Michael Redd
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Se avete letto la sua storia, Michael Redd non può fare altro che accrescere il vostro senso di rammarico per qualcosa, quel sentimento di dispiacere che forse non lascerà mai solo l’uomo del terzo millennio, abituato a vivere innumerevoli situazioni del tipo “avrei dovuto”, “se avessi fatto”, “sarebbe stato meglio se”, spesso abbozzando vaghe giustificazioni come “avrei potuto… ma ho avuto sfortuna” e “sarebbe andata così se… ma la vita è una m***a”, in una società a volte troppo veloce per riuscire a fare anzitempo le decisioni migliori.
Ecco, l’esempio di Michael Redd calza a pennello con le ultime due. Perché il racconto di un giocatore dal potenziale enorme e che sbucato praticamente dal nulla arriva a segnare più di 26 punti a partita in quel deserto che era Milwaukee dopo la partenza di Ray Allen, ma che a 29 anni, nel pieno della sua carriera, si ritrova con un infortunio che pone fine alla stessa, dovrebbe farvi provare un minimo di dispiacere. Aggiungeteci poi il fatto che il ragazzo avesse un cuore d’oro, legatissimo alla fede e alla propria famiglia, tanto da comprare e regalare una chiesa (sì, una chiesa) al padre, un pastore religioso. In campo poi era il beniamino di Milwaukee, andando sempre oltre i 20 punti di media fra il 2004 (anno in cui si registra la sua unica convocazione per l’All-Star) e il 2009, con un picco di 25.4 e 26.7 nel 2006 e nel 2007.
Perché allora Redd ha partecipato ad un solo All-Star Game? Apparentemente non sembra esistere un valido motivo: le uniche motivazioni plausibili sono lo scarso appeal dei Milwaukee Bucks dei primi anni 2000 e un record di squadra quasi sempre negativo durante il periodo di militanza di Redd; più semplicemente, forse era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Personalmente, quando faccio questo tipo di pensieri su giocatori NBA più o meno sfortunati di lui, mi assale sempre un certo senso di dispiacere, soprattutto quando ci si rende conto che si possono ipotizzare anche mille possibili scenari, ma alla fine rimarranno tali perché il passato è andato in modo diverso e non c’è modo di cambiarlo. Del tipo: quanti premi MVP avrebbe vinto Derrick Rose se non fosse stato martoriato dagli infortuni? Cosa sarebbe successo se nella serata inaugurale di questa stagione Gordon Hayward non si fosse rotto la caviglia? Cosa sarebbe diventato Michael Redd se avesse giocato in un’altra squadra? Una risposta certa non esiste, e dopo qualche minuto passato a fantasticare, l’unica cosa che possiamo pensare, da persone del terzo millennio mosse dal rammarico, è: “Sarebbe potuto andare tutto diversamente, ma a volte la vita è proprio una m***a”.
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