Agli occhi di chi non ha mai avuto modo di seguire pallacanestro femminile, l’ascesa di Cecilia Zandalasini è apparsa bruciante, inarrestabile negli ultimi nove mesi: la straordinaria performance agli Europei 2017, le interviste rilasciate ad importanti testate, il titolo WNBA con le Minnesota Lynx e la notorietà sui social si sono susseguiti con una tale rapidità da sembrare eventi sovrapposti, tessere di un unico implacabile domino azionato per preannunciarci l’arrivo di un nuovo volto della pallacanestro nostrana. Per chi, invece, ha maggiore affinità con il basket in rosa, il cognome Zandalasini corrisponde a quello di una giocatrice già capace di imporsi in tutte le più importanti categorie giovanili, prima di passare alla prestigiosissima Famila Schio, con la quale ha già vissuto quattro stagioni di Eurolega e messo in bacheca due Scudetti, tre Coppe Italia ed altrettante Supercoppe, oltre ad aver già vinto l’Oscar del basket alla miglior giocatrice nel 2016. Cecilia ha praticamente vissuto una carriera da sogno compressa in appena quattro stagioni: grazie ai 19 punti di media abbondanti è riuscita nell’impresa di venire inserita nel miglior quintetto di Eurobasket 2017 al suo primo torneo senior, mentre la nostra nazionale è arrivata settima, e ha coronando il sogno di vincere l’anello WNBA a soli 21 anni, mentre Catarina Pollini – l’unica altra campionessa italiana in WNBA – ci era riuscita a 31, nel 1997.
Cecilia è in tutto e per tutto moderna nel suo approccio alla pallacanestro: corre, palleggia, gioca 1 vs 1, tira, difende, stoppa e, fuori dal campo, è attenta alla cura della propria immagine e dei propri profili social. È davvero difficile immaginare quale sia il suo ceiling in questo mondo. Sempre che un ceiling esista.
Cecilia Zandalasini è, di fatto, il volto più riconoscibile della nostra pallacanestro femminile. E pensate che compirà 22 anni solo il prossimo 16 marzo.
Questo cammino frenetico e lastricato di successi ha fatto di lei non solo uno dei volti del basket italiano, procurandole anche le difficoltà derivanti dall’approccio al suo nuovo ruolo, ma anche uno dei rarissimi ambasciatori della nostra pallacanestro riconoscibile Oltreoceano. La concomitanza di questi fattori, sommata alla notizia del suo ritorno in WNBA, ci ha portati inevitabilmente a volerla ospitare nel nostro salotto NbaReligion per chiacchierare di pallacanestro americana, di nazionale, del suo rapporto con i social e molto altro. Grazie alla sua disponibilità ci siamo riusciti e abbiamo aperto le nostre pagine anche ad argomenti, di solito, meno affrontati nel corso della stagione NBA.
Jacopo Gramegna: Ciao Cecilia, mentre la stagione cestistica europea ha da poco effettuato il giro di boa che ci condurrà alle fasi calde, la NBA si è appena concessa una pausa in occasione dell’All Star Game. E proprio di qui vorrei cominciare: il prossimo All Star Game WNBA si terrà a Minneapolis e sarà organizzato dal tuo team, le Minnesota Lynx. Quanto senti lontano questo prossimo step, lo immagini all’interno del tuo percorso di crescita? In ogni caso sarai comunque presente, almeno come spettatrice, immagino.
Cecilia Zandalasini: L’All-Star Game mi sembra uno step molto in là, molto molto grande. Stiamo comunque parlando del concept americano, simile a quello NBA: si procede attraverso le votazioni, dunque le più celebri e le più forti raggiungono le due squadre che poi si contendono l’All-Star Game. Tra l’altro non credo nessuna europea lo abbia mai fatto se non giusto in sporadiche occasioni (l’ultima è stata la belga Courtney Vandersloot nel 2011, nda). Non sono una grande esperta degli annali WNBA ma, di recente almeno, penso che le All-Star siano state tutte americane (in effetti l’ultima International è stata la brasiliana Érika de Souza nel 2014, nda). Entrarci, non lo so, non è una cosa a cui presto attenzione: insomma, ho appena fatto solo la mia prima stagione, tra l’altro solamente a metà. Ora penso stagione per stagione, quindi a ciò che verrà la prossima estate e nella regular season. Sono piuttosto gasata dall’idea che comunque l’All-Star Game si tenga a Minneapolis quindi assolutamente sarò una spettatrice e sarà bello godersi questo spettacolo.
