Charlotte Hornets
Può esistere una franchigia NBA che, come prima opzione offensiva, è costretta a scegliere Nicolas Batum? Non ce ne voglia il francese, che comunque rimane un terrificante agonista con ancora svariate frecce in faretra, però, la situazione degli Hornets a ottobre è un po’ questa. Via Kemba, via Lamb, dentro Rozier e P.J. Washington (12esima scelta al draft), l’era del rebuilding in South Carolina è ufficialmente iniziata. La prima stagione di James Borrego sulla panchina dei Calabroni è stata molto interlocutoria, ha fatto emergere tutti i limiti di una squadra che, con questo core, non va da nessuna parte, e ha evidenziato la non sagacia in alcune scelte dirigenziali, come ad esempio i contratti di Byombo, Marvin Williams, lo stesso Batum. Acqua sotto i ponti, questo è l’ultimo anno per tutti (eccetto per il solito Batum, con un player option che chiama per $27 milioni!), dal prossimo si fa tabula rasa, tanto vale iniziare a mettere le basi per capire cosa si ha davvero in mano.
Lo scorso anno le note positive si fermano, probabilmente, alla crescita di due rincalzi come Cody Zeller e Dwayne Bacon, capaci di guadagnarsi credibilità all’interno della franchigia, ma non certo profili sui quali ricostruire.
C’è da dire che Borrego ha provato ha inserire dei concetti della sua pallacanestro, con la palla che deve muoversi veloce, i cinque sul parquet che devono sapere fare tutto, i tiri da tre che devono piovere (lo scorso anno Charlotte ha chiuso decima per triple tentate, l’ultima stagione con Clifford erano ventunesimi). Quest’anno si potranno aggiungere ancora dei pezzettini, ma molto dipenderà anche dalle risposte che l’ex assistente di Popovich otterrà dai suoi giocatori.
Terry Rozier è l’incognita principale. I playoff di due anni fa lo avevano visto salire in cattedra e prendersi la scena, è bastata un’altra stagione per capire che il ragazzo ha sicuramente talento, ma le vette della lega sono lontane anni luce. Un giocatore del genere non può tirare con il 38% dal campo, così come non può essere così limitato nelle letture palla in mano e nell’esecuzione delle scelte. Finisce al ferro, ci mancherebbe, ma è troppo poco per essere il go-tu-guy di una squadra, anche di una squadra che punta a vincere meno partite possibile.
Capitolo giovani. Per Monk e Bridges siamo già all’ultimo appello, più per il primo che per il secondo, ma insomma, le recenti scelte al draft non sembrano essere state le più illuminate, anche alla luce della presa di Washington, sicuramente più pronto di molti suoi colleghi, ma le speranze che possa diventare un 4 da far perdere la testa sono molto poche. Ha buoni istinti a rimbalzo, sta lavorando sul suo range di tiro, ha un gioco in post che ha convinto molti scout, qui si individuavano delle similitudini con Paul Millsap, ma per raggiungere quel livello di gioco il ragazzo dovrà crescere tantissimo, in particolar modo nella qualità delle sue letture difensive e nell’acume tattico, essendo anche piuttosto sottodimensionato per il ruolo.
L’offseason condotta da Mitch Kupchack non è stata delle migliori; se da un lato ha finalmente premuto il bottone rosso, salutando Walker a malincuore, dall’altro ci saremmo aspettati una maggiore attività alla ricerca di pick da scambiare con giocatori che hanno ormai poco da dire nella realtà degli Hornets. La speranza per Kupchack è quella che giocatori come Byombo, Williams, Batum, Kidd-Gilchrist (che sembrerebbe aver trovato la sua comfort zone con Borrego, ma che come role player potrebbe far più comodo ad altri) possano mettere insieme dei buoni numeri durante la stagione, per trovare squadre interessate a mettere sul piatto qualcosa per propiziare la ricostruzione degli Hornets, destinati a una stagione con tante sconfitte.