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Da ‘Black Mamba’ a ‘The Chosen One’: il significato dei soprannomi di 10 giocatori NBA

La storia della nascita di alcuni dei soprannomi dei più grandi giocatori nella storia della Lega

8. Ben “Big Ben” Wallace

Duro, sempre concentrato e spesso difficile da superare. Queste erano le caratteristiche di Ben Wallace. Ah già, senza dimenticarci della sua incredibile forma fisica: 206 centimetri per 115 kilogrammi di pura potenza fisica. Tutto questo gli valse il soprannome di “Big Ben”. Ciò però ebbe un’evoluzione: venne infatti paragonato alla celebre torre di Londra, tanto che al Palace of Auburn Hills si poteva udire il suono delle campane ad ogni sua giocata. Erano i Detroit Pistons del titolo 2004, quello conquistato ai danni dei Lakers. Era la squadra di Billups, Hamilton, Prince, Rasheed e, appunto, “Big Ben” Wallace. In qualche modo sono entrati nella storia del gioco e nel cuore dei tifosi NBA.

 

7. Kobe “The Black Mamba” Bryant

kobe bryant 1997

“Il black mamba colpisce con un’accuratezza del 99% alla massima velocità e lo fa in rapida successione. Questo è proprio il tipo di precisione che voglio avere”.

Ipse dixit.

Dopo tale affermazione è parso a tutti opportuno affibbiargli il soprannome del rettile nero e letale: The Black Mamba. La verità, raccontata dal ‘New Yorker’, è che Kobe si diede questo particolare nickname dopo aver visto “Kill Bill” di Quentin Tarantino in cui il serpente, noto per la sua agilità e aggressività, veniva usato come nome in codice per l’assassino. L’adozione di un alter ego era un modo per far fronte alle conseguenze delle accuse di violenza sessuale nell’estate del 2003 nell’ormai famoso episodio del Colorado.

Le accuse furono in seguito respinte e fu quindi raggiunto un accordo civile con la presunta vittima, ma Bryant ha sempre sostenuto di aver dovuto ‘lottare’ con la perdita di credibilità e rispetto dovuto proprio a quell’episodio:

“Dopo l’incidente in Colorado, tutti i principali sponsor mi hanno lasciato, tranne Nike. Quindi mi sono messo a pensare ‘Cosa farò adesso’? La mia intenzione era quella di costruire un marchio e una sorta di alter ego che potesse separare la persona dal giocatore.”

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