Nella lega che fu di Hakeem Olajuwon e Shaquille O’Neal ora sotto le plance, ma anche qualche passo più indietro, dominano quelli che nel nostro editoriale di fine anno abbiamo definito “I Nuovi Mostri“. Lunghi per definizione che spesso si comportano come point-guard vere e proprie dall’alto delle loro gambe e braccia infinite: guidano la transizione, passano la palla, allargano il campo tirando da 3, fanno euro-step anche se non hanno la barba e non si chiamano James Harden. Questo tipo di giocatori sono stati definiti alla loro comparsa “unicorni”, creature semi-mistiche di cui dubitavamo l’esistenza e che invece ora popolano le nostre nottate sul League Pass, oltre che le nostre pagine: Giannīs Antetokounmpo, Karl-Anthony Towns, Joel Embiid, Kristaps Porziņģis, Nikola Jokić. Se date un’occhiata molto veloce a questo elenco probabilmente non vi accorgerete che ne manca uno, che calca i campi NBA ormai da tre anni e che ha molte caratteristiche che lo possono fare rientrare nella categoria dei ragazzi qui sopra citati. Gioca a Indianapolis e si chiama Myles Turner.
Crescita (?) lenta
Myles Turner nasce a Bedford, Texas il 24 marzo 1996 e trascorre l’intera infanzia e la sua carriera scolastica non uscendo dai confini dello stato. Trinity High School a Euless prima, University of Texas in cui gioca per i Texas Longhorns poi. Un attaccamento alla terra natia che verrà troncato nella notte del draft 2015 (quello di Towns e Porzingis per intenderci), quando viene selezionato alla #11 dagli Indiana Pacers, alla ricerca di un lungo dalle caratteristiche completamente differenti da affiancare ad un Hibbert ormai in fase di declino e autodistruzione. Sì, perché Turner, con i soli 19 anni d’età, era un prospetto già ben visto dagli addetti ai lavori come uno degli apripista per una nuova generazione di lunghi che, a dir la verità, non ci si aspettava potesse rivoluzionare in così breve tempo il Gioco.
Nella puntata del nostro Road to Draft dedicata a lui dicevamo che: “Ha già un buon tiro dalla media distanza, un ottimo spin-move lungo la linea di fondo con un buon rilascio della palla […] ha anche un range di tiro che va oltre l’arco […] ed infine ha l’istinto anche per dei pick-and-pop che possono innescare il suo tiro”. Tutte caratteristiche che non sono andate perse nella migrazione al piano di sopra, nonostante la notevole differenza di fisicità che comporta questo passaggio, e che rimangono anche nella versione Turner 3.0. Nella stagione corrente la soluzione al tiro più utilizzata dal #33 è il tiro dal mid-range, che realizza il 51.5% delle volte. Una percentuale altissima, superiore perfino a quella di altri come Embiid (45.9% con pressoché lo stesso numero di tentativi totali), Towns (43.2%) o Porzingis (38.8%) e che utilizza spesso in uscita da situazioni di pick-and-pop, esattamente come ha messo in mostra nell’anno di college, raffinandola a tal punto da farla diventare la sua arma principale.
Si fida talmente tanto del suo tiro dalla media da accontentarsi spesso di un tiro da 2 punti invece di allargarsi un passo in più in modo da cercare di mettere a referto una tripla. Una tendenza che ne ha castrato lo sviluppo come giocatore almeno fino a quest’anno: il tentativo di spaziare ancora di più il campo è evidente a livello di numeri anche se non a livello di risultati. Rispetto alla scorsa stagione, infatti, Turner ha aumentato il proprio volume di fuoco da oltre l’arco, passando da 1.4 tentativi per serata a 2.6. Quella che non è cambiata vistosamente è, purtroppo per lui, la sua capacità di trasformare in punti questo maggior numero di tiri. Anzi, rispetto al 34.8% della scorsa stagione è passato ad un poco meno produttivo 33.7%. Un tiratore sicuramente rispettabile ma non un cecchino su cui uscire forte in ogni situazione aprendo il campo per i tagli e le penetrazioni dei propri compagni. Per fare un confronto con altri esponenti della categoria unicorni Towns spara da 3 punti quasi 4 volte a partita (3.8) con una percentuale di realizzazione prossima al quaranta (40.3%) mentre Porzingis mantiene il 37.3% dalla lunga distanza con 4.6 tentativi a serata.
