Mancano 19 partite alla fine della regular season e, come se nulla fosse cambiato rispetto ad un anno fa, i Toronto Raptors sono secondi nella Eastern Conference, certi dei playoff e pronti ad arrivare fino in fondo. Eppure rispetto allo scorso tanto è cambiato, tutto è cambiato.
I Raptors in questi dodici mesi hanno riscritto la storia della franchigia ma anche della pallacanestro americana, diventando la prima franchigia non made in Usa a vincere un titolo NBA. Ed hanno spostato, per qualche settimana, l’attenzione mediatica di una intera nazione verso il basket, in un Paese, il Canada, in cui lo sport principale è e rimane l’hockey sul ghiaccio. La gara 7 di semifinale dello scorso anno, quella della vittoria finale col canestro di Kawhi, ha avuto picchi di ascolti di 6 milioni di telespettatori, su una popolazione di 37 milioni. Un cittadino su sei quel giorno ha assistito al match.
Ma dopo il trionfo, la festa per il titolo, Toronto ha dovuto riaprire gli occhi e ricordarsi di non essere il centro del mondo NBA. A riportarli alla realtà è stato il loro campione, lo stesso che li ha trascinati alla vittoria e al quale erano stati dedicati murales. Kawhi Leonard ha deciso di lasciare il Canada e tornare nella sua Los Angeles, in una nuova squadra in grado di offrirgli ambizioni da titolo. Arrivato quasi per sbaglio, in una trade suonata come una punizione, Leonard in Canada è arrivato senza l’idea di rimanerci. Gli è bastato un anno per vincere, ma nemmeno questo gli ha fatto cambiare idea.
Come svegliati dopo un bel sogno i tifosi Raptors hanno perso la loro stella, e la loro squadra è tornata ad essere considerata una squadra discreta, senza pretese e senza chance di successo. Molti addirittura hanno messo in dubbio, ad inizio stagione, l’accesso stesso ai playoff. Come se Leonard avesse portato via con sé anche le doti tecniche degli altri giocatori. Tornati ad essere un roster di soli gregari, senza qualità.
Sono passati mesi dall’addio di Kawhi e dalle sentenze estive e oggi, con la regular season che si avvicina alla conclusione, possiamo dire che nulla è andato come previsto. Nessuna verdetto è stata confermato, nessuna analisi ha trovato riscontro. Come se la squadra non si fosse accorta di aver perso il proprio leader in campo e continuasse a vincere come se nulla fosse cambiato. Ma come è possibile tutto ciò?
È possibile perché i Toronto Raptors cacciano in branco. Come i predatori giurassici stampati sulle loro canotte, i giocatori della franchigia canadese non hanno leader, non hanno stelle. Come un branco attaccano e difendono e come tale è impossibile veder emergere qualcuno al di sopra degli altri. Questa stagione sta dimostrando come l’accerchiamento mediatico attorno alla figura di Kawhi Leonard abbia nascosto, per tutta la scorsa stagione, l’apporto dato dal resto del collettivo.
Oggi che il singolo se ne è andato, il gruppo è emerso, mostrando tutta la propria forza. Nessuno spazio ad individualismi, perché nessuno è in grado di farlo. Ma responsabilizzazione di gruppo. E, il gruppo, modellato a immagine e somiglianza del proprio allenatore Nurse e del suo concetto estremizzato di gioco improntato sulla difesa. Se oggi la squadra si trova dove si trova lo deve anche al suo allenatore, altro grande protagonista nell’ombra della scorsa stagione. Secondo miglior rating difensivo del campionato NBA, il terzo miglior record di vittorie in stagione e il quarto miglior net rating in stagione. Senza nessun giocatore tra i migliori 4 in nessuna statistica individuale.
E’ impossibile pensare ai Raptors di oggi e associarli al volto di un solo singolo. Anche perché gli infortuni hanno falcidiato la franchigia, costringendo a un turnover costante che ha responsabilizzato tutti i singoli elementi. Uniche eccezioni di questa democrazia cestistica si stanno dimostrando Paskal Siakam e Fred Van Vleet. Primi tra i pari. Ma mai superiori.
ALL-STAR PLAYER MAKING ALL-STAR PLAYS pic.twitter.com/CobH0ccxib
— Toronto Raptors (@Raptors) March 6, 2020
Per Paskal si tratta della stagione della consacrazione. Dopo aver lasciato intravedere qualcosa lo scorso anno, quest’anno il giocatore camerunense si è dimostrato l’ennesima scommessa africana vinta del GM Ujiri. Con 23.5 punti di media a partita è il leader offensivo della franchigia, senza però diventarne mai l’unico centro propulsore. Un giocatore in grado di andare a canestro se vi è difficoltà nel far girare la palla ma anche un passatore altruista.
Per Fred Van Vleet invece il discorso è differente. Il giocatore originario dell’Illinois si è costruito il suo posto al sole solo lo scorso anno e quest’anno è letteralmente esploso come secondo violino del backourt. Nurse lo sta modellando a immagine e somiglianza di Lowry, creando un play ad altissima intensità difensiva, con pochi fronzoli e un discreto tiro da tre.
E la scelta, quella del modello da seguire per il futuro play della franchigia, che risulta assolutamente non casuale. Perché Kyle Lowry, veterano e capitano della franchigia, è la rappresentazione sotto forma di giocatore della mentalità Raptors. Un giocatore in grado di ottenere 3 falli in attacco all’All Star Game 2020. Un unico modo di interpretare il basket, una sola via per esprimerlo.
Ora però il campionato sta per finire e i playoff si avvicinano. E se l’anno scorso Leonard ha letteralmente trascinato la franchigia al titolo, quest’anno i Raptors dovranno fare da soli. Nurse ha modellato ancora di più le proprie creature, andando a migliorare quelle che erano le lacune della stagione passata. Oggi tutti sanno quello che devono fare, ma bisogna vedere se sarà abbastanza. Perché la regular season è un conto, ma sarà ai play off che si dimostrerà l’efficacia di una squadra senza fenomeni.
Se il branco riuscirà a superare le singolarità dei suoi avversari, o se il talento individuale avrà la meglio.
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