Il ricambio generazionale ha permesso alla NBA di superare brillantemente gli addii, anche temporanei, dei grandi del passato, proiettandone di volta in volta l’immagine in una nuova dimensione mediatica al passo con i tempi. Grant Hill e JJ Redick, oggi tra i volti televisivi più conosciuti nel panorama sportivo d’oltreoceano, hanno approfondito il tema nella puntata settimanale del podcast The Old Man & The Three.
Come Grant Hill ha vissuto l’etichetta NBA di “Nuovo Michael Jordan”
Il riferimento di Redick, sollecitato dall’ospite di turno, non poteva che andare ai paragoni con Michael Jordan che accompagnarono Hill fin dal suo ingresso nella lega nel 1994, popolando le copertine dei magazine più in voga. Ecco l’estratto con la risposta del diretto interessato:
“I paragoni mi infastidivano, ma li ho sfruttati al massimo [ride ndr]. Fu la tempesta perfetta, JJ. C’era un vuoto, al mio ingresso nella NBA Jordan si era ritirato. E poi c’era il fattore Duke: che ti piacesse o la odiassi la vedevi, per via del nostro successo, le tre Final Four o che altro. Dunque sapevano chi fossi. Arrivai in NBA in grande stile, viaggiando a 25, 10 e cinque di media. Dopo le prime 15 partite chiamai i miei amici e dissi loro: ‘Ragazzi qui rispetto al college è una passeggiata, li sto facendo a pezzi’. Quando cominciano a prenderti le misure con lo scouting report logicamente la difficoltà sale. Credo sia stato tutto l’insieme, lo stile di gioco sopra al ferro. Mi diedero un certo ‘ruolo’ ed ebbi subito buon successo ma non ero pronto ad essere quel tipo di persona. Mi sono sempre sentito a disagio in quella situazione. Mi piaceva passare la palla ed essere un facilitatore del gioco di squadra faceva parte del mio DNA. Non ho mai approcciato a una partita pensando: ‘Adesso come li batto io?’ Non ho mai accolto quei paragoni ma li ho sfruttati e ci ho guadagnato bene sopra.”
Michael Jordan non tardò a riprendersi la scena ma senza dubbio Hill seppe trarre massimo profitto da quel promettente avvio di carriera.
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