Diamo l’addio al 2019 rivivendo i migliori momenti dell’anno NBA. Dal trionfo di Toronto alla trasformazione di Golden State; passando per il derby di Los Angeles, generazioni di nuovi fenomeni, addii strappa-lacrime, Mondiale cinese e controversie diplomatiche. Buon Anno a tutti!
Le notizie arrivano e se ne vanno velocemente, molto velocemente, in un universo in continuo movimento ed evoluzione come quello della NBA. È facile quindi che ora, all’alba del 2020, ci si sia già scordati di quanto accaduto durante i primi giorni di ottobre, quando da un innocente tweet è scoppiato uno scandalo internazionale.
Per fare mente locale, torniamo allo scorso marzo, quando a Hong Kong hanno cominciato a infuriare proteste da parte della stragrande maggioranza della popolazione, in risposta alla possibilità paventata dalla Cina di legalizzare l’estradizione di qualsiasi prigioniero in favore della Cina stessa, e allentare quindi ulteriormente i freni posti alla possibilità della polizia durante indagini/interrogatori.
(Credits to Samson Huang)
Le proteste sono andate avanti per mesi, facendo vittime tra i civili e diventando materia di discussione internazionale. Si è arrivati così fino allo scorso ottobre quando Daryl Morey, General Manager degli Houston Rockets, con le migliori intenzioni ha pubblicato – e poi velocemente cancellato – un tweet in favore dei protestanti, con un’immagine che recitava “Fight for freedom, stand with Hong Kong”.
Per quanto nel periodo di massima libertà di espressione che l’umanità abbia conosciuto, e per quanto il tweet di Morey fosse pro-democrazia, e quindi in linea con i dettami della cultura occidentale a cui lui, gli Houston Rockets e la stessa NBA appartengono, le ripercussioni del tweet sono state macroscopiche. Dissenso sparso da praticamente ogni persona cinese che parlasse inglese e si fosse imbattuta nel tweet, e immediata reazione da parte della Chinese Basketball Association, che ha bruscamente interrotto i propri rapporti con gli Houston Rockets, e il merchandising della squadra è velocemente sparito da ogni piattaforma di e-commerce del paese.
Il fatto che in quei giorni la preseason NBA fosse in pieno svolgimento e alcune squadre, come Los Angeles Lakers e Brooklyn Nets, si trovassero in Cina ha complicato ulteriormente le cose.
Non serve ricordare come la Cina sia un mercato strategicamente fondamentale per la NBA, con milioni di fan che spendono soldi per seguire le partite in TV o streaming, lucrosi contratti televisivi ed enormi affari per quanto riguarda proprio il merchandising, tanto della NBA quando dei singoli giocatori, che hanno linee di scarpe personalizzate con i vari leader del settore e proprio sulla Cina contano per una grossa porzione dei propri affari.
Le problematiche maggiori sono però sorte quando alla NBA è toccato esprimersi sulla questione. Sotto questo punto di vista si può dire che praticamente nulla sia andato per il verso giusto.
La NBA ha inizialmente dichiarato di non essere un’organizzazione politica, facendo intendere il disinteresse a prendere una posizione per non compromettere ulteriormente i propri rapporti con la Cina. La lega ha scelto dunque di mettersi in linea con le dichiarazioni del proprietario degli Houston Rockets, Tillman Fertitta, che ha distanziato la franchigia dal tweet di Morey affidando tutte le responsabilità del caso al singolo individuo.
A far montare ancora di più il polverone di polemiche è intervenuto LeBron James, che dopo giorni di attesa di dichiarazioni in quanto faccia della NBA in tutto il mondo se ne è uscito dicendo di essere un semplice atleta, asserendo che “certe questioni devono essere affrontate da chi di dovere”.
Wait, ci siamo persi qualcosa?
Le parole di Adam Silver sono infine arrivate, a difesa della democrazia e della libertà di espressione che contraddistinguono i valori della lega, e che supportano quindi la presa di posizione di Morey in favore delle proteste di Hong Kong.
Le tempistiche usate dalla lega, e le parole di LeBron James, hanno fatto trasparire un’attenzione particolare da parte della NBA quando prendere una posizione può significare perdere decine (se non centinaia) di milioni di dollari. Secondo recenti sondaggi, gli Houston Rockets sono la seconda squadra NBA in Cina per popolarità (o almeno lo erano fino a ottobre), grazie anche al fatto di essere stati la squadra di Yao Ming, il più noto giocatore cinese di tutti i tempi.
La NBA si è sempre professata portatrice di nuove possibilità in tutto il mondo, una lega globale portatrice del global game, e sensibile di fronte a aree e popolazioni del mondo in difficoltà – basti pensare ai grandi sforzi annuali nel continente africano per portare cibo, medicine e aiutare a costruire abitazioni.
Quello che è uscito però dalla questione Morey-Cina è che sia la lega sia i suoi rappresentanti (in questo caso LeBron e i Rockets) sono reticenti ad applicare i dettami di cui si professano ambasciatori quando farlo potrebbe mettere a rischio il proprio giro di affari.
Unisco i Rockets a LeBron perché oltre alle dichiarazioni di Fertitta, per tutto il mese di ottobre il posto di lavoro di Morey come General Manager è stato a rischio, e la possibilità di licenziamento è stata reale per diverse settimane (come riportato inizialmente da John Gonzalez di The Ringer).
Un brutto incidente, sparito velocemente dai titoli delle principali testate ma che è bene non scordarsi, sia per quanto fatto dai protagonisti, sia per le ripercussioni future che potranno esserci nei rapporti tra NBA e Cina.