JG: Il 2018 è un anno infinito per gli appassionati di basket femminile: dopo l’Europa e la WNBA, arriverà il momento del mondiale 2018, una manifestazione che purtroppo non potrà vederti protagonista. Il gruppo però ha reagito bene e state viaggiando a vele spiegate verso EuroBasket 2019: quanto si sta rivelando importante in nazionale la tua abitudine a competere con le migliori al mondo, tanto in WNBA quanto in Eurolega?
Zandalasini: Beh, sì, nell’ultimo anno gli impegni del basket femminile son stati tanti. Poi il fatto che ci sia la doppia stagione (quella europea e quella WNBA in estate) permette ai nostri appassionati di non aver mai “tempo libero”, proprio come avviene a noi d’altronde. Con la nazionale abbiamo aperto un nuovo capitolo, avendo cambiato allenatore: quando cambia la guida tecnica, viene modificato un po’ l’intero movimento, si riparte daccapo. Bisogna innanzitutto conoscersi a vicenda. Il gruppo deve conoscere l’allenatore e viceversa. Non è stato semplicissimo: abbiamo avuto qualche difficoltà a partire nella prima parte delle qualificazioni a Novembre ma già a Febbraio è stata tutta un’altra storia, quindi siamo sicuramente sulla buona strada per qualificarci agli Europei del 2019. Penso che innanzitutto l’Eurolega, visto che è un torneo che ormai disputo da quattro stagioni qui a Schio, sia un campionato che aiuti tanto a migliorare perché ogni settimana puoi sfidare le giocatrici più forti d’Europa: tanto le europee quanto le giocatrici WNBA che arrivano qui per contendersi proprio il titolo d’Eurolega, quindi sfidarle è un grande stimolo che davvero ti porta a migliorare sotto tutti gli aspetti. Già questa settimana abbiamo gara 2 contro Kursk (disputatasi ieri, risultato: 60-73 per le russe che si sono così qualificate alle Final Four, nda): in quest’occasione nel mio ruolo sfiderò Sonja Petrović, che credo sia la giocatrice più forte d’Europa in questo momento. Poi c’è Angel McCoughtry che è stata -ed è- punto fisso di Team USA, con il quale ha vinto svariate medaglie olimpiche e mondiali (due medaglie d’oro olimpiche e altrettante mondiali, nda): lei è un altro pezzo fortissimo del basket mondiale. Ecco, questo era per farti due nomi, però durante tutta la stagione abbiamo incontrato giocatrici di altissimo livello: questo porta a voler migliorare e a provare a superare i tuoi limiti.
JG: Soffermiamoci un altro istante sulla tua esperienza in nazionale: com’è essere allenata da un uomo che ha vissuto la pallacanestro al massimo livello sia in campo che al tavolo di commento come coach Crespi? Vi confrontate ogni tanto sulle rispettive esperienze negli USA?
Zandalasini: Devo dire che con Marco si è instaurato un bel rapporto. É stato buffo perché le finali WNBA sono andate in onda su Sky e a lui era affidato il commento tecnico, tutto ciò – ovviamente – prima che ci conoscessimo perché sono tornata a ottobre e il primo incontro con lui è stato a novembre. É stata una buffa coincidenza: quando ci siamo incontrati mi ha fatto qualche domanda prevalentemente ispirata dalla curiosità, perché essendo il commentatore sapeva senza alcun dubbio tutto ciò che c’era da sapere ed era super aggiornato. Gli interessava giusto sapere qualche curiosità su giocatrici, rapporti in spogliatoio, allenatrice: è stato bello da parte sua vedere un interesse maggiore rispetto a un qualunque altro allenatore, conoscendo anche il suo grande palmares e la sua grande passione per gli USA ed il basket americano.
