Ci sono dei momenti che rimangono indelebili nella nostra mente e che congelano il tempo in cui si vivono. Ognuno di noi ricorda esattamente dove si trovava e cosa stava facendo nel momento in cui apprese la notizia del decesso di Kobe Bryant. La notizia ha monopolizzato la stampa per settimane per poi scemare naturalmente una volta digerita la tragedia. In questi giorni però si è aperto un nuovo capito della storia che vede protagonista Vanessa Bryant, lo sceriffo, i vigili del fuoco di Los Angeles e un processo per violazione della privacy.
La storia
26 gennaio 2020, l’elicottero su cui viaggiavano Kobe Bryant, sua figlia e altre 7 persone precipita sulle colline di Los Angeles. Vigili del fuoco e sceriffo intervengono e constatano la morte del giocatore e di sua figlia documentando la scena dello schianto come da procedure. È qui che entra in scena Vanessa Bryant, vedova di Kobe, la quale sostiene che alcune delle foto del corpo del marito e della figlia fossero state trattenute dai due organi di protezione per poi essere condivise con gli avventori di un bar e colleghi fuori servizio.
Nel marzo 2021 Vanessa Bryant aveva rivelato i nomi dei quattro agenti coinvolti nello scandalo attraverso 12 tweet, poi cancellati. Luis Li, avvocato della famiglia, in una nota ai margine del processo sottolinea:
“La signora Bryant si sente male al pensiero che gli agenti dello sceriffo, i vigili del fuoco e chiunque altro abbia guardato le immagini del marito e della figlia deceduti. Vive nel timore che lei o i suoi figli possano un giorno trovarsi di fronte a immagini orribili dei loro cari online”
Una storia triste che non aspetta altro che la sua conclusione per voltare definitivamente pagina.
Leggi anche:
NBA, Austin Reaves sulla rivalità con i Clippers: “La trovo molto stimolante”
Preseason NBA 2022-2023, le partite dei Milwaukee Bucks
Mercato NBA, Kyrie Irving si schiera dalla parte di Kevin Durant