Pensando ad un’entità cestistica caratterialmente controversa, ma allo stesso tempo unica nel suo genere, non può non palesarsi nella nostra mente il nome di Dennis Rodman. Sicuramente “The Worm“, oltre ad aver vinto 5 volte il titolo NBA ed essere stato per 7 volte consecutive tra il 1992 ed il 1998 il miglior rimbalzista della lega, è divenuto celebre per le sue pittoresche trovate.
La consuetudine nell’esagerare letteralmente con i colori delle pettinature e con la stravaganza del vestiario, senza tralasciare – tra le miriadi di episodi che si potrebbero raccontare – il momento in cui si sposò con se stesso in occasione dell’uscita del suo libro oppure l’incarico di inviato in Vaticano ricoperto nel 2013 per conto di un’agenzia di scommesse irlandese convinta che Dennis avesse agganci all’interno del Conclave e che quindi potesse estorcere notizie in anteprima sull’elezione del pontefice, consegnano il personaggio non solo alla cultura cestistica, ma alla cultura popolare degli Stati Uniti.
C’è però un’esperienza veramente improbabile che ha visto protagonista il nativo del New Jersey, ovverosia il primo viaggio in Corea del Nord (sì, da quel giorno ci si reca nel Paese con cadenza piuttosto regolare). L’Hall-of- Famer ha descritto, durante un’apparizione all’interno della trasmissione Hotboxin’ gestita da Mike Tyson, la prima volta in cui si recò a Pyongyang e si trovò di fronte Kim Jong-un:
“Nel 2013 ero in Corea del Nord con gli Harlem Globetrotters, non stavo giocando e fui avvicinato da alcuni uomini della sicurezza che mi chiesero di seguirli. Pensai immediatamente che mi stessero arrestando per qualche bravata commessa in America. Mi fecero sedere in una zona riservata con sedie che avevano la parvenza di troni regali e sentì 22000 persone applaudire. Pensai stessero applaudendo me, così feci un cenno d’intesa. Immediatamente un uomo della sicurezza mi confidò che gli applausi fossero per Kim Jong-un, il loro leader, che io non conoscevo minimamente, che entrò in quel momento nel palazzetto e si sedette di fianco a me. Parlammo di pallacanestro per tutta la partita, dopodiché mi invitò a trascorrere la serata con lui e la sua corte. Mangiammo oltre l’immaginabile, bevemmo più del dovuto e Kim iniziò a cantare tra gli applausi dei presenti, sembrava la sigla di Dallas. Non ho capito mezza parola, ma è l’ultimo ricordo che ho di quella sera insieme alla comparsa di una band di 18 discrete ragazze. Fu un peccato che cantarono un’unica canzone. Mi trattavano come uno di famiglia ma rientrato negli USA mi accorsi che controllavano il mio telefono. Da allora uso un cellulare vecchio modello e sto molto più attento.”
Rodman ha visitato la Corea del Nord l’ultima volta nel 2018, ritenendosi tutt’oggi una sorta di ambasciatore americano presso Kim Jong-un.
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