JG: Un aspetto sempre più richiesto nella pallacanestro ad ogni livello è la necessità di sviluppare un gioco “all-around”. Questa dimensione è già piuttosto sviluppata in te ma la tua giovane età sembra presagire un’interessantissima prospettiva di sviluppo: in cosa credi di poter ampliare ancora il tuo gioco?
Zandalasini: Come hai correttamente sottolineato, ho solo ancora soltanto – quasi – 22 anni quindi penso di avere ancora tante cose su cui migliorare e su cui proverò a fare dei passi avanti. Se dovessi proprio scegliere qualcosa, direi due aspetti: il primo è il mio approccio a livello mentale, per quanto riguarda la concentrazione sulla partita. Il secondo riguarda lo studio degli avversari, quindi ad esempio la capacità di modificare la mia difesa in relazione al tipo di avversario che incontro, adattandomi in relazione ad una maggiore dimensione interna o esterna della giocatrice su cui difendo. In ogni caso già quest’anno, qui a Schio, penso di aver effettuato dei miglioramenti rispetto al passato, anche perché stiamo lavorando alla grande con il nostro nuovo coach Pierre Vincent. Lui mi sta davvero spiegando un sacco di cose nuove dal punto di vista mentale e della gestione della partita. Mi sta proprio insegnando come reagire in determinati momenti della gara, come gestirli. Per quanto riguarda, poi, l’aspetto tecnico: di fondamentali non se ne ha mai abbastanza. Vorrei ampliare un po’ il mio gioco in post basso, per essere sempre più pericolosa in varie zone del campo. In più, ultimamente sto lavorando molto sul mio tiro da tre e penso si siano visti i risultati rispetto a due stagioni fa: ho percentuali molto più rispettabili quindi io stessa percepisco dei miglioramenti, ma non ne ho mai abbastanza. Anche le cose che ti vengono già bene devono essere migliorate per essere rese più decisive.
JG: Passiamo ora a trattare quelle che sono alcune delle peculiarità del basket femminile: essendo la WNBA un’esperienza piuttosto circoscritta nel tempo, spesso alcune delle migliori giocatrici di oltre Oceano vengono a giocare in Europa, un po’ la stessa cosa, vista al contrario, rispetto a ciò che fai tu. Puoi raccontarci quelle che sono le principali differenze tra i due stili di pallacanestro?
Zandalasini: Io ripeto sempre di aver vissuto la pallacanestro statunitense ancora poco e sicuramente potrò rispondere meglio dopo la prossima stagione, però le differenze sugli stili di gioco sono le stesse che potete percepire guardando gli uomini. Negli USA si gioca un basket più fisico e veloce, peculiare proprio della pallacanestro giocata in America. Per quanto riguarda, invece, gli stili di impostazione del gioco, dall’altra parte dell’Oceano la velocità e la fisicità del gioco ti concedono molto più 1 vs 1 e puoi uscire dagli schemi come e quando vuoi, mentre noi – a livello europeo – siamo un po’ più fissati e concentrati sul raggiungimento dello schema. Da noi bisogna venir fuori con quell’azione, cercare quella giocatrice, mentre nella WNBA prevale un po’ più l’istinto. Ovviamente anche lì ci sono i giochi per le varie punte d’attacco. Penso di aver trovato la differenza maggiore fuori dal campo, nella gestione fuori dal rettangolo: la quantità di libertà che ti vien concessa ti porta a pensare a te stessa al 100%, fuori dal campo non vedi più nessuno. Questa è la cosa che, se vogliamo, all’inizio mi ha messo più in difficoltà, visto che parliamo di una gestione totalmente diversa però ci si adatta ed è stato bello anche vivere questa parte del loro mondo.
JG: Ricordo che in un post hai detto di sentirti ispirata da Ekaterinburg ogni volta che la affronti. Lì gioca Diana Taurasi, una delle All-Time Greats, mentre in WNBA tu condividi il campo con Maya Moore: certe leggende preferisci affrontarle o averle come tue compagne?