Una scarsa attitudine a spaziare il campo che sta incidendo pesantemente anche sulla scelta del compagno di front-court affiancare a Turner per farlo rendere al meglio e per sfruttare appieno le potenzialità del roster. Pare evidente, infatti, che Sabonis sia ormai un giocatore su cui la dirigenza dei Pacers può puntare fortemente per costruire una squadra quantomeno da playoff. Il problema, però, diventa la compatibilità tra il figlio di Arvydas e il giovane Myles: sebbene siano due lunghi di grande talento una coppia formata dai i due strozzerebbe troppo le spaziature dell’attacco di coach McMillan in quanto né Myles né Domantas (35.3% in 0.5 tentativi a partita da 3 punti) sono dei tiratori affidabili. In una NBA sempre più orientata al pace & space attualmente è quasi utopia vederli partire contemporaneamente in quintetto base. Per farlo servirebbe un deciso miglioramento dall’arco del prodotto della University of Texas, difficilmente ipotizzabile durante questa regular season, in modo tale da trasformarlo in un vero “4” moderno, dai piedi veloci per tenere sui cambi difensivi e con la possibilità di spaziare il campo.
A questo si aggiungono dei problemi difensivi che ancora si possono notare nel giovane Turner e che rendono ancora più complicato un suo spostamento fisso nella casella di 4 per assecondare l’evoluzione del Gioco. Nonostante il grande istinto per la stoppata (con 2.2 per partita Turner è attualmente al secondo posto della specialità alla pari di Kristaps Porzingis e dietro a Kevin Durant) non si può definire Myles Turner un difensore d’élite a tutto tondo come lo si potrebbe fare con Giannis (che concede percentuali inferiori al resto della lega in ogni zona del campo) o Embiid, la cui Defensive Dashboard è semplicemente irreale. Myles Turner, complessivamente, è un difensore nella media, più a suo agio a difendere nei pressi dei tabelloni che sul perimetro nonostante le potenzialità per essere un difensore efficace anche sui cambi ci siano. Più si allontana dal ferro e più la sua difesa si fa lacunosa. Si parte infatti dall’eccellente 56% concesso a tiri presi a meno di 6 piedi dal canestro contro il 61.8% della lega, si passa dall’ottimo 52.1% a meno di 10 piedi in confronto al 56.9% in NBA e si arriva ad un disastroso 41.9% a più di 15 piedi dal ferro, quindi in pieno mid-range, rispetto al 37.3% medio. Il tutto con una percentuale concessa dalla linea dei tre punti (39.3%) ancora leggermente sotto il par (35.7%).
Percentuali che sono andate nettamente in aumento rispetto alla scorsa stagione, dove la difesa di Turner era migliore rispetto alla media NBA in tutte le zone del campo. Una regressione che in parte può essere spiegata da un peggioramento collettivo (107 punti concessi in media dai Pacers contro i 105 dell’anno passato) e dalla partenza del miglior difensore di squadra (Paul George). Personalmente Turner concede 106 punti su 100 possessi, un dato paragonabile a quello di Towns (106) e di Porzingis (104) ma tutt’altro che lusinghiero rispetto all’élite tra gli unicorni, ovvero Embiid (99). Quello che preoccupa maggiormente sono le zone in cui sta avvenendo un peggioramento difensivo più evidente. Se in attacco, infatti, sembra un giocatore in grado di spaziare il campo e quindi di poter trasformarsi in un “4” a tutti gli effetti, in difesa è al momento un giocatore che ha bisogno di rimanere ancorato il più possibile al pitturato per incidere. Questa peculiarità di Turner ne rende ancora più complicato l’accoppiamento nel front-court: servirebbe un lungo in grado di fare la voce grossa a rimbalzo offensivo e, allo stesso tempo, in grado di cambiare sui piccoli e difendere con aggressività lontano dal canestro. Non esattamente il compito più facile del mondo per il front office.
