27-26-25
27 • PHOENIX SUNS Voto: 4,6
La prima estate da General Manager della carriera dirigenziale di James Jones si sta chiudendo con un enorme punto interrogativo.
La stagione 2018-19, dopo aver scelto alla numero #1 del draft 2018 con DeAndre Ayton, doveva essere quella in cui Phoenix sarebbe tornata rilevante dal punto di vista tecnico in NBA, senza l’obbligo di raggiungere la postseason ma dimostrando di aver creato una base tecnica che potesse finalmente dare una piattaforma di rilievo a Devin Booker, uno dei talenti più cristallini e meglio espressi degli ultimi 4-5 anni.
In questo senso sembrava importante anche la scelta di Igor Kokoskov come head coach, primo europeo della storia a ottenere questo ruolo in NBA, la cui esperienza in Arizona è però durata un solo anno.
I Suns hanno presto capito che anche nel 2018-19 i risultati sul campo non sarebbero arrivati, Ayton ha incontrato più difficoltà del previsto durante l’impatto con la lega – sopratutto a livello difensivo – ed esperimenti come la firma annuale di Trevor Ariza per aumentare l’esperienza dello spogliatoio sono naufragati a regular season ancora in corso.
All’ultimo draft Phoenix si presentava con la scelta numero #6, scambiata durante la notte stessa ai Minnesota Timberwolves in cambio della #11 e Dario Saric, scelta non prevista ma ampiamente plausibile; il fatto è che poi, alla #11, Phoenix ha deciso di puntare su Cameron Johnson da North Carolina, giocatore sicuramente futuribile, tiratore strepitoso da 3 punti, ma…classe 1996, di Marzo per la precisione, ossia più vecchio di Devin Booker, che è però in procinto di cominciare la sua quinta stagione NBA.
Sempre in quei giorni i Suns avevano liberato spazio salariale spedendo TJ Warren e i 36 milioni in 3 anni ancora previsti dal suo contratto agli Indiana Pacers in cambio di cash considerations, altra mossa più che comprensibile. Lo spazio liberato da Warren è stato poi utilizzato per Ricky Rubio, che ha firmato un triennale da 51 milioni di dollari andando finalmente a occupare lo spot di Point Guard di cui i Suns erano alla ricerca disperata da circa un anno, e Aron Baynes, free agent dopo l’esperienza a Boston e che ha firmato un annuale da poco più di 5 milioni.
Se la scelta di Rubio, con i suoi pro e contro visto che parliamo di una point guard di livello ed esperienza, ma ormai dopo 8 anni di NBA senza il minimo margine di crescita, resta comunque comprensibile, vista la necessità di affidare a Booker un playmaker vero e proprio che non richiedesse allo stesso tempo troppa ball dominance, lo stesso forse non si può dire dell’arrivo di Baynes: il centro australiano è uno specialista difensivo, aspetto nel quale Phoenix, come già detto, aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile. Se però il ruolo in cui ottenere questo aiuto non dovesse essere quello in cui in quintetto c’è già la prima scelta dello scorso draft?
Ayton ha bisogno di crescere molto dal punto di vista difensivo, ma durante le ultime settimane della regular season 2018-19 si erano cominciati a vedere timidi miglioramenti. Segnali potevano far ben sperare, sopratutto per un centro di 20 anni con capacità offensive fuori dalla norma e che durante la prima stagione NBA ha comunque messo insieme cifre importantissime.
Poi, come ultima operazione importante dell’estate, è arrivato il rinnovo di Kelly Oubre Jr, che dopo una positiva stagione 2018-19 ha esteso la propria permanenza in Arizona per 2 anni a 30 milioni complessivi.
Anche questa scelta lascia a desiderare, perché se è vero che Oubre si è messo in mostra e ha dimostrato di essere un giocatore più che futuribile, la durata del suo contratto lo rimetterà sul mercato con ogni probabilità prima che Phoenix sia diventata realmente competitiva, e quindi riluttante al pensiero di dover pagare ancora di più per trattenerlo nel 2021, quando sarà nuovamente free agent.
Una nota certamente positiva è quella del rimpiazzo di Kokoskov come head coach, ossia Monty Williams, a lungo inseguito anche dai Los Angeles Lakers prima della firma di Vogel e Kidd.