Zandalasini: Sì, diciamo che per Ekaterinburg ho sempre provato uno strano affetto. L’ho incontrata per la prima volta l’anno scorso, dopo tre anni di Eurolega, nei quarti di finale e loro ci hanno eliminato per 2-0. Questo strano affetto nei loro confronti dipende dal fatto che, da quando ho iniziato l’Eurolega, li ho sempre visti come mostri sacri e quindi trovarmeli davanti è stato uno shock positivo. Mi sono sempre ispirata a loro e, quando posso, provo continuamente ad osservarle. Loro sono in Russia, dunque giocano col fuso orario: quando hanno partita e da noi sono le 15.00, cerco sempre di guardarle perché mi appassionano, mi affascinano le loro giocatrici e il loro modo di giocare. Inoltre, nel mio ruolo ho avuto la fortuna di giocare l’anno scorso contro Taurasi, quest’anno contro Maya Moore, che ho ritrovato qui nella partita di ritorno: sicuramente è bello potersi confrontare con queste autentiche leggende del basket mondiale.
JG: È un momento molto positivo per la pallacanestro in Minnesota: voi siete il miglior team della WNBA e i vostri “gemelli” dei Timberwolves sono lanciatissimi verso un ritorno ai playoff che attendevano da quasi tre lustri: come percepisci l’ambiente attorno al vostro team da parte dei tifosi? E voi, come Lynx, avete ogni tanto modo di rapportarvi con qualche giocatore dei T’Wolves?
Zandalasini: Beh, devo dire che l’ambiente a Minneapolis è fantastico. Appena arrivata ho visto la nostra facility con il campo d’allenamento posto di fianco a quello del Timberwolves: l’ho trovato spettacolare. Mi sembrava di essere entrata in un film mentre, invece, era la realtà. Comunque io sono sempre stata appassionata di NBA, fin da piccola. Mi svegliavo di notte con mio fratello a guardare le partite, che ci fossero i Lakers di Kobe o che ci fosse l’ultima squadra in classifica. Quindi già vedere a due passi da me il campo della nostra squadra maschile era una figata. Poi, verso la fine della nostra stagione, alcuni loro giocatori iniziavano il training camp: quindi li incontravamo, anche vista la condivisione della sala pesi. Vedevo Karl-Anthony Towns o Jimmy Butler che facevano pesi e mi dicevo: “Ma davvero sono davanti a me? Che figata!”. Per le mie compagne, invece, era una cosa normale. Anzi, penso che alcuni di loro si conoscano e magari prima dell’allenamento si fermavano a parlare. Noi abbiamo il ristorante vicino alla palestra quindi andavamo a mangiare insieme ad alcuni di loro. Il rapporto è bello, si vede che c’è un bel gemellaggio. Per quanto riguarda noi, il nostro ambiente è super: nel nostro campionato siamo il team con più seguito tra i tifosi. Infatti ad ogni partita c’erano otto-novemila spettatori, con il palazzetto quasi sold out: cose dell’altro mondo per me. Per loro è la normalità. In generale, tra Lynx e T’Wolves, il basket è molto seguito in Minnesota.
JG: Se c’è un team in ascesa ad Est quasi quanto i T’Wolves ad Ovest, quel team si trova a Philadelphia. Da poco si è unito a loro Marco Belinelli, che pensi di questa scelta e del Process in generale?
Zandalasini: Per il Beli sono super contenta. Sono sempre stata una sua grande fan, sin dai tempi di Golden State. Seguendo sempre l’NBA mi sono sempre interessata a lui. Ho continuato a seguire costantemente i suoi spostamenti, anche quando ha vinto il titolo con San Antonio. Sono molto contenta di vederlo a Philadelphia, squadra a cui sono abbastanza affezionata perchè ho un debole per Ben Simmons. Devo dire che come giocatore, e non solo, mi affascina molto. Credo che possano fare bene, soprattutto rispetto a ciò che avrebbero fatto gli Hawks. Atlanta si è rivelata una realtà un po’ in difficoltà, che magari avrà bisogno di qualche anno per costruire basi solide con i giovani che ha. Sono contenta che il Beli possa giocarsi una chance di andare ai playoff insieme ai Sixers: ripeto, mi stanno molto simpatici.