Alla lista dei difetti di Turner si può aggiungere infatti una scarsa propensione a rimbalzo che ne limita notevolmente l’impatto sulla partita. I 6.5 rimbalzi per partita sono pochini per un lungo che ha come confort zone il ferro e che dovrebbe essere in grado di farsi valere molto di più sotto le plance. Turner controlla il 12.7% dei rimbalzi a disposizione, una percentuale molto più bassa di parecchi dei suoi compagni, anche di quelli meno destinati a catturare le carambole (Stephenson, per esempio, ne cattura il 13.9% per un totale di 5.6 rimbalzi a partita) e per la maggior parte, 5.4 a partita, sono difensivi. Il 4.8% dei rimbalzi offensivi potenzialmente a disposizione catturati condannano Turner ad un impatto pressoché nullo in fatto di creazione di seconde opportunità.
I will not become a leader
Nascosto nell’ombra, perennemente inosservato o quasi. La dura vita di Myles Turner ad Indiana sembra non poter cambiare sceneggiatura nemmeno nell’anno in cui viene scambiata la stella assoluta della squadra, uno dei migliori giocatori a vestire la canotta Pacers nel nuovo millennio e in grado di portare la franchigia ad una finale di Conference. Con la partenza di Paul George, si pensava che la squadra diventasse finalmente di Myles Turner. Solo che sono arrivati Oladipo e Sabonis e lui, come d’incanto, è tornato a fare il secondo/terzo violino di una squadra che sta andando sì oltre le aspettative, ma che rimane pur sempre mediocre. Quello che ci si aspettavamo noi da semplici spettatori ma che, probabilmente, si augurava anche la dirigenza dei Pacers era la capacità di Turner di fare finalmente un passo avanti a livello di leadership e personalità con la partenza di PG13.
L’infortunio che lo ha tolto dal campo nelle prime battute della stagione e la contemporanea esplosione di Oladipo a uomo franchigia, certificata anche da contratto di 4 anni da 84 milioni di dollari, hanno di fatto azzerato le possibilità di Turner di ergersi ad alfa ed omega dei Pacers. Ciò che sta risalta all’occhio però è la stabilità, o il leggero peggioramento, di tutte le cifre statistiche nonostante la leggera crescita della percentuale di possessi terminati da Turner quest’anno (21.5) rispetto a quella della stagione passata (19.7). Nella stagione corrente Turner mette a referto 13.9 punti, rispetto ai 14.5 della stagione 2016-2017, nonostante il numero di conclusioni sia rimasta invariata (10.7 tentativi a partita). I rimbalzi sono diminuiti (6.5 vs 7.2) così come i viaggi in lunetta e la percentuale di realizzazione (3.4 con il 76.4% vs 3.7 con l’80.9%), gli assist sono leggermente aumentati (1.6 vs 1.3) ma anche le palle perse (1.7 vs 1.3). L’unica vera nota positiva sono le stoppate di cui, come già precedentemente scritto, è tra i leader nella lega grazie alla combinazione di tempismo eccellente e wingspan intimidatoria.
Se nei numeri non troviamo quindi una presa di coscienza di uno status, almeno teoricamente, superiore al passato altrettanto possiamo dire della capacità di prendersi sulle spalle la squadra nei momenti di difficoltà. Complice un infortunio anche Oladipo recentemente ha lasciato il timone del comando al giovane Myles e i risultati sono stati tutt’altro che soddisfacenti. Nelle 5 partite senza Vic Indiana ha collezionato 5 sconfitte (anche contro squadre disastrate come i Mavericks o i Bulls) e i numeri di Turner si sono sciolti come la neve al sole invece di esplodere: 11.6 punti con il 45% dal campo, 4.6 rimbalzi, 1.6 stoppate. Chiaro sintomo di come mentalmente il #33 non sia ancora (?) pronto a prendere in mano le sorti di una franchigia dopo i 3 anni trascorsi nella lega.
Ma se il problema di fondo fosse la nostra concezione di Turner? Se fossimo stati noi ad illuderci di vedere nel #33 un futuro trascinatore di una franchigia quando non ne ha mai avuto la stigmate? Oppure la questione potrebbe essere ancora differente, magari Turner potrebbe semplicemente avere bisogno di più tempo e un contesto diverso per diventare il giocatore che abbiamo intravisto a sprazzi, tempo che forse non siamo più soliti concedere vista la straordinaria precocità delle ultime generazioni entrate nella NBA. Al momento, però, Turner è l’unicorno più trascurato della NBA, l’unico che non riesce ancora a trasmetterci quella magia che ormai siamo abituati a intravedere ovunque.
Statistiche aggiornate all’8 gennaio