Williams è un allenatore di grande esperienza e con un’idea di basket solida e ben definita. In una Western Conference che ha vissuto la più grande corsa agli armamenti della storia recente della lega, però, almeno a livello di risultati sarà difficile risollvare i destini di Phoenix nel breve-medio termine.
Volendo concedere il beneficio del dubbio all’operato estivo – anche perché esprimere giudizi definitivi tra luglio e agosto è la strada più facile per fare figuracce – James Jones e i Phoenix Suns sono momentaneamente rimandati a settembre (o meglio, ottobre).
26 • WASHINGTON WIZARDS Voto: 4,8
Questa finestra di mercato per gli Wizards doveva essere cruciale per ripartire e colmare il vuoto lasciato dal brutto infortunio di John Wall. Possiamo tranquillamente dire che la dirigenza capitolina non ha portato a termine la missione. O meglio, lo ha fatto in maniera insufficiente.
Il giocatore più forte della squadra sarà rimpiazzato da Ish Smith; sicuramente una point guard di buona esperienza, che si appresta a giocare la sua decima stagione nella lega, ma forse non il colpo più adatto per sostituire uno del calibro di Wall per svariati motivi tra cui l’età (31 anni, due in più del prodotto dei Kentucky Wildcats) e la scarsa abitudine a essere la PG di riferimento di una franchigia. Sono, infatti, zero le partite da titolare nell’ultima stagione con i Pistons su un totale di 56. Tutto sommato, però, la franchigia crede fortemente nella mossa, come dimostrato dalla soddisfazione del nuovo general manager Tommy Sheppard nel momento della chiusura dell’affare.
Il secondo —e ultimo — giocatore pescato dalla free agency è Isaiah Thomas, che ha firmato un contratto al minimo salariale. Il Thomas delle ultime due annate non sembra neanche un parente lontano di colui che, nonostante il metro e 75 di altezza, arrivò a toccare il cielo con un dito nel corso delle tre stagioni a Boston. La stessa Boston che gli ha permesso di diventare 2 volte All Star, di arrivare secondo nelle votazioni per premio di Sixth Man of the Year e che, infine, lo ha trasformato in merce di scambio per ottenere Kyrie Irving. La delusione per essere stato scaricato dalla franchigia che amava, la scomparsa della sorella Chyna e i numerosi infortuni sono gli elementi del mix che lo hanno reso un vero e proprio fantasma. Thomas cerca riscatto e, nonostante il grave infortunio all’anca che lo ha costretto allo stop per quasi un anno solare intero, gli Wizards hanno deciso di concedergli una possibilità.
Se di fantasmi si parla, è bene citare anche Dwight Howard. Il centro ha giocato solamente 9 partite in tutta la precedente stagione, a causa di problema ai glutei che lo ha obbligato ad andare sotto i ferri. Washington lo ha francobollato e spedito a Memphis in cambio di CJ Miles, non esattamente un giovanotto, dati i suoi 32 anni di età. Un’altra trade in uscita, in cambio di scelte nei futuri Draft, è quella che ha coinvolto il playmaker ceco Tomáš Satoranský: l’ex Barcellona continuerà la sua avventura in NBA ai Chicago Bulls, forte di un accordo triennale piuttosto remunerativo che metterà nel suo conto in banca 30 milioni di dollari complessivi. Inoltre, la franchigia capitolina ha scelto di fungere da sponda perfetta per completare la trade che ha portato Anthony Davis ai Lakers, scommettendo su tre ragazzi in uscita dai gialloviola, oltre che su delle future scelte: Moritz Wagner, Isaac Bonga e Jemerrio Jones, tre che magari potranno essere testati in una stagione interlocutoria come questa. Infine, per un Bobby Portis che fa le valigie direzione New York Knicks, c’è un Garrison Mathews che entra. Il classe ’96, non selezionato al Draft, ha firmato un two-way contract e dividerà il suo tempo tra l’NBA e la NBA G League. Non una mossa apprezzabile se si considera che Portis, assieme a Jabari Parker, era stato la contropartita presa da Washington in cambio di Otto Porter Jr.: gli Wizards si ritrovano, a pochi mesi dalla trade, a non aver guadagnato niente da quello che era il terzo miglior asset a roster.
Nel marasma dei movimenti in entrata e in uscita, c’è tempo anche per le riconferme. La prima è stata quella di Thomas Bryant, uno dei più positivi nella scorsa stagione: il centro ha detto “sì” ad un contratto triennale per un totale di 25 milioni di dollari. La seconda conferma, su cui il front office sta ancora lavorando, potrebbe essere quella di Bradley Beal: gli Wizards sono pronti a fare follie per trattenere la loro guardia, e stanno ragionando su un’eventuale estensione triennale al massimo salariale, cioè 111 milioni di dollari.