JG: Spesso sei stata accomunata proprio a Belinelli per il fatto che siete gli unici italiani (assieme a Catarina Pollini) ad aver vinto un titolo negli USA. Entrambi siete due delle figure di spicco delle nostre nazionali. Qual è il tuo rapporto con i vostri “gemelli” della nazionale maschile?
Zandalasini: Sono un po’ in contatto con Gigi (Datome, nda) e Melli: ci siamo sentiti giusto per farci reciprocamente i complimenti. Poi, però, è finita lì: le stagioni sono lunghe per tutti e abbiamo sempre molte cose per la testa. Quando gioca la Nazionale femminile, probabilmente i ragazzi sono impegnati nei corrispettivi campionati quindi non è semplice stare in contatto o seguirsi a vicenda, ma devo dire che anche il nostro basket femminile si sta rialzando. Sogno un’Italia in cui, un giorno, si potrà parlare esclusivamente di basket, senza dover paragonare noi ai maschi o farci sentire un po’ inferiori. La strada e lunga ma si può fare, tranquillamente. Poi a me piace seguire il basket in generale, sia europeo che NBA, quindi sicuramente la nostra Nazionale maschile non me la perdo mai.
JG: Quasi tuo malgrado – complice l’era in cui viviamo – ti ritrovi già ad essere la cestista italiana (forse) più famosa di sempre. Di recente hai spesso esternato il tuo rapporto non semplice con la celebrità e con il tuo ruolo apicale nel sistema-basket italiano. D’altra parte però sei sempre attenta ad aggiornare i tuoi profili social, ben conscia di avere la possibilità di far crescere un intero movimento. Se dovessi mettere su una bilancia le gioie e i dolori derivanti dalla tua posizione pubblica, il rendiconto sarebbe positivo o negativo? Ti senti pronta ad avere un simile ruolo per molti anni ancora?
Zandalasini: Beh, diciamo che il mio rapporto coi social di recente ha avuto un’evoluzione. Però se adesso mi fermo e penso un po’ al bilancio, lo trovo assolutamente positivo. Questo è il nostro mondo, l’era in cui viviamo: i social sono parte integrante di noi e del nostro modo di vivere. Dipende poi da quanto uno li usa: io non ci perdo troppo la testa ma mi piace usarli e quindi sono abbastanza aggiornata. Mi fa piacere ci sia gente che mi segue e che apprezza quello che faccio. Non so se son pronta a ricoprire un ruolo simile per molti anni. In fin dei conti non dipende troppo da me: magari quelli che oggi mi seguono, domani possono anche smettere di farlo. Il mio cammino nel basket proseguirà a prescindere da questo. Per il momento è anche uno stimolo avere gente che mi segue e che è felice quando raggiungo i miei traguardi. Tutto ciò mi sprona a far meglio. Per il futuro, vedremo come andranno le cose. Io vado per la mia strada, senza perderci troppo la testa.
JG: Non so quanta possibilità tu abbia di seguire regolarmente la stagione NBA, visti i ritmi a cui viaggi, ma ci piacerebbe chiudere questa conversazione con te sapendo quali previsioni ti senti di fare a riguardo di alcuni temi: chi vedi favorito come MVP e per vittoria del titolo NBA. Ah, ovviamente sentiti libera di fare considerazioni di qualsiasi genere sulla lega più bella del mondo.
Zandalasini: La mia domanda preferita è arrivata solo alla fine (ride, nda). Per il favorito come MVP, la sparo: James Harden. Per la vittoria finale non vorrei essere banale dicendo Golden State, quindi non lo dico. Sono due anni che cerco qualcuno che riesca a batterli: quest’anno ho un debole per Boston, scelgo loro. Augurandomi sempre che Houston riesca a mettere i bastoni tra le ruote a Golden State, anche se questi ultimi li vedo strafavoriti come l’anno scorso.