson ribattezzò quella stagione “The last dance”, parole più azzeccate non avrebbe potuto scegliere.
Commento