Spurs-Victor Wembanyama. Intorno alle 2.00 di notte di giovedì 22 giugno, il nome del gigante francese sarà ufficialmente stampato in nero su una canotta grigia. Prima di salire sul palco del Barclays Center di Brooklyn e stringere la mano al commissioner Adam Silver, Wemby si è concesso un’oretta in compagnia di JJ Redick. Nell’ultima puntata del podcast The Old Man & The Three, il diciannovenne si è raccontato a cuore aperto.
Ha prima di tutto parlato di quella che sarà, quasi sicuramente, la sua nuova casa: San Antonio.
“Se avessi dovuto scegliere a quale franchigia dare la prima scelta assoluta, avrei scelto San Antonio. Ho sentito parlare molto del clima che c’è, della cultura vincente”.
Wembanyama si è poi soffermato sulla sua esperienza in campo: un giocatore che, nonostante la sua giovane età e la struttura fisica sottile, ha già trascinato il suo club alle finali per il titolo.
“Avevo una enorme responsabilità entro la mia squadra, un ruolo centrale. Giocare a basket è il mio lavoro, mi sono dedicato completamente a questo fino alla fine della stagione. Dormire, mangiare, riposare, allenarsi. […] Molti dicono che ho un corpo troppo gracile. Io però sono diverso da chiunque altro: per altezza, per abilità. Devo avere una routine originale, una ricetta originale per funzionare”.
Wembanyama si sente molto differente da tutte quelle promesse del basket che, con la fama e i dollari, si perdono per strada.
“Non sento pressioni dall’esterno, vivo libero. So che giocatore e che persona sono. Non mi perderò mai per strada, sono certo. Non perderò mai il contatto con la realtà, facendo qualche cavolata. Perché so cosa voglio, e niente può buttarmi fuori dai binari. Io voglio meritarmi tutto quello che ricevo”.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Dentro la vita di una futura stella NBA si nascondono molti lati oscuri.
“A volte mi chiedo come sarebbero stato se fossi andato all’università. Ma a volte questa è la vita. In America puoi continuare a giocare e studiare, è meglio per la crescita dei giovani. In Europa non si può”.
E quella fama, tanto rincorsa, si può rivelare una trappola.
“Vorrei essere invisibile. Vorrei uscire per New York, prendermi un caffè, andare a Times Square. Ma sono sempre circondato da persone. Mi ritengo tanto fortunato a essere in questa posizione quanto sfortunato a non poter semplicemente passeggiare come una persona normale”.
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