“3..2..1 Lillard long range three…WOOW! IT’S GOOD! The BUZZER!”
Abbiamo tutti in mente Dame Time mentre elimina i Thunder in Gara-5 al primo round, l’anno scorso. Momenti da urlo che ci vengono regalati ogni qual volta il tempo sta per scadere e il punteggio è in bilico. Nei primi anni Cinquanta il gioco era più lento e molto meno spettacolare, basti pensare che molte squadre, appena acquisivano un vantaggio, cominciavano a far “melina”.
Gli avversari potevano interrompere la rete di passaggi solo forzando i tiri liberi, strategia del “freeze-and-foul”. Molte partite duravano troppo: capitava che gli ultimi 4 minuti del quarto periodo durassero anche mezzora. Nei palazzetti non c’era una grande affluenza, e chi avrebbe voluto vedere le partite che finivano 19 a 18 (record della partita NBA con punteggio più basso)? Oppure partite in cui l’unico tiro in un intero periodo era il buzzer beater?
Nel 1954 Daniel Biasone, un italiano proprietario dei Syracuse Nationals, propose l’introduzione di un cronometro che limitasse la durata di ogni azione. Biasone calcolò che ogni squadra dovesse tirare in media 60 tiri ogni partita, dividendo i 2.880 secondi di una partita in 120 ottenne i noti 24 secondi. Con l’introduzione del cronometro in un solo anno il pubblico incrementò del 50%, i punti a partita in media per squadra passarono da 79.5 a 93.1 (oggi 111.5) e i tiri tentati in media a partita per squadra passarono da 75.4 a 86.4 (oggi 89.02).
I giocatori – nei primi match dalla determinazione della regola di cui sopra – erano in preda all’ansia di dover tirare, con il risultato che le azioni duravano 8-10 secondi: un paio di passaggi senza schemi e il tiro conclusivo. In seguito, sia giocatori sia allenatori, si adeguarono alla novità e nacquero match combattuti fino all’ultimo istante. Ciliegina sulla torta: nel 1955 i Syracuse Nationals si adeguarono talmente bene alle nuove regole da vincere il campionato.
Nei primi tempi i “vettiquattrosecondisti” erano semplicemente i rookie con in mano un orologio mentre gridavano “Tempo!” ogni qual volta scadevano i 24 secondi. In breve tempo tutte le squadre adottarono i cronometri posizionati sopra i canestri e in zone del campo visibili al pubblico, ai giocatori e agli arbitri. Nella stagione 2011-12 venne aggiunta la possibilità di mostrare i decimi negli ultimi 5 secondi dell’azione.
Il basket NBA è stato il primo sport ad utilizzare i cronometri, in seguito molti altri sport ne hanno percorso la stessa strada aperta dalla lega. La FIBA, ad esempio, dal 1956 al 1999 permetteva che le azioni durassero sino a 30 secondi, solo nel 2000 ha portato il cronometro a 24 secondi.
La NCAA ha una storia a parte.
Negli anni ’80 in North Carolina, coach Dean Smith attuava la tattica dei 4 angoli nel momento in cui la sua squadra era in vantaggio e non voleva permettere agli avversari di rientrare. Nel 1982 North Carolina vinse il campionato, grazie anche alle strategie dell’allenatore e al rookie Michael Jordan. Nel 1983 la lega collegiale decise di allinearsi, per quanto possibile, al campionato professionistico e introdusse un limite alla durata di un’azione di 45 secondi in alcune conference e nel 1985 estese il vincolo a tutta la NCAA.
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