Per una squadra che ha concluso con 32 vittorie e 50 sconfitte e, che non avrà a disposizione John Wall per tutta la prima parte di stagione, non si può certo parlare di un mercato esaltante. Senza nomi di grande rilevanza, la sensazione è che Washington dovrà fare i conti con un’altra stagione nei bassifondi della Eastern Conference.
25 • ORLANDO MAGIC Voto: 5,1
di Lorenzo Milella
La priorità per la dirigenza dei Magic era quella di cercare di mantenere il gruppo che la scorsa stagione aveva sorpreso tutti conquistando il settimo posto nella griglia Playoff della Western Conference e l’obiettivo può dirsi raggiunto.
Il giocatore di punta, Nikola Vucevic, ha firmato un contratto quadriennale da 100 milioni di dollari. Il montenegrino è reduce da un contract year estremamente positivo —20,8 punti, 12,0 rimbalzi, 3,8 assist— culminato con la convocazione all’All-Star Game e le difficoltà incontrate al debutto Playoff non sembrano destare troppe preoccupazioni.
I Magic si sono assicurati nuovamente anche le prestazioni di Terrence Ross, a cui è stato offerto un contratto di quattro anni del valore di $ 54 milioni. Ross è stato uno dei giocatori chiave della cavalcata che ha portato Orlando alla postseason ed è diventato il dententore di un record piuttosto particolare: primo giocatore nella storia NBA a segnare 200 canestri da 3 punti senza iniziare mai una partita in quintetto durante tutta la stagione. La conferma di Michael Carter-Williams (contratto annuale) va a rimpolpare una delle posizioni più carenti dei Magic, quella di point-guard, dove si sente la mancanza di un giocatore che possa far fare il salto di qualità alla squadra. Le speranze dei tifosi e del front office sono in gran parte riposte in Markelle Fultz, chiamato alla stagione della verità. Il ventunenne ex Sixers ha un molto potenziale, ma le domande e le preoccupazioni relative alle sue condizioni fisiche e mentali sono ormai troppo frequenti. La scelta numero 1 del draft 2017 avrà, a ogni modoz tutte le possibilità di guadagnarsi un posto nella rotazione dei Magic. In attesa della sua definitiva esplosione, la point guard titolare sarà quindi ancora una volta D.J. Augustin, che ha appena mandato in archivo la sua undicesima stagione nella NBA. Nonostante i suoi numeri non siano così appariscenti come quelli dei suoi pari ruolo, Augustin porta stabilità (81 partite iniziate e giocate in questa stagione) e un tiro affidabile (47% dal campo, 42% da oltre l’arco, 87% da la linea di tiro libero).
Gli unici due volti nuovi dei Magic saranno il rookie Chuma Okeke, fuori per tutta la rookie season, e il veterano Al-Farouq Aminu. L’ex Portland ha firmato un contratto triennale da 29 milioni di dollari e avrà il compito di fare da mentore ai tanti giovani di Orlando che sono chiamati a fare il definitivo salto di qualità. Okeke invece viene da una grande stagione giocata a Auburn, ma la lesione al legamento del ginocchio che si è procurato durante le Sweet Sixteen lo costringerà a saltare tutta la preseason e questo potrebbe complicare ulteriormente il suo primo anno in NBA. Da segnalare anche la permanenza di Khem Birch, legata a doppio filo alla stretch provision applicata al contratto di Mozgov (poi tagliato). Resta infine da chiarire la posizione di Jerian Grant, a oggi ancora free agent.
Insomma, Orlando si è ritrovata a effettuare tante operazioni onerose per confermare e leggermente migliorare un’ossatura che, con ogni probabilità, potrà al massimo portarli a competere per il sesto posto in una tutt’altro che irresistibile Eastern Conference: una scelta che rischia di ingolfare il loro spazio di manovra futuro vanificando o rendendo estremamente dispendiosa ogni scommessa a basso costo da loro effettuata fin qui.
Un compitino eseguito con diligenza ma che di certo non permette loro di raggiungere la sufficienza, lasciandoli a galleggiare nel limbo della mediocrità NBA, la peggior situazione in assoluto per una franchigia.
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