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NBA, Scottie Pippen svela il suo rapporto con Michael Jordan

L’ex stella di Chicago ha ripercorso il suo rapporto con His Airness

In una lunga intervista rilasciata a GQ, Scottie Pippen ha parlato anche della sua relazione con Michael Jordan e in particolare del suo status di luogotenente di MJ ai tempi dei Chicago Bulls. Una ‘etichettatura’ da lui non particolarmente gradita:

“Era il punto di vista del pubblico e degli addetti ai lavori. Non è colpa di Michael. Non è stato lui a scrivere certi articoli. Ma erano le cheerleader (i media) che erano dietro Michael Jordan che hanno fatto tutto il possibile per compiacerlo, per cercare di elevarlo ulteriormente. (ride) Pensavano di poterlo avvicinare in questa maniera, continuando a fargli complimenti.”

Scottie si è quindi dispiaciuto del fatto che durante il periodo dei 6 storici titoli conquistati, Chicago non era vista come la squadra più forte della NBA, semmai come “la squadra di Michael Jordan”. I media, sempre secondo l’ex giocatore, cavalcavano quindi l’onda della popolarità di His Airness presentando i match come in una sorta di “Jordan contro tutti”:

“I media dell’epoca erano davvero esagerati. Erano le sue cheerleader. Stavano vivendo qualcosa che non avevano mai visto prima: un iconico giocatore di basket con un appeal globale. È stato scioccante per loro. Incontravo persone dei media che venivano da diversi paesi solo per incontrare Michael Jordan, solo per vedere Michael Jordan all’opera. I giornalisti americani si sentivano di dominare il mondo. Dicevano, “Abbiamo Michael Jordan”, o “Siamo noi i suoi amici”. Tutti l’hanno vista come un’opportunità per avvicinarsi a Mike. Questo è il modo in cui i marchi hanno voluto rappresentare il giocatore, da Gatorade a Nike. Non voglio dire che hanno ingannato i media stessi presentando Mike come un’icona, ma certamente li hanno controllati, costruendo un’immagine di lui chiara (ride).”

Nel suo libro Pippen spiega che meritava più rispetto dalla stampa e dal front office dei Bulls, e non necessariamente perché sentiva di essere pagato male:

“Dal punto di vista della squadra meritavamo più riguardo. Il basket è uno sport di squadra. E quando metti da parte un individuo, togli qualcosa a questo sport. Sapete, non ci sono davvero grandi giocatori nel basket, ma questo è costruito su grandi squadre. Sì, ci sono i cosiddetti giocatori ‘importanti’, ma alla fine la cosa che conta di più è la squadra. Possiamo stare qui e sostenere che Charles Barkley è stato un grande giocatore. Ma quello che ha fatto viene spesso sminuito, perché? Perché non ha mai vinto. Non è mai stato in una squadra vincente. Quindi, quando si siede con Shaq e Kenny (in Inside The NBA di TNT), gli altri possono tranquillamente minimizzare ciò che ha fatto durante la sua carriera. Kenny Smith può diventare più importante di Charles Barkley sotto questo punto di vista, ma perché ha vinto. Sì, Charles è nella Hall of Fame, ma quando parliamo di successi e vittorie, non troviamo il nome di Charles Barkley. Finché non lo metti in una grande squadra come il Dream Team. Lì è decollato.”

Ai Bulls tutto ruotava attorno a Michael Jordan e ogni giorno – come visto anche in The Last Dance – non era facile essere il suo compagno di squadra:

“Michael aveva potere e controllo su ogni cosa. Era uno status raggiunto anni prima del mio arrivo. Non mi sono semplicemente svegliato così in questa situazione. Era già tutto così quando sono stato preso da loro. Capisco perché molti giocatori sono andati via da Chicago. C’erano sempre ragioni per non voler essere lì. Il successo non era condiviso.”

“Il mio rapporto con MJ in campo è stato impeccabile. Ci siamo spinti a vicenda per essere grandi. Ci allenavamo a vicenda per essere i migliori. Quindi tutto ciò che abbiamo fatto, dal punto di vista della pallacanestro, è stato seguito da un alto livello di rispetto, sapevamo di poter essere i migliori. Michael era diventato quasi più importante del basket stesso. Anche quando sono arrivato a Chicago, lui era già una figura iconica nella NBA.”

Poi, un ultima battuta su The Last Dance:

“È stato bello. È stato divertente. I miei figli non avevano mai visto la mia carriera, quindi l’ho guardata con loro. Sapevo che sarebbe stato qualcosa di costruito per far crescere Michael agli occhi dell’attuale generazione di giocatori di basket, per essere visto come il più grande di tutti. Purtroppo non è stato sottolineato quello che hanno fatto i Chicago Bulls come squadra.”

 